Gesualdo Bufalino

a cura di Gianluca D’Andrea

Bufalino Gesualdo. Scrittore e poeta (Comiso 1920 – Vittoria, Ragusa, 1996). Esordì al termine di una lunga carriera di insegnante con il romanzo Diceria dell’untore (1981). Le opere successive sono: Museo d’ombre (1982), prose di memorie; L’amaro miele (1982), che raccoglie versi giovanili; Argo il cieco (1984), romanzo; L’uomo invaso (1986), racconti; Il malpensante (1987), raccolta di aforismi; Le menzogne della notte (1988) e Calende greche (1992), romanzi. Ha pubblicato anche un Dizionario dei personaggi di romanzo: da Don Chisciotte all’Innominato (1982) e raccolte di articoli e prose varie (Cere perse, 1985; La luce e il lutto, 1988). A conferma di un crescente consenso di critica e di pubblico, nel 1992 sono apparsi il volume delle Opere 1981-1988 (a cura di M. Corti e F. Caputo) e una nuova edizione di Diceria dell’untore (a cura di F. Caputo), comprendente pagine inedite e un’intervista di L. Sciascia. Della ricca produzione degli ultimi anni vanno almeno ricordati: Qui pro quo (1991), divertito omaggio al genere poliziesco; Il Guerrin meschino: frammento di un’opra dei pupi (1993); le pagine dedicate alla Sicilia e alla figura di Sciascia nel volume Il fiele ibleo (1995); il romanzo Tommaso e il fotografo cieco ovvero Il patatràc (1996). Al 1996 risale anche l’edizione definitiva, accresciuta dalle Senilia, della raccolta poetica L’amaro miele. Postumi (1996) sono stati riuniti, con il titolo L’enfant du paradis: cinefilie (prefazione di V. Zagarrio e postfazione di A. Di Grado), tutti gli scritti di Bufalino sul cinema, arricchiti in appendice dalla bozza di sceneggiatura per Argo il cieco (di mano dello stesso autore) e da un indice dei film visti redatto nel corso degli anni, sempre dall’autore. Bufalino è stato anche traduttore (da Terenzio, C. Baudelaire, J. Giraudoux e altri).

Testi

(Da: L’amaro miele, 1996, Analisi del malanno)

Parole di Saulo

L’illesa angue si torce
dove strisciò la folgore, che tempi
di laboriosi prodigi:
piú tardi un gesto abolirà la rupe.
Ma nell’aria di zoccoli e torce,
se sbanda la clava di luce,
se la tromba ripete l’allalí…
scoppiami, cuore, che dentro mi bruci;
balzate, piaghe, sulle mie palme felici!
Questo luogo mi piace per morire.
Cadrò con occhi di pietra.
La Sua fionda non sbaglia.


Compieta

La stanchezza del mio cuore non si può dire,
e non ho voce per gridare.
Signore, fammi mare
dentro la mente, scioglimi i ginocchi.

Si divulga il mio viso nel vento,
come la polvere non ho padrone.
Posassi sul Tuo petto macilento
il mio capo, per dormire.

Nei miei occhi si sporca una rosa,
come un albero cadrò.
O Signore, concedimi sull’erba
una morte di cosa.


Per un sogno antelucano

Ai battifredi della notte un cavallo
di pietra caracolla, con un nitrito sconvolge
le bonacce del sonno, i turni della tosse
nella corsia, rinfocola la postema segreta.
Basta il filo dell’alba per ammansirlo,
per farne una fantasima, un suggerito delirio,
per imporci una volta di più
quel fremito di fosche fronde, nottola
o vanessa nella tagliuola dell’occhio,
e sempre, alla finestra, l’inflessibile
spera del tutto, l’eterno, compatto,
sordocieco universo.

(Da: L’amaro miele, 1996, Asta deserta)

Allegoria

Sulla usata scacchiera
enumeriamo i loschi personaggi,
gualdrappe a lutto, rocche senza tromba,
logori lindi scheletri di bosso,
unghia contr’unghia di sterile luce,
dove il sangue s’inerpica a squillare:
e tu, spettro monotono, mio re,
chiuso fra quattro lance
d’infallibili alfieri,
vestito di rosso broccato,
mio scabro Cristo chiodato, mio re,
in un angolo, matto come me.

(Da: L’amaro miele, 1996, La festa breve)

Il risorgimento

Mai dunque della vita
finirò di stupirmi,
gioco e chiara finestra
a cui spione m’affaccio.

Sento così rinascere
dal velo di diluvio
il rumoroso e caro
disordine del mondo;

e le stillanti razze
dei colori, la scalza
primaticcia ragazza,
mi tornano a parlare.


Brindisi al faro

Prima di te
era un luogo di gogna la mia vita,
fra mura di ferro feroce;
era teatro d’un maniaco dramma
che declamavo dinanzi a nessuno:
Io ripeteva a perdifiato un’eco,
Io era scritto su tutti gli specchi,
Io, pronome di luce e di sozzura,
orbita avara che in sé si consuma,
libertà aguzzina di se stessa.

Ora è una strada per cadere insieme,
un fiume nero, ma so dove va.


Paese

Nel guscio dei tuoi occhi
sverna una stella dura, una gemma eterna.

Ma la tua voce è un mare che si calma
a una foce di antiche conchiglie,
dove s’infiorano mani e la palma
nel cielo si meraviglia.

Sei anche un’erba, un’arancia, una nuvola…
T’amo come un paese.


Patto prima dell’ira

Il giorno di finimondo
andremo contro il vento con la bocca calda,
io e tu, non c’importa di morire.

(Da: L’amaro miele, 1996, Rimanenze)

Risarcimento

La vita non sempre fa male,
può stracciarti le vele, rubarti il timone,
ammazzarti i compagni a uno a uno,
giocare ai quattro venti con la tua zattera,
salarti, seccarti il cuore
come la magra galletta che ti rimane,
per regalarti nell’ora
dell’ultimo naufragio
sulle tue vergogne di vecchio
i grandi occhi, il radioso
innamorato stupore
di Nausicaa.

 

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