“Ifigenia in Tauride” per la regia di Gassmann | Punta di diamante, il progetto sonoro di Gup Alcaro

di Marta Cutugno

I love my mother
I love my father
I love my sisters, too…
I am a rock bottom riser

Siracusa, Teatro Greco. È sulle note di “Rock Bottom Riser” di Bill Callahan che si chiude “Ifigenia in Tauride” al Teatro Greco di Siracusa per la 57esima stagione organizzata dalla Fondazione Inda. Una messa in scena dalle molte finezze per la regia di Jacopo Gassmann che indaga la tragedia “scura e inquieta” di Euripide come fosse un viaggio di liberazione, sia questa emotiva, intellettuale o psicologica, pronta a mutarsi in una “escape tragedy” ad effetto. Ed è proprio la fuga che si pone al centro di questo testo “costellato – come afferma Gassmann nelle sue note di regia – di domande e contraddizioni, a partire dalla sua natura stilisticamente ibrida”. Con l’efficace traduzione di Giorgio Ieranò, la tragedia racconta di Ifigenia, la primogenita figlia di Agamennone da tempo straniera in terra straniera. Sfuggita a un sacrificio ordinato dal padre, la fanciulla era stata tratta in salvo dalla Dea Artemide che, allontanandola dall’Aulide, l’aveva condotta in Tauride come sua sacerdotessa. Ifigenia, interpretata in maniera splendida da Anna Della Rosa, guadagna la scena, fiera nella sua figura sinuosamente imponente. È di bianco vestita e indossa una maschera dalle sembianze di cerva. Ed è nella protagonista assoluta di questa tragedia che Gassmann trova complicità nel compimento della sua regia che, strizzando l’occhio alla cinematografia, si pone a metà tra nuovo e antico.

[Foto di Franca Centaro]

Suggestive, evocative le scene di Gregorio Zurla. Prevedono una serie di teche trasparenti che custodiscono simboli importanti, legati o meno alla vicenda in oggetto. La prima, centrale e a favore di pubblico, è proprio quella che contiene una cerva abbattuta. Più in là, dalle trasparenze di quei contenitori, si possono scorgere scheletri, pugnali, una lancia, un abito funebre, un agnello destinato al sacrificio e la testa imbalsamata di un toro. Ma non solo. Emergono anche altri elementi che vorrebbero lasciare presagire un destino diverso da quello che appare segnato, tra questi un grande grammofono. Distribuiti sulla superficie del palcoscenico come se ci trovassimo all’interno di un museo dei nostri giorni, i simboli circondano il punto centrale della scena in cui troviamo una vasca rettangolare, un bacino d’acqua circoscritto. Acqua. Elemento che trafigge la storia, purificazione da ogni bruttura e mezzo di fuga. Una piccola scala al centro conduce a una trincea lunga da parte a parte che allude agli spazi interni e riservati del tempio. È in quel perimetro che trova ristoro il coro delle dieci bravissime schiave greche dirette da Bruno De Franceschi. Quel corridoio confina con il pezzo forte dell’ intera scenografia: una gigante struttura a tre settori in acciaio e vetro che accoglie tutta una serie di proiezioni, a corredo della messa in scena.

Nel tempo scenico, i tre pannelli diventano eco della parola consumata e scandita dagli interpreti, ne riflettono le più intime visioni, dal rosso del sangue al blu delle onde, ai passaggi del testo in lingua originale. Su quei vetri è proprio il verbo che trova il suo riflesso, supportato anche dal pertinente disegno luci di Gianni Staropoli. Si tratta di figurazioni in simbiosi con l’azione che culminano nel “Sacrificio di Ifigenia” del Tiepolo in quell’affresco vicentino del 1757 che illustra la giovane pronta per essere sacrificata da Calcante e Agamennone che, con gli occhi nascosti da un mantello, rifiuta di vedere morire la sua prima figlia mentre la cerva si avvicina per sostituirla. Quando la protagonista racconta nel prologo la sua triste e dolorosa condizione di sacerdotessa costretta ai sacrifici umani, lei non sa ancora che a breve il suo destino giungerà ad una svolta. Al suo cospetto, infatti, vengono condotti due stranieri catturati dai Tauri. Sono Oreste e Pilade e si trovano in quella terra per rubare la statua di Artemide e condurla ad Atene. Una missione affidata da Apollo ad Oreste, molto bene interpretato da Ivan Alovisio, perché possa liberarsi finalmente dal tormento a lui inflitto dalle Erinni e tornare in patria insieme al suo fedele amico Pilade, interpretato da Massimo Nicolini. In perfetto dialogo e con una intesa scenica significativa, Alovisio e Nicolini hanno regalato al pubblico una sinergia interpretativa intensa e appassionata.

[Foto di Michele Pantano]

Dopo un lungo scambio rivelatore, Ifigenia realizza che quel fratello che tanto vorrebbe raggiungere si trova proprio lì davanti a lei, insieme a Pilade, sposo di Elettra sua sorella. Nel momento in cui le reali identità dei tre personaggi si palesano, il processo di fuga segna il suo principiare. L’astuta Ifigenia attinge alla sua fantasia e inventa un rituale che non esiste, sfuggendo così a Toante interpretato da Stefano Santospago, eccellente ed elegante nel ruolo del Re beffato che, dinanzi al volere della Dea, esercita dignità e depone se stesso.

Molto belli e curati sono i costumi firmati da Gianluca Sbicca, confezioni di grande effetto a partire dai più piccoli dettagli e dalle scelte cromatiche che alternano, per esempio, la classicità del bianco e nero per Ifigenia.

Punta di diamante di questa Ifigenia siracusana è il progetto sonoro di Gup Alcaro. Una partitura costante che, vibrazione dopo vibrazione, sorprende e accompagna il pubblico in questo viaggio in terra di Tauride. Alle musiche di Gup Alcaro va il grande merito di aver elevato oltremisura la preziosità delle parole. In mezzo a queste, ha incastonato vere e proprie gemme sonore, siano esse naturali, umane o digitali – una sinfonia di mare, di vento ma anche urla, lamenti e distorsioni costruite appositamente – in accordo perfetto con le intenzioni di ogni singolo personaggio e con le intensità narrative della storia, come un abito cucito addosso a questo dramma della fuga.  Una poetica del suono che si muove sottopelle, con delicata discrezione ma senza mai rinunciare alla sua potente incisività e senza rischiare invadenze, un lietmotiv nelle costruzioni musicali di Alcaro destinate al Teatro.

Il volere di Artemide si impone e scorre parola dopo parola sui pannelli. Toante non può sperare che Oreste perda la vita nel mare in tempesta poiché Poseidone ha placato le onde ed aperto alla nave la distesa delle acque. Ad Oreste, anche se lontano, giungerà la voce della Dea. Arrivato ad Atene, lui insedierà la statua trafugata in un nuovo tempio costruito agli estremi confini dell’Attica perché gli uomini invochino Artemide come la Dea Tauropola e possano proseguire i sacrifici in suo onore. Ifigenia diventerà guardiana del tempio, a lei verranno recate in dono le vesti pregiate appartenute alle donne morte di parto, in quei luoghi morirà e sarà sepolta.

La tragedia, che Jacopo Gassmann ha brillantemente diretto come un viaggio dell’intelligenza e della ragione, apre le porte al suo finale, lasciando scorrere i vetri della grande parete per poter intravedere un red carpet su cui posano le dieci schiave greche e la sala di un cinema dalle poltroncine rosse. Da lì vengono fuori i tre fuggitivi in abiti odierni, pronti a raccogliere il lunghissimo applauso del pubblico e le meritate ovazioni.

[Foto di Michele Pantano]

Nel cast: Anna Della Rossa (Ifigenia), Ivan Alovisio (Oreste), Massimo Nicolini (Pilade), Alessio Esposito (Bovaro), Stefano Santospago (Toante), Rosario Tedesco (Messaggero), Anna Charlotte Barbera, Luisa Borini, Gloria Carovana, Marta Cortellazzo Wiel, Roberta Crivelli, Caterina Filograno, Leda Kreider, Giulia Mazzarino, Valentina Spaletta Tavella e Daniela Vitale (Coro di schiave greche). Guido Bison, Gabriele Crisafulli, Domenico Lamparelli, Matteo Magatti, Jacopo Sarotti, Damiano Venuto (Coro dei Tauri). Le scene sono di Gregorio Zurla, visual designer sono Luca Brinchi e Daniele Spanò, i costumi di Gianluca Sbicca, le musiche di G.U.P. Alcaro, il disegno luci di Gianni Staropoli, Assistente light designer Omar Scala,movimento e coreografie di Marco Angelilli, regista assistente è Mario Scandale, maestro del coro è Bruno De Franceschi. Direttore di scena Giovanni Ragusa, Coordinatore allestimenti Marco Branciamore, Progetto audio Vincenzo Quadarella, Responsabile sartoria Marcella Salvo, Responsabile trucco e parrucco Aldo Caldarella, scene realizzate da Laboratorio di scenografia Fondazione Inda, Costumi realizzati da Laboratorio di sartoria Fondazione Inda.

[Foto di Michele Pantano]

Immagine di copertina [Foto di Michele Pantano]

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