Raffaele Carrieri

a cura di Pasquale Vitagliano

Raffaele Carrieri (Taranto, 1905 – Pietrasanta, 1984) è stato uno scrittore e poeta italiano. A quattordici anni abbandonò la città natale e viaggiò in Albania, Montenegro e altri paesi balcanici, vivendo di lavori occasionali. Ancora giovanissimo partecipò all’Impresa di Fiume organizzata da Gabriele D’Annunzio, durante la quale rimase ferito. Trascorse la convalescenza a Taranto, per poi imbarcarsi come marinaio su bastimenti mercantili, il che gli diede occasione di conoscere numerosi porti del Mediterraneo, europei e nord-africani. Tornato in Italia fu per due anni gabelliere a Palermo. Da questa esperienza prenderà vita la sua raccolta poetica di esordio (Il lamento del Gabelliere), che verrà pubblicata a Milano nel 1945. Nel 1923 si stabilisce a Parigi dove riesce ad entrare in contatto con importanti intellettuali d’avanguardia. Nel 1930, forte delle conoscenze accumulate in Francia, si stabilisce a Milano e comincia a lavorare come critico d’arte per numerose testate giornalistiche, tra le quali Il Corriere della Sera. Sarà questa un’attività che lo vedrà impegnato per tutta la vita. Carrieri pubblicherà anche numerose monografie di successo dedicate a grandi artisti contemporanei: Modigliani, Picasso, Cendrars, Campigli, Fiume, Guttuso, Cantatore. Ad essa, nel dopoguerra, affiancherà quella di poeta, pubblicando una serie di raccolte di versi che gli varranno il generale apprezzamento della critica e numerosi riconoscimenti; tra gli altri, nel 1953, il premio Viareggio per il volume “Il trovatore” (Mondadori). Si spense nel 1984 a Pietrasanta (LU), dove si era ritirato da alcuni anni. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Lamento del gabelliere (1945), Souvenir caporal (1946), La civetta (1949), Il trovatore (1953), Calepino di Parigi (1954), Canzoniere amoroso (1958), La giornata è finita (1963), Io che sono cicala (1967), La formica Maria (1967), Stellacuore (1970), Le ombre dispettose (1974), Il venditore di ventagli (1975).

Testi

Piccola morte

So questo, era un soldato
con un paio di scarpe nuove
che accanto gli stavano
a vegliarlo giorno e notte.
Aveva una fucilata nel petto
e ogni volta che tossiva guardava
con ceruli occhi le scarpe
che vegliavano come cani
la branda dell’infermeria.
Morì alle cinque del mattino
dicendo queste sole parole:
“mettetemi amici le scarpe
è venuta l’ora di andarmene.”
Morì alle cinque del mattino
con gli occhi rivolti alle scarpe.


Chi mi cammina dentro

Chi mi cammina dentro
e orma lascia di fuga?
Chi rimuove l’antica collera,
chi brucia, chi mi fruga?
Chi si serve del mio piede
e attraversa la strada
non mia?
Chi l’amico percuote
con la mia buona mano?
Frammenti d’altre vite,
memorie di peccati
antichi io mi porto.


Morte del fiume

Non c’erano donne a piangere
la morte del fiume
né madonne con le spade
e fazzoletti: all’oscuro moriva
come un cavaliere caduto
da cavallo. Non c’era luna
a piangere né fidanzata
mentre i neri battellieri
percuotevano all’oscuro
con mazze e martelli
il corpo morto dei fiume.
Non c’erano monache a piangere
né orfanelle: non c’era l’angelo.
l’angelo delle sere d’inverno
chissà dov’era con la sua slitta
bianca e le sue lane.


Forestiero in ogni luogo

Forestiero sono stato in ogni luogo
più del lucchesino in Brasile
che vende re di scagliola.
Sono andato di paese in paese
come il piccolo calabrese
astrologo e ombrellaio.
Ho risparmiato e sprecato.
sono stato più paziente del muratore
che attraversa il mare
per alzare un muro in Australia.

(da Il trovatore, 1953)


Pietà cuori duri

Pietà, pietà cuori duri
pietà per l’uccello migratore
che ha perduto un’ala in volo.
Pietà per l’orfano gitano
che s’è giocato a carte
sella e cavallo
suicida in una prigione.
Pietà per il giovane Nessuno
ucciso in Cina
o un qualsiasi altro luogo
clima razza condizione.
Pietà per chi muore all’impiedi
dentro una camera d’affitto.
Pietà per chi cade
pietà per chi si lascia cadere.
Pietà, pietà cuori duri
voi che siete sempre seduti
e apprendete dai giornali
la morte degli altri.


L’asino di Gerona
(a Domenico Cantatore)

Il falegname che batte il legno
nulla sa di ciò che duole e non duole
e ha cura della sua mano
quando forte percuote.
Nessun legno ha mai detto:
ahi! falegname, mi fai male!
La pietra si lascia rompere
dal tagliapietre,
l’asino del padrone.
Questo povero animale
poggiato come un arnese
l’asino è di Gerona.


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