Pillole di poesia – Mario Santagostini

di Ilaria Grasso

Cosa facciamo ogni giorno al lavoro? Probabilmente a questa domanda la maggior parte delle persone risponderebbe con un lapalissiano “produciamo!”. Ma cosa produciamo? C’è chi produce beni tangibili come i vasi, altri invece producono beni invisibili agli occhi ma che hanno altrettanto valore. In ogni caso entrambi i beni vengono acquistati e possono essere goduti o consumati. Già questa opzione sull’utilizzo delle merci ci pone la questione sulla loro modalità di produzione e il senso di tutto questo produrre. Santagostini arriva anche a concepire il riciclo una forma di produzione. Se il vecchio detto dice “parla come mangi”, il poeta ci dice che saremmo ciò che produciamo o consumiamo. Il capitalismo, caratterizzato dalla proprietà privata dei mezzi di produzione, agisce in modo da creare classi e crearle proprio come si dà vita alle merci. E con la stessa volontà di competizione. Questo pericoloso parallelo svela la necessità della chiusa della poesia che ci informa che no, non siamo merci. Non possiamo esserlo perché ognuno attribuisce un senso alla propria esistenza e quel senso non può essere solo produzione e competizione.

 

Le merci

Parlavamo di merci

come sempre. E qualcuno si chiedeva

se il loro riciclo

non fosse l’ennesima,

rassegnata forma di resurrezione.

Non molto diversa dalla mia, aggiungeva.

E immaginava risposte.

Stupendo, il declino

del capitalismo passava fin dentro

a quelle merci.

E le rendeva più fatue, inutili.

Da FELICITA’ SENZA SOGGETTO – Mondadori

 

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