CONSONANZE E DISSONANZE / Chez Frank Zappa: “Cose di casa” di Jacopo Ninni

Talking about music is like dancing about architecture.

Generalmente attribuita a Frank Zappa, l’affermazione è spesso citata nelle pubblicazioni online e nelle conversazioni social sullo stato della critica di poesia, dove quasi sempre interviene a sottolineare la sostanziale inanità del dibattito, paralizzandone così ogni possibile trasformazione o evoluzione.

“Scrivere di musica è come danzare è come ballare di architettura”, recita, un po’ balbettando, la più comune traduzione italiana: perché confondere arti diverse e, soprattutto, perché concedere sempre, ineludibilmente, il primato alla scrittura?

Perché si tratta di poeti che parlano di poeti, verrebbe da dire. Tuttavia, all’interrogativo sembra rispondere con meno vis polemica e certamente più completezza l’ultimo libro di Jacopo Ninni, Cose di casa, dove si registra, in realtà, anche un guizzo in più: lo stesso Frank Zappa, in fondo, non era forse definito un visionario per la sua musica, approfondendo così i legami sinestesici tra le arti e, a partire da questi, le possibili connessioni intermediali?

Cose di casa è allora un libro (“un libro, una parola, un letto…”, inizia saggiamente la recensione di Gianni Montieri, pubblicata ormai un anno fa su Poetarum Silva) nel quale architettura e poesia riescono a dialogare, senza trascurare per questo la moltiplicazione delle voci garantita dagli inserti fotografici e di disegno. Come ricorda Alessandro Mendini nella sua pagina introduttiva, il dialogo tra architettura e poesia è sempre possibile e fecondo: “non solo le arti, ma anche un paesaggio, una persona, uno sguardo quando creano dei ritmi e delle situazioni che toccano l’essenza delle cose, anche in questi casi si tratta di poetica” (p. 7). A tal proposito, Mendini ricorda come lui stesso si sia occupato, in alcuni contributi di fondamentale importanza per la storia dell’architettura e del design, di “Poetica del Design” e “Poetica dell’Architettura” – temi, che come ricorda Ninni nella postfazione, appartengono, in modalità diverse, alla riflessione su architettura e poesia sin dai tempi di Frank Lloyd Wright (p. 79), se non da prima, con le innovazioni introdotte nel campo dell’architettura all’epoca delle avanguardie storiche.

In questo dialogo storicamente e filosoficamente fondato, Cose di casa si inserisce a pieno titolo, rinnovandone l’importanza anche per l’altra arte chiamata in causa, ovvero quella poesia che nel Novecento e nei primi decenni del ventunesimo secolo ha sì dialogato con la musica, la pittura, la fotografia, etc., ma ha tralasciato di interrogare a fondo, nella scrittura o comunque nella realizzazione d’opera, le potenzialità di altri campi artistici e professionali. (Cose di casa ha anche il merito, a dire il vero sempre più perseguito e rilevante, di cercarsi altri lettori/fruitori fuori dall’ambito ristretto e a suo modo elitario dei classici lettori di poesia…. ovvero degli autori stessi dei libri e di qualche, sempre più invisibile, intenditore).

Rispetto al postulato di Mendini, non è tuttavia all’essenza delle cose e al suo ritmo che guarda primariamente la poesia di Ninni, o per meglio dire non immediatamente: si giunge a questo esito (che sarebbe ingenuo assumere nella sua assolutezza) tramite l’alternanza della più tradizionale progettualità architettonico-poetica con un gesto quasi fauve, forse più sciolto e anarchicamente più libero, rintracciabile in tutta una serie di luoghi testuali che vanno dallo scherzoso gioco di parole postmoderno del titolo fino alla concretezza materica, quando non organica, di altri passaggi (si veda a titolo di esempio Hic manebimus optime, p. 35: “E a volte succede / che nel buio / qualche capo / smetta improvvisamente di sudare”).

Perfetta sintesi di questa alternanza sembra essere un testo come Preliminari (p. 47), che si sviluppa inizialmente come una cena descritta con toni iperbolici e piglio postmoderno, per poi chiudersi con il ritorno all’altro polo dell’oscillazione stilistica e tematica, ovvero all’approccio progettuale, esplicitamente citato in quanto tale: “Decideremo allora se e quando / aumentare o calare la temperatura / con un gesto azzurro e progettuale”.

D’altronde, non può che essere legata a questi due differenti poli una produzione artistica che raduna intorno al nucleo concettuale e abitativo della casa non solo la poesia di Ninni, ma anche i contributi artistici di Nanni Angeli, Marco Bailone, Chiara Campara, Marta Carraro, Francesca De Lucia, Ninni De Simone, Paola di Bello, Carlo Fei, Moira Franco, Fulvia Mendini, Antonio Odiardo/MNK, Rachel Papo, Pierpaolo Pagano, Davide Pedrizzetti, Topazio Perlini, Fernanda Scianna, Antonio Scoccimarro, Carlo Tartivita, Laura Visigalli e Matteo Ninni. (Ci pare importante ricordarne qui tutti i nomi anche in assenza di un’analisi dei singoli interventi, impossibile nello spazio di questa recensione… a suo modo verbocentrica).

La casa, infatti, non è solo luogo di dimora, né può essere soltanto il nome di un idealizzato rifugio, ma è anche “gabbia”, come ricorda Elisa Biagini nelle sue brevi parole introduttive (p. 5): nido, ma anche luogo degli incubi e dei fantasmi; casa di Pollicino, ma anche di Medea. (Devo, in primo luogo, a Luciano Mazziotta quest’ultima considerazione).

Non solo focolare, dunque, ma anche fucina, per chiudere con le parole di Gianni Montieri: “[La casa] è davvero un focolare? Forse per Ninni è un focolaio, una fucina, un’idea che salta fuori in cucina; ecco, la casa è un disegno, è una poesia, è un impegno. È un amore da tenere in piedi senza ritegno, senza paura”.

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