Recensione di Felicia Buonomo
“Piccolo taccuino occasionale”, ha voluto chiamarla il poeta Davide Zizza la sua ultima raccolta poetica (edita da Edizioni Ensemble). Eppure di piccolo ha solo la numerazione delle pagine, rispetto alla volontà di non abbandono del lettore. Che ricusa la condizione di orfano nel momento in cui si arriva alla quarta di copertina, dopo aver scorso e sentito il contenuto di quella cinquantina di pagine, ornate di versi che rimangono in testa, come a formare una memoria che sia altra dalla propria, ma che finiamo con lo sposare come se ci appartenesse da sempre.
Occasionale è l’aggettivo scelto dal poeta, che parla di “appunti, transitorietà, traslochi mentali temporanei”. Eppure sembra che nulla sia lasciato all’occasione o al caso fortuito. I versi sono piccole incisioni, precise, che non lasciano ferite, non devastano, ma aprono per far accogliere al lettore i «colpi di martelletti / seguiti da geroglifici a penna / ripensamenti, abrasioni, correzioni», quando ti rendi conto che «scrivere è ricordare di aver vissuto».
La memoria sembra essere il tema centrale, o almeno quello più pervasivo, resa tale dalla scrittura, tema interconnesso. Una memoria intesa – come scrive lo stesso autore – come «pietra votiva che resti / ex voto alimentato da trasandata tristezza / silenzio dei giorni». Un ricordo che si fa sostanza presente, che aleggia nei gesti del quotidiano, o nell’architettura del nostro vivere consueto – come in quel «libro fuori posto / dell’agenda rimasta aperta» – che diventano l’immagine poetica di cui si fa maestro l’autore.
Si riconosce al poeta la capacità di ricorrere al non detto, pur dicendo senza margini di interpretazione. La capacità di evocare atmosfere o regioni interiori che diventano sinonimo di appartenenza collettiva.
C’è nella voce di Zizza un silenzio puntuale e al contempo un urlo tondo, circolare, che riporta a stati emotivi, oggetti e immagini che ricorrono, o che almeno ci porta ad imprimere nei pensieri. Il poeta ci porta lì dove probabilmente vuole posizionarci, ma lasciandoci liberi di vagare «nell’eco silenziosa delle stanze», o in tramonti che diventano forieri di erotismo o nel «fiato acre dell’estate», dove «rifugiarsi nell’ombra del tempo».
Ed è questa la sua potenza: saper accompagnare, senza legare. E noi accettiamo, senza pentimenti, di seguire la rotta indicata, di «scendere per poi risalire», che – ci dice il poeta – «resta ancora oggi il meccanismo / per capire l’essere e il suo dolore».
Felicia Buonomo
Ricomporre – hai scritto –
è della poesia (se sa
rimettere i cocci insieme)
Vede oltre le ombre dei nostri occhi
come la chiarità di un pomeriggio
in un cortile, rampicanti da muro e vie deserte,
l’aria gonfia della sera che verrà.
Ci tormentiamo ignorando il motivo
perché è dell’uomo fare senza capire –
poi un qualcosa ci ferma, la brama si placa,
ricongiunge pezzo per pezzo ogni cosa
e il velo davanti agli occhi cade:
ricomporre, hai scritto, è della poesia.
Piccolo taccuino occasionale di Davide Zizza