Antonio Lanza

a cura di natàlia castaldi

Antonio Lanza, nato a Paternò (CT) nel 1981, vive a Biancavilla. Laureato in Lettere Classiche, dal 2010 svolge l’attività di libraio. Figura tra i poeti lettori della manifestazione IsolaPoesia, ideata e diretta da Giuseppe Condorelli e Paolo Lisi. È stato più volte ospite nei cicli Notte della Poesia e Rito della Luce, organizzati dalla fondazione “Fiumara d’arte” di Antonio Presti. Per una TV locale ha realizzato insieme al poeta Vincenzo Galvagno una serie di interviste a poeti e scrittori, tra cui Maria Attanasio e Loretto Rafanelli. Sue poesie sono apparse sull’inserto culturale “Moby Dick”, su “Poesia” (Crocetti editore) nella rubrica Testi dei lettori, curata da Roberto Carifi, e sulla webzine “l’EstroVerso” di Luigi Carotenuto e Grazia Calanna. Se ancora ha senso parlare di poesia “civile”, operando una distinzione di genere e contenuto in poesia, in questa categoria del quotidiano narrato a scopo sociale dovremmo inserire la poetica di Lanza, sottolineandone la freschezza e al contempo la maturità nella gestione discorsiva del verso. E’ bene inoltre sottolineare come in Etnapolis, poema inedito di prossima pubblicazione, e nelle contraddizioni del centro commerciale che descrive come una pagana meta di culto moderno, si vengono a definire un pathos e una partecipazione, talvolta in forma di j’accuse, degne di essere ascritte nell’epos moderno, allorquando gesta e dialoghi si intagliano in un reale raccontato per tenere traccia dell’alienazione di una società (la nostra), spaccata tra desiderio, necessità e consumo. In Etnapolis Lanza non si lascia andare a  giudizi espliciti, limitandosi a una narrazione cruda e attenta di fatti e persone che sollecitino fortemente nel lettore uno sforzo partecipativo all’azione, in cui riconoscere la miseria del proprio stato di consumatore stritolato in una spirale di insoddisfazione. In questo scenario si muovono operatori commerciali, assetti sociali, una varia umanità accomunata dal compromesso di vendita e consumo, privata pertanto, più o meno consciamente, di quella autonomia di aspirazioni e desideri che sembrano soccombere a modelli e manichini privi di coscienza, cui necessariamente somigliare.

Testi

Da: “Suite Etnapolis”, raccolta inedita:

Scandendo buoni acquisti!,
cala la maschera
di lupa Etnapolis,
i denti gocciolosi,
triangoli ossei.
È un attimo:
ai corrimani annerisce
lo smalto, per un diffuso
black-out i negozi
si oscurano come lastre,
ectoplasmatica sbianca la merce la merce
gli emisferi sibilano e nel destro
s’infratta distorto il messaggio:
acquistare è buono!
Tutto Etnapolis è raggiunto da etnapolis,
non c’è angolo che scampi al suono
della sua voce.


Le Silenziose

in camice giallo presto
al mattino adempiono alle pulizie
ordinarie: pulire dai residui
di escrementi i cessi, sostituire
la carta igienica dove manca,
aggiungere il sapone liquido
per le mani, lavare a dovere
i pavimenti. Lasciano andandosene l’odore
delle pulizie comandate, guasti
o intermittenti alcuni dei faretti, strisce
di sporco agli specchi, grumi sparsi
di unto di anni alle piastrelle, velate
di calcare le fontane. Sono donne minute
o corpulente, e le immagini poco
istruite ma piene di forza, puledre
resistenti alle fatiche, indurite
madonne. I forti guasti del vivere
tracciati su visi ormai corazzati,
sembrano
aver fatto di se stesse una collezione
a imbuto di sbagli: da ragazze, giovanotti
e buona sorte si alternarono in ginocchio,
i gradini delle scuole sembrando
un trampolino di tre metri da cui
staccarsi fiduciose per il tuffo; e poi,
come fu che poi l’aria a tradimento
si assottigliò, come fu che al salto
mancò velocità e rotazione, che l’atteso
ingresso in acqua avvenne di pancia,
con incresciosi schizzi dappertutto…


Manichini I

Manichini dall’aria pensosa, dalla
corporatura prestante, congelati
in pose svagate – manichini uomini
e manichini donne – chiusi dentro
larghe vetrate a far mostra di sé,
di borse, top, giacche, occhiali,
clutch, pashmine, scarpe, congelati
in pose innaturali – in piedi su piani
di rialzo, il loro sguardo ti scavalca,
si appunta ad altro, a qualcosa
di lontano, dietro le tue spalle,
imprendibile; e manichini longilinei
in pose spavalde, o provocatorie,
le mani a sfiorare i fianchi; manichini
dal collo più lungo della norma
o senza i tratti fisiognomici del volto,
il volto abraso, senza un segno
che da altri lo distingua, uniformi
teste futuriste –
manichini bambini in pose di piccoli
modelli, assediati già da capriccio
e vizio, dal dovere di essere bambini;
manichini ancheggianti, con le frangette
sugli occhi; capelluti o calvi –
manichini dissezionati, dal pube
all’ombelico,
esposti in vetrina per mostrare
una mutandina maschile – diciamocelo
a cosa vogliono
farci assomigliare.


Manichini II

Il brivido accoccato –
se ne affianchi uno
in negozio, se oltre
la plastica avverti
l’umana presenza –
che poi trattieni.

Per non dire del disagio
di trovarli bardati in giacca
e papillon e i piedi nudi –
ridicoli coi loro
lunghi colli
de chirico.

O quando come rigidi
cadaveri li vestono
degli ultimi arrivi
i commessi e t’immagini
il tanfo gradualmente
raggiungere i passanti.

La determinata
pazienza nei loro occhi
da cui se li fissi finisci
per sentirtene frugato;
                       o i comici nomi
anglofoni che non sanno
di avere che sanno
di soap opera affibbiatigli
in privato
dagli stessi commessi.
                      
                       (Al riparo
dietro una vetrina, le punte
diritte dei capezzoli
suggeriscono a una mamma
pudica di coprire con le mani
gli occhi al figlioletto
e strattonarlo via) – così

non li pensiamo
solo
come manichini.

[…]


Il cliente ha bisogno
di sicurezza il cliente
ha bisogno di divieti il cliente
necessita di regole
il cliente vuole l’ora
esatta e l’esatta
sua posizione, che ci siano
le guardie con l’uniforme, le telecamere,
e che qualcuno gli rammenti le telecamere,
la squadra antincendio,
il pavimento pulito, che tutto
funzioni, confini certi,
che il sapone nei bagni, che di domenica
la messa, che le eventuali informazioni,
che i prezzi ben esposti, che tutto
torni – come in una gabbia.

[…]


Si accumulano si ispessiscono le ore.

Annunci di vario genere identici
si depositano sui corrimani sulle scale
sul cucchiaino che gira nel caffè
sui gesti tutti circolari dei commessi
su tutto ciò che non si svolge
ma ruota, e può tornare: il tempo,
pur passando anche di qui, qui
non lascia storia, perentorio
big bang di cemento da cui d’un colpo
questo bianco Etnapolis è sorto.

Si accumulano si ispessiscono le ore.

È l’ora in cui più in alto sulle zampe
posteriori spinge il cavallo irretito
la testa, l’ora delle budella contorte,
delle insalate verdi, delle granite
con brioche al pistacchio, della
calura fitta di là dalle porte
scorrevoli dove anche la diritta
SS 121 (l’asfalto, colloso,
staccandosi, sembra rallentarle,
le auto, in corsa) fatica a esistere.

Si accumulano si affannano le ore.

Ore che per fuggire alla vampa
di agosto, ripiegate le cartine,
si concedono gli stranieri una
libera visita al Tempio, al nostro
impersonale tributo al Moloch
del commercio, dove finalmente,
in una maniera strana, sussurra loro
Etnapolis allòtropi di una lingua
comune, un ordine valido ovunque;
e con uno sforzo d’immaginazione sono
gli altri, ora, non loro, qui, gli stranieri.

[…]


Maschio e femmina Etnapolis, cazzo
e buca Etnapolis, bussola e catena.
Mestruo della domenica operosa
Etnapolis, mela e serpe dei mcdrive
a sera, spine e cardi la spesa
nei carrelli, polvere Etnapolis
dei grattaevinci, nuvola a vuoto
dell’euro. Un giorno a letto
tutti noi sognammo di riconoscere
la cioccolata, l’umana misura
di ogni cosa. Arca e fogna
Etnapolis, sudore ricacciato
nella fronte Etnapolis, croste di volti
nei corridoi. Più arredammo il vuoto,
mon frère, e più il vuoto ci scappò
di mano. Etnapolis dei cani sedati
dietro le gabbie, dei canestri
penzolanti, dei crani eccitati
da musica e colore di merce,
Etnapolis di tutte
le etnapolis di tutte
le province del mondo.
Canto delle merci,
canto delle ruote,
canto dei corrieri.
Coriandoli di curricula,
analgesico e alzheimer Etnapolis,
fuscello di ricordi, oscuro cimento
delle coccinelle diavolo
sotto il cipresso. Materna e Moloch
Etnapolis, Mammone e Maschera
di lupa – Multisala Multicefala
dove rotoli e rotoli e rotoli
di locandine bruciano già prima
che cominci il film.


Da Volatili, sezione inedita

Zero

Se tornassero vive le morte
mattine di un tempo volubili
anni conficcati nel cielo
se risentissimo l’azzurro
gas di scarico dell’ape
l’uguale memorabile elenco
delle mercanzie se riscendesse
l’insensato odore di incenso
sull’altalena improvvisata
se ci sfogliassimo il petto
e risalissimo ai primi capitoli ai volatili
volti che ci attendono ciascuno
sulla porta di casa gli occhi in cui
brilla una mezzaluna di luce…


Quattro

Non riceveva visite mai e beveva
sola la sua tazza di latte.
La spiavamo attraverso le tendine
un’ombra nera che si aggirava per la stanza
col suo sempre da fare, che appariva poi
alla porta miope come una profetessa:

Ma chi vuliti? Cu siti? Vativinni, sciò!
Gli uccelli acquartierati cantarono
più morbidi al principio del suo innamorarsi
sciolsero le vicine i mantali e gli scialli
agli angoli dove il sole batteva
quando prestava le labbra o chiedeva
denaro a don Antonino, nel chiuso della sera.

Una sola estate le morse il petto l’amore poi
occhiute si ritrassero di nuovo da lei
le facciate delle case e dalla strada
ora urla si producevano a dismisura.
Tardi l’amore in fuga frenò sui talloni
mise le mani avanti e si tagliuzzò
le dita contro il vetro della porta.

Fu un gioco, immagino, tornare indietro.
Anna fa sempre Anna da qualunque lato
lo si legga. Le vicine ripiegarono le orecchie
in un fazzoletto che le conservò per l’inverno.
Lei, la si incontrava a volte al minimarket:
torva, i gomiti in fuori, non parlava a nessuno.

(La giovinezza,
spiegavano nei cortili,
gli anni dolci e i lunghi
dopo, chiusa
li aveva passati
in manicomio).


Sette

Erano occhiali in celluloide, di colore
azzurro, dimenticati su una finestra
chiusa al piano terra
una mattina di vacanze d’estate.

Riconoscendoli subito per tuoi
li portammo a tua madre eroi
cui non fu concessa mai ricompensa:

da un loculo dell’altezza
da te mai raggiunta
anche da lì ti atteggi senza.


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