Autori estinti, n. 12: Diego Fabbri

Diego Fabbri, chi è costui? Di certo è un nome ora conosciuto da pochi. Eppure come drammaturgo del Novecento era piuttosto rinomato e discretamente apprezzato. Faceva parte di quella schiera di scrittori e intellettuali cattolici che ha contribuito alla letteratura italiana in modo stimolante, perché affrontava temi scottanti, e non si limitava a fare apologia. Per dire, in una posizione simile alla sua c’era il romanziere Luigi Santucci. Ora i libri di Fabbri sono difficili da trovare nelle librerie: è un autore estinto. Ma chi era Diego Fabbri?

Nato a Forlì 1911 e morto a Riccione, 1980. E’ stato autore drammatico italiano. Si affermò nel dopoguerra con alcuni drammi imperniati su una problematica cattolica (Rancore, 1946; Inquisizione, 1950; Processo di famiglia, 1953; Processo a Gesù, 1955; Veglia d’armi, 1956), ai quali alternò due «ritratti di costume»: Il seduttore (1951) e La bugiarda (1956). Ridusse per il teatro celebri opere di narrativa e collaborò a numerose sceneggiature cinematografiche. LG

Da wikipedia:

Frequentò l’oratorio di don Giuseppe Prati, conosciuto come don Pippo, che gli trasmise la passione per il teatro. Scrisse le sue prime composizioni, tra il 1931 e il 1935, per il teatro della parrocchia di San Luigi di Forlì.

La sua prima opera, I fiori del dolore (1931), fu dedicata espressamente: «A don Pippo, che per primo mi insegnò come fecondare di dolore le aiuole dei fiori». Nello stesso anno il regime decise la chiusura dei circoli cattolici. La scelta di campo di Fabbri fu netta: non si iscrisse ai Gruppi universitari fascisti (GUF). Nel 1936 si laureò in Economia e commercio all’Università di Bologna affrontando la discussione in camicia bianca, anziché quella nera. Nel 1937 si sposò con Giuliana Facciani (da cui ebbe sette figli), nel 1939 si trasferì a Roma; lavorò nella casa editrice Ave dell’Azione cattolica, nella quale proseguì la sua carriera artistica.

Nella capitale gli impegni furono molti:

Ma la sua vera vocazione era per il teatro. Nel corso della sua carriera scrisse quasi cinquanta drammi, rappresentati, tra l’altro, in prestigiosi teatri come il Quirino, l’Eliseo ed il Teatro delle Arti e interpretati da grandi attori come Giorgio Albertazzi,Rossella Falk, Enrico Maria Salerno, Tino Buazzelli, Giancarlo Sbragia.

Nel 1946 scrisse Inquisizione, che nel 1950 venne rappresentato con successo a Milano e che l’autore portò alla ribalta anche a Parigi, dove si trasferì nel 1952 per un breve periodo di tempo.

Nel 1955 al Piccolo Teatro di Milano rappresentò Processo a Gesù, considerato uno dei suoi capolavori, per la regia di Orazio Costa, che in seguito dirigerà la messa in scena di altri suoi lavori. Cattolico praticante, espresse grande rammarico quando il suo dramma venne denunciato al Sant’Uffizio per «offesa alla religione e istigazione all’odio sociale».

Nel 1959 sceneggiò, insieme a Indro Montanelli, Roberto Rossellini e Sergio Amidei il lungometraggio Il generale Della Rovere, per il quale ottenne la nomination all’Oscar alla migliore sceneggiatura originale nel 1962. Nel 1960 assunse la gestione e la direzione artistica del Teatro della Cometa di Roma, dove allestì parte dei suoi drammi. Nel maggio 1962 aderì al convegno internazionale “Incontro romano della cultura” su «I Valori ideali del mondo latino nella lotta fra tradizione e modernità», organizzato dal Centro di Vita Italiana, di Nicola Francesco Cimmino e Ernesto De Marzio, al Teatro dei Servi diRoma. Nel 1970 venne eletto presidente dell’Ente Teatrale Italiano.

Morì a Riccione il 14 agosto 1980.

A Diego Fabbri è intitolato il teatro comunale di Forlì.

Nel 1965 pubblicò un articolo in cui enunciò la sua concezione di arte, che era agli antipodi della concezione marxista di “arte politica” e criticava il processo, già in atto, per il quale gli intellettuali erano diventati degli strumenti in mano alle forze politiche:

«Con una massiccia operazione di politica culturale, è stato imposto il teatro marxista di Brecht, ai danni di quello, di tanto più grande, di Pirandello, ostracizzato sbrigativamente come “individualismo borghese”. (…) Un piano di persuasione attraverso Brecht e il brechtismo si è svolto incontrastato in Italia attraverso una serie ininterrotta di spettacoli reclamizzati in modo imponente, artisticamente ineccepibili, scenicamente suggestivi e intimidatori, grazie all’aiuto concreto e, almeno dopo qualche tempo, consapevole dello Stato che pur marxista non era e, almeno a parole, non voleva essere. (…) Le voci spiritualmente più importanti, personali e ascoltate dal pubblico erano state gradualmente messe in silenzio o relegate ai margini della vita teatrale ufficiale.»

Fabbri non aveva difficoltà a riconoscere all’arte una valenza sociale, ma non le attribuiva anche una dimensione politica. Egli si ricollegava, infatti, alla tradizione europea dell’interiorità, risalente a Platone, per cui l’uomo è irriducibile al politico:

«L’arte è per sua natura sociale. Si scrive, si dipinge, si scolpisce per gli altri, pur esprimendo l’essenza più profonda di sé. Però, proprio perché sento l’arte come un fatto sociale, auspico che l’artista sia “apolitico” nel senso di sentirsi svincolato dai singoli partiti, di sentirsi invece posto al servizio dell’uomo, che è, sì, anche un animale politico, ma non soltanto politico. Direi che l’eccellenza dell’uomo risiede proprio in ciò che di meno politico è in lui, cioè in quel tanto di assoluto, in quella fiammella di eterno che si sente dentro. Credo che l’artista debba operare per svegliare e dilatare questa scintilla di assoluto che è in tutti, e che ci fa veramente uomini»
(Il Tempo, 18 aprile 1959.)

Secondo Gianfranco Morra[6], la produzione di Fabbri può essere suddivisa in quattro tipologie:

  1. Drammi morali: Inquisizione, Rancore, Delirio, Figli d’arte, Ritratto d’ignoto.
  2. Drammi religiosi: Processo a Gesù, Veglia d’armi, Il confidente, L’avvenimento.
  3. Drammi della coscienza: La libreria del sole, Processo di famiglia, Delirio.
  4. Commedie: La bugiarda, Lo scoiattolo, Lascio alle mie donne, Non è per scherzo che ti ho amato.

Elenco completo:

  • I fiori del dolore (1931)
  • Ritorno (1933)
  • Il viandante dagli occhi turchini (1934)
  • I loro peccati (1935)
  • Il fanciullo sconosciuto (1936)
  • Il nodo (1936)
  • Miraggi (1937)
  • Ricordo (1937)
  • Rifiorirà la terra (1937)
  • Gli assenti (1938)
  • Orbite (1939-40)
  • Divertimento (1940)
  • Paludi (1940)
  • Il prato (1940)
  • La libreria del sole (1942)
  • Inquisizione (1946)
  • Rancore (1948)
  • Contemplazione (1949)
  • Trio (Diego Fabbri)|Trio (1949)
  • Il seduttore (1951)
  • I testimoni (1951)
  • Processo di famiglia (1953)
  • La bugiarda (1953-54)
  • Processo a Gesù (1952-54)
  • Veglia d’armi (1956)
  • Delirio (1957)
  • I demoni (1947-57)
  • Figli d’arte (1956)
  • Processo Karamazov o la leggenda del Grande Inquisitore (1957-60)
  • Ritratto d’ignoto (1961)
  • Lo scoiattolo (1961)
  • A tavola non si parla d’amore (1962)
  • Il confidente (1964: debuttò al Teatro La Fenice per la Biennale di Venezia per la regia di Giorgio De Lullo, le scene diPier Luigi Pizzi con Romolo Valli, Rossella Falk, Ferruccio De Ceresa, Elsa Albani, Enzo Tarascio ed Elena Cotta)
  • La leggenda del ritorno (1966)
  • L’avvenimento (1966-67)[8]
  • L’avventuriero (1968)
  • Lascio alle mie donne (1969)
  • Non è per scherzo che ti ho amato (1971)
  • Il cedro del Libano (1972)
  • Il vizio assurdo (1974) (sul suicidio di Cesare Pavese)
  • Il commedione (1978)
  • Incontro al parco delle terme (1978)
  • L’hai mai vista in scena? (1978)
  • Al Dio ignoto (1980, l’ultima opera, messa in scena poche settimane prima della morte).

(Continua)

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