C’è una presenza, rigorosa e inflessibile, nell’arte contemporanea: è l’arte e la ricerca intellettuale di Anselm Kiefer il quale dà voce a quella parte della cultura tedesca che, con volontà determinata, riflette sulle responsabilità della Nazione e sullo sterminio perpetrato dal Nazionalsocialismo.
Se in sede etica e storica non c’è alcun dubbio che tale riflessione vada condotta anche a futura memoria, dal punto di vista artistico la domanda è come rappresentare lo sterminio senza cadere nella retorica o nella celebrazione vuota: come rappresentare l’irrappresentabile della storia.
Il 3 maggio 1808 di Goya: un termine di riferimento. Guernica di Picasso: ancora un altro termine. E poi A survivor from Warsaw di Schönberg.
Dire lo sterminio: Primo Levi, Paul Celan, Nelly Sachs, Jean Améry.
A disposizione di Anselm Kiefer viene messo, a Milano zona Bicocca, l’hangar in cui la Breda produceva locomotive: è un vastissimo spazio vuoto, un edificio industriale, all’interno del quale l’artista tedesco pensa sette torri (i “sette palazzi celesti”) ispirandosi al ”Libro dei palazzi (Sepher Hechalot)” ebraico.
Appunto: per rappresentare in forma d’arte lo sterminio del popolo ebraico egli parte da una delle opere più alte della spiritualità e del pensiero ebraici – e imbastisce innumerevoli variazioni. E citazioni. E rimandi. E allusioni.
Luoghi: le botteghe ebraiche devastate dall’odio nazista; le linee ferrate per la deportazione; i forni crematori; le piazze in cui compiere i roghi dei libri –
Scritture: la Torah; i trattati rabbinici; le opere d’autori tedeschi d’origine ebraica; gli archivi delle sinagoghe; la corrispondenza privata.
Kiefer utilizza cemento, moduli di containers che sovrappone a innalzare sette torri: ma le torri che il trattato mistico concepisce come costruzioni interiori per avvicinarsi a Dio sono, nell’hangar Bicocca, periclitanti “palazzi” che sembrano essere stati riarsi dal fuoco dell’odio e della distruzione – i vari livelli poggiano su grandi puntelli di cemento e su libri in piombo, anch’essi arsi; ogni palazzo mostra ferite, offese, violazioni subìte.
Ci si aggira fra i sette palazzi celesti, si guarda al loro interno, si cambia continuamente prospettiva, si percepisce il senso di violenza e distruzione: tangibilissimo. È il nostro mondo: ma violato. È la nostra storia: ma mortifera.
Kiefer lavora a più riprese al progetto: e la scrittura, come la materia pittorica, come il disegno, come la materia plastica è elemento fondante per rappresentare lo sterminio / gli stermini.
Die deutsche Heilslinie (la linea della salvezza tedesca) viene creato e collocato nell’hangar qualche anno dopo la realizzazione dei sette palazzi celesti: la parola (anche scritta) della filosofia e della poesia tedesche è parte integrante del dipinto: la scrittura è elemento fondante della civiltà tedesca (ed europea) così come dell’ebraica?
Citando il “Pellegrino sul mare di nebbia” di Caspar David Friedrich, Kiefer scrive lungo la luminosa curvatura dell’arcobaleno i nomi più alti della filosofia tedesca; nel terreno scuro e putrido baluginano i nomi di coloro che secondo Kiefer hanno preparato, appunto, il terreno o sono stati collusi col Nazismo. Nel punto in cui la curvatura dell’arcobaleno sembra innalzarsi dalla terra verso il cielo c’è una casetta: è quella di Goethe a Sesenheim e Kiefer traccia il nome di Friederike Brion: lirica d’amore, il momento della svolta nell’opera goethiana e nella poesia tedesca, l’istante della scelta in favore della poesia – ché la poesia permea tutta l’opera di Kiefer, sembra possedere la stessa matericità delle sue vernici, delle sue sabbie.
E l’Italia ha fatto davvero i conti con il proprio passato fascista? Chi pensa che essere fascisti oggi rientri soltanto nell’ambito di una scelta d’opinione politica sa davvero che cosa sta affermando?
Per me che qui ne scrivo quest’opera di Kiefer è legata, anche, a un territorio, quello della città di Milano, non a caso città medaglia d’oro della Resistenza – e l’opposizione di popolo al Fascismo comincia proprio con gli scioperi operai, con una presa di coscienza collettiva per continuarsi fino all’insurrezione del 25 aprile 1945.
Sono rimaste tracce di rotaie nell’hangar Bicocca. Rotaie per il muoversi libero, rotaie per la deportazione.
Le “tele” appese alle pareti, enormi, sono costituite di materia densa: vernici, colle, semi di girasole, sale, fibre vegetali, sabbia… Ad avvicinarsi fortissimo si percepisce l’odore delle vernici, incrostazioni percorse o ferite da profondi solchi – allontanandosi si vedono panorami che alludono al deserto o alle costellazioni, alle piramidi di molte civiltà o all’alchimia del vedere e del pensare, alle distruzioni perpetrate nel corso della storia e al desiderio di rinascita, di purificazione, lo sguardo che, malgrado tutto, cerca le stelle.
Non si può non levare lo sguardo verso l’alto e, pur alludendo allo sterminio e alle catastrofi della storia, al crollo catastrofico di molti tentativi d’innalzarsi al cielo, la bellezza che, indiscutibile, si percepisce è proprio quella della mente umana che, rappresentandosi fallace e velleitaria, pur sa concepire vastissimi orizzonti per sé stessa.
Ché bellezza e realtà dello sterminio non stanno qui in oscena contrapposizione o in oscenamente ambiguo connubio, ma proprio il fermo sguardo sullo sterminio (e sugli stermini) inizia un’epoca nuova per un’arte che non estetizzi la morte violenta di milioni di esseri umani, bensì ne accolga dentro di sé l’irrimediabile dolore.
E Kiefer, già lettore di Celan, ne impara la lezione del lavorare con lacerti feriti e offesi. Cercando il punto di giunzione con le stelle. Fossero anche le stelle irraggiungibili e mute, indifferenti al destino umano.
Laica sacralità di questi spazi; tentare di edificare – e poi il crollo: quello che resta sono vestigia di un tentativo fallito, oppure offeso dalla violenza; le tele alle pareti aprono altre prospettive, sia nel caso delle torri che delle tele il tempo (passato, presente e futuro) è compresente in una vertigine che esige dallo sguardo e dallo sguardo della mente coscienza e conoscenza.
Quasi ovunque in Germania le torri campanarie, che si slanciavano verso il cielo, mostrano il nero angosciante lasciato dal fuoco acceso dalle bombe che vi caddero impietose – fu contrappasso per chi volle distruggere le torri spirituali e interiori di un popolo che interrogava il suo Dio? Oppure fu la verità inoppugnabile che violenza e odio fagocitano anche chi dette loro inizio?
Tra i sette palazzi celesti ci si muove in silenzio, eppure le migliaia di cristalli infranti, le cornici divelte, i detriti che s’incontrano tra quegli edifici urlano un dolore irrappresentabile, ma che ci raggiunge: dal quale DOBBIAMO farci raggiungere.
Le immagini che corredano l’articolo provengono tutte dal sito hangar Bicocca.
Magnifique visite de cette “installation” majeure de A. Kieffer, profonde et très claire analyse d’Antonio Devicienti, vrai penseur de l’histoire et de la fonction éthique de l’art, de la littérature, de la parole.
Oui, cet article est vraiment remarquable de profondeur, de rigueur, de clarté et de profondeur.
Merci !
YB
Questo forum è molto utile