Rodolfo Di Biasio

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Rodolfo Di Biasio (Ventosa, 1937) è un poeta, scrittore e saggista italiano. Ha conseguito la laurea in Lettere Classiche presso l’Università Federico II di Napoli nel 1965 e in seguito ha diviso la sua attività tra l’insegnamento e la produzione letteraria. Dal 1969 al 1982 è stato direttore responsabile delle riviste nazionali «L’Argine Letterario» e «Rapporti», nel cui comitato direttivo compaiono anche Giorgio Barberi Squarotti, Emerico Giachery, Giuliano Manacorda e Walter Mauro. Dal 1978 al 1999 la RAI ha trasmesso serie di suoi sceneggiati di argomento storico-letterario nelle trasmissioni radiofoniche Il Paginone e Lampi dirette da Giuseppe Neri. Dal 1962 fino alla sua centrale opera di poesia Patmos (1995) la sua attività poetica è «testimonianza sul tempo che ci è toccato in sorte di vivere e sull’ambivalenza con cui lo viviamo» (Giuliano Manacorda). Il romanzo I quattro camminanti (1991) narra la vicenda corale di quattro fratelli emigranti in America: storie di ordinaria emigrazione che diventano emblemi di una condizione esistenziale attraverso «la destrutturazione del romanzo realistico» (Sebastiano Martelli). Nel 1974 negli USA viene inserito in «Vanderbilt Poetry Review» in seguito in «Poetry», nel numero speciale dedicato alla poesia italiana, e in New Italian Poets; in Spagna nell’antologiaVenticinco años de poesia en Italia (De la neoavanguardia a nuestros dias) pubblicata a Cordoba; in Francia nella rivista «SUD» pubblicata a Marsiglia nel numero monografico Poesie du XX siècle en Italie – Les Poetes de la Metamorphose. Nel 2001 compare nell’antologia curata da Emilio Coco El fuego y la brasas pubblicata a Madrid e nel 2010 in Antologìa de la Poesìa Italiana Contemporànea uscita in Messico a Monterrey. Sue poesie sono state tradotte anche in Grecia e in Russia. Considerato da molti un modello di scrittore autonomo rispetto alla potente editoria del nord, Rodolfo Di Biasio ha visto la sua opera analizzata dai migliori critici accademici e militanti del periodo 1970-2000, con una mole di oltre 400 titoli di bibliografia, oltre a una trentina di premi internazionali. Insieme ad Achille Serrao e il triestino Fabio Doplicher, Di Biasio rappresenta il vertice di una scrittura poetica e narrativa che ha saputo imporsi nonostante il passare delle mode, delle neoavanguardie, attirando su di sé l’ammirata attenzione critica di maestri come Alvaro Valentini, Giuliano Manacorda, Giorgio Barberi Squarotti, Francesco De Nicola. Ha sempre vissuto a Formia.

Poesia
• Niente è mutato, Rebellato Padova, 1962
• Poesie dalla terra, De Luca, Roma, 1972
• Le sorti tentate, Lacaita, Manduria, 1977
• I ritorni, Roma, Stilb, 1986
• Patmos, Stamperia dell’Arancio, Grottammare, 1995 (prima edizione gennaio 1995; seconda edizione novembre 1995)
• Altre contingenze, Antologia, Caramanica, Marina di Minturno, 1999
• Poemetti elementari, Il Labirinto, Roma,2009
Narrativa
• Il pacco dall’America, Gremese, Roma, 1977
• La strega di Pasqua, Bastogi, Foggia, 1982
• I quattro camminanti, Sansoni, Firenze, 1991 (prima edizione luglio 1991; seconda edizione febbraio 1992), ristampato poi da Ghenomena Edizioni, Formia, 2009)
Saggistica
• Giuseppe Bonaviri, “Il Castoro”, La Nuova Italia, Firenze, 1978

Testi

POEMETTO DELLA TREGUA

1

Le strade tutte alle spalle,
le irrisolte strade,
e il loro frastuono
quei lampi che segnarono
il cuore di furori
Rosse in un incendio
vi fiorirono tutte le cose
le rose della vita

2

La tregua:
la richiede il cuore
le sue tessiture
risultano dosaggio
di lente alchimie
Si muove
in una penombra di sangue ispessito

Precipizi
i suoi silenzi sempre più lunghi

3

È questo il tempo (il luogo?)
delle quiete interrogazioni
se fuori
sui muri trapassa
un fiato di vento
il luminoso filo della luna

Tutto è al di là e oscuro:
vi trascorrono
in un incrinato specchio
terra e cielo,
si confondono
in un incastro di corrispondenze

Presiede alla notte
l’abrasa memoria delle cose
delle rose della vita

Da Poemetti elementari, Il Labirinto, Roma 2009

***

Frammenti per il poemetto di Patmos

I

È un rombo
è un rombo solo
stasera, qui a Patmos,
questo mare greco
Nel suo rombo le traversie
che da Itaca distrassero Ulisse
Sulla scogliera stasera pare
che liberi il suo ansito
il suo struggimento
e che cancelli con rabbia
la blandizia dei suoi colori

II

Pare, ho scritto
– con l’amaro dentro
ed è sorso di cicuta –
avverto di aver disimparato la sua voce:
vuole altri ascolti
la voce di questo mare
vuole i silenzi dell’anima
anche quando come stasera
si fa rombo sulla scogliera,
vuole solitudini
che più non abbiamo
e che forse toccherà ritrovare
al marinaio delle stelle

III

Eppure
alieno alla sua voce
ascolto e ascolto,
ma si disperde all’orecchio
la sua mutevolezza
là quando l’onda s’inarca alta
o là quando, per un attimo,
s’incupisce plumbea
infinita lastra che stride:
di questo alto e basso
i due estremi
perdo la linea di congiunzione
la sola che possa forse
riportarci a cogliere
l’insieme delle cose
così come esse si dispongono
in interiore homine
e là esse si fanno
senso

IV

Al di qua dunque
e mi sento frammentato
dai troppi bisogni
schegge anche non mie
di fatti che mi legano
e si fanno sordina
di quelle poche voci e luci
necessarie
Ora più necessarie

V

Sono qui, a Patmos,
ma molto di me
non è ancora approdato:
scissura scardinamento
è stare in luoghi diversi
e allora è un vedere
e insieme un non vedere
s’intristisce l’occhio
che coglie il bordo delle cose
e non le trapassa

VI

Toccarle, le cose
nemmeno basta più:
o almeno a me non basta
Al modo dello sguardo
anche il tatto
Questi ciottoli marini,
lampi li chiamano qui,
questi ciottoli marini, dico,
che ribadiscono in sé
colore e musica
il loro colore
é balenio lama intarsio
è acqua e luce
e la musica
il loro perpetuo franare
verso solo verso il mare
smuoiono nella mia mano

Svuotata del suo calore
la mia mano
si fa essa stessa una fredda cosa

da Patmos, Stamperia dell’Arancio, Grottammare 1995.

*

Per una suicida e sulla pioggia di agosto

Cade giovane la pioggia stasera
pioggia lavacro
la pioggia occasione, la stessa
che alla tua casa postava rondini e passeri,
la pioggia occasione, mi dico,
è la pioggia i profumi gli echi
a ridirmi la cosa
occasione e tempo
quel lacerto di tempo eterno ora e fisso
il raggio laser che ha bucato
la trama delle tue nostre ore
e ha fatto ingiusta contro te giusta

Il giorno che si scioglie ora nella pioggia
pioggia lavacro
ripete il tuo grido
de profundis clamavi ad te domine
mio signore inaccessibile
nella luce dilaniata e nelle voci
che scrivevano storie
nascite e morti giuste lievitate dal tempo

Questa giovane pioggia
pioggia lavacro
che dissipa la calura dell’estate
l’estate gonfia di desideri
e cancella i tuoi passi
le ragnatele che già da pochi giorni
segnano i soffitti della tua casa
e quella casa mi balena, la casa solare,
la casa sole
e poi quel lacerto di tempo ambiguo come la morte
l’unico che poteva catturarti
il clinamen
che volle la tua arrendevolezza
e ti chiuse in un cerchio
solitudine dissipazione
come a dire che esserci respirare le aure vitali
equivaleva a un non senso

Cuce la giovane pioggia
pioggia lavacro
frammentazioni tue flash
che sempre accanto ti disegnavano il vuoto
che le parole
poco rompevano – o niente ? –

Spessori muti
spartiacque feroce
per ossessioni labirinti grovigli
né i giorni della memoria aprirono un varco
al tempo del tuo grido
de profundis clamavi ad te domine
mio signore contumace
né una parola scalfì la tua parete il tuo muro
noi troppo parchi di noi
quella pioggia lavacro che fosse giovane pioggia
la pioggia lavacro
per indicarti la tua casa sole
spazio di passeri e rondini
per smemorati il cuore del tuo grumo

E dissipare il lacerto di tempo
di tua sorella morte

da I ritorni, Stilb, Roma 1986.

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