Eccelsa Dubrovskaya in “La sonnambula” al Bellini di Catania

di Marta Cutugno

Catania. Teatro Massimo Bellini. Prosegue la stagione lirica e di balletto 2016 con “La sonnambula“, melodramma in due atti di Vincenzo Bellini. L’opera, andata in scena per la prima volta il 6 marzo del 1831 al Teatro Carcano di Milano, nacque dalla collaborazione tra Bellini ed il librettista Felice Romani. In un primo momento, su commissione della ‘ditta’ Litta-Marietti-Soresi, i due individuarono nel dramma “Hernani” di Victor Hugo un’ idonea fonte di ispirazione ed iniziarono, ciascuno per sua parte, a lavorare al comune progetto. La scure della censura austriaca, tuttavia, pretese, da subito, sostanziali modifiche ed entrambi decisero di ripiegare su “La Somnambule ou L’arrivée d’un nouveau seigneur“, ballet-pantomime di Eugène Scribe e Pierre Aumer (1827), e su “La Somnambule“, comédie-vaudeville dello stesso Scribe e Germain Delavigne (1819).

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Felice Romani dedicò alla stesura de “La sonnambula” soltanto i primi due mesi del 1831 ed altrettanto velocemente Bellini provvide alla musica. Il tempo dedicato all’Ernani censurato non risultò infruttuoso: il compositore – come confidò, diversi anni dopo, all’editore Ricordi – trasferì alcune idee musicali, tra cui un coro che ritroviamo nel primo atto, ai materiali sonori della nuova opera mentre il librettista scelse di attenuare le sfumature piccanti ed erotiche, tipiche del vaudeville francese e presenti nella fonte scribiana, escludendo, su invito del Bellini, anche la circostanza che il conte Rodolfo – colpo di scena – fosse il padre naturale di Amina.

La splendida Sonnambula catanese rimescola il fresco guizzo di una ambientazione pastorale e la meraviglia delle atmosfere fiabesche. L’allestimento , preziosamente curato – insieme alla gradevole e composta regia – da Alessandro Londei, riproduce sensibilmente le scene del 1831, opera del noto pittore, architetto e scenografo Alessandro Sanquirico (1777-1849) che, figlio del suo tempo, aderì alle forti critiche contro gli eccessi del teatro barocco, sottolineando la necessità di una realizzazione realistica dei luoghi e delle ambientazioni operistiche.

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Il sipario si ritrae e svela le dolci tele dipinte: il villaggio svizzero, la piazza, le ghirlande di fiori a cingere tavole imbandite e sgabelli di legno; sul fondo, le montagne ed un corso d’acqua a corteggiarle. Più avanti le colline avvolgeranno il podere di Elvino, un sentiero che conduce al ruscello e, per potenziare il senso prospettico, verrano inseriti, in primo piano, pannelli con cespugli intagliati su tulle. L’arrivo di villani e villanelle, vestiti a festa con i brillanti costumi curati da Veronica Patuelli, segna un tripudio di colori e morbidezze. Amina ed Elvino si preparano alle nozze mentre giunge al villaggio il conte Rodolfo che trova ospitalità dall’albergatrice Lisa. Le luci, secondo il gioco appositamente studiato da Salvatore Da Campo, si colorano di caldo oro, di rosa e di blu enfatizzando i momenti di maggiore slancio lirico dei protagonisti.

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Al suono delle cornamuse che riducono gli armenti all’ovile, la folla si ritira volgendo il pensiero a quel fantasma che turba la quiete del villaggio, un’ombra che procede a passo lento “in bianco avvolta lenzuol cadente col crin disciolto con occhio ardente”. Il fantasma altri non è che Amina la quale, in preda a sonnambulismo, quella notte, viene ritrovata dormiente nella stanza del conte, scenicamente realizzata con tele dipinte che riportano dettagli architettonici e quadri appesi alle pareti per una incredibile e realistica resa prospettica. Equivoci ed umane debolezze – che mortificano il lume della ragione dimostrando quanto sia più facile credere ad uno spettro invece che alla buona fede di un essere umano – saranno causa di rottura tra i due fidanzati. Ma il conte Rodolfo – il solo portavoce della verità sul palcoscenico, unico complice il pubblico – risolverà il mistero rivelando a tutti l’inesistenza del fantasma ed il sonnambulismo di Amina.

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Amina, innocente tortorella, emblema del candor, è generosamente interpretata da Irina Dubrovskaya, soprano di naturale grazia e bellezza, di agilissima e limpida vocalità. Nulla manca ad Irina: preziosi suoni che rasentano la perfezione di un’ incisione su disco, divina presenza scenica, potenti acuti di cristallo, vivace virtuosismo, estremo controllo vocale che muove ora a tenerezza ora a malinconia.
Nei panni di Elvino, il ricco possidente promesso sposo di Amina – geloso persin del zefiro amante, del sol, del rivo che le fa da specchio – troviamo Jesus Leon, tenore dal buon fraseggio, discreta presenza scenica ed elegante espressività mai sdolcinata, rilevata soprattutto nei deliziosi duetti d’amore. La brava Giulia Semenzato è l’albergatrice Lisa che regala una performance intensa e brillante sotto ogni punto di vista.

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Dario Russo si distingue per imponente presenza scenica e magistrale vocalità, un sorprendente conte Rodolfo che domina grandemente lo spazio, maestoso ad ogni suono e monumentale in ogni gesto. L’incontro tra Dario Russo ed Irina Dubrovskaya (Amina) scolpirà attimi di assoluta perfezione. Sonia Fortunato veste egregiamente i panni di Teresa, mugnaia e madre adottiva di Amina. Ottime le interpretazioni di Alessandro Vargetto (Alessio) e Riccardo Palazzo (Un notaio).
Alla guida dell’eccelsa Orchestra del Teatro Bellini, il Maestro Sebastiano Rolli: la sua, una direzione discreta, devota e perennemente a supporto della narrazione, in favore dei mille colori orchestrali e della struttura sonora lieve e sfumata che la belliniana Sonnambula esige.
Eccellente l’attenta lettura ad opera del Coro del Teatro Bellini diretto dal Maestro Gaetano Costa: solidissima l’omogeneità di suono, alta la partecipazione scenica ed ampia la fedeltà ai chiaroscuri espressivi dettati dal testo, dagli accenti di rimprovero, ai sospiri di rammarico, all’ improvvisa gioia.

Un grande omaggio alla Bellezza merita di essere così congedato:

L’effetto prodotto dalla Sonnambula deriva appunto dalla natura della musica, totalmente diversa da quella che sventuratamente si usurpa oggidì la signoria dei teatri … Perocchè la musica del Bellini, sentita e risentita le mille volte, e da quasi sei lustri, vi suona all’orecchio ed al cuore sempre soave è sempre possente come il giorno in cui nacque: ella vi par sempre nuova, perché il bello ed il vero non invecchiano mai: ella segue a piacere, e seguirà per lunghi anni, perché la potenza del diletto non ha prescrizione”

  • Da “Felice Romani ed i più riputati maestri di musica del suo tempo” – Cenni biografici ed aneddoti raccolti e pubblicati da sua moglie Emilia Branca, Torino-Firenze-Roma, Loescher, 1882

Giacomo Orlando Fotografo

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