FLASHES E DEDICHE
Non soltanto le mucche non leggono Montale ma a quanto pare neanche certi editori.
Mi trasformo quindi in un “poeta” da social, tipo coloro che aggiungono la qualifica di “scrittore” o appunto “poeta” al proprio nome, si creano una pagina “artista” e pubblicano i propri pensierini patetico-elementari, alimentati da gabbiani e Io, che si concludono, dopo un rullo di tamburo, con la famigerata scritta “tutti i diritti riservati”. Ho provato a fare un esperimento. Nel giro di poche ore ho realizzato un file con una trentina di poesie. Le poesie erano frammenti di liriche di poeti consacrati dalla storia della letteratura: Caproni, Luzi, Foscolo, Montale, Strand, Plath Majakowskj solo per fare alcuni nomi, in più ho aggiunto due poesie scritte da alunni di scuola elementare. Creavo un nom de plume, un titolo improbabile e randomicamente mandavo lo pseduocapolavoro a 25 case editrici specializzate in pubblicazioni poetiche, dislocate su tutta l’area geografica italiana.
Riporto quanto esposto ne “Le mucche non leggono Montale” (Marco Saya ed.2013) precisamente a pag.11 : “Funziona così, più o meno. L’aspirante poeta manda il suo capolavoro, a cui ha dedicato tanto tempo, speranzoso e fiducioso a questi editori (non sto parlando ovviamente di tutti i micro editori), i quali hanno un bel sito web che ti invoglia, un comitato di lettura e tutto quanto dall’apparenza seria e professionale. Dopo un tempo standard rispondono, o tramite mail o lettera o addirittura telefonano dicendoti che il lavoro è superlativo, unico nel panorama attuale, che le immagini della scrittura sono altamente evocative (!) e tutta una serie infinita di complimenti che gonfiano l’ego dell’aspirante narcisoappagato. Poi seguono considerazioni finanziarie legate alla difficoltà del mercato, ai problemi legati alla poesia, ma che comunque il lavoro è il migliore che abbiano letto negli ultimi periodi e che vale la pena pubblicarlo. In verità il lavoro non lo hanno proprio letto oppure hanno dei veri incompetenti nel comitato di lettura. Soldi, soldi e niente altro. Nessun valore artistico, nessun credo poetico. Hanno messo in piedi una truffa legalizzata. La vanità ha alimentato il loro conto in banca. Narciso avrà il libro, il nome stampato in copertina, un editing scarso o nullo, qualità materiale del prodotto misera. Finalmente però apparirà su Google ed anche lui sarà un poeta.”
Sinceramente devo da subito fare un plauso ai vari comitati di lettura, preparati e seri, ben disposti a leggere il manoscritto di un esordiente e soprattutto dal gusto sopraffino in fatto di letteratura. Mi sono reso conto che anch’io, finalmente, avevo scritto un capolavoro unico!!!! Dopo neanche tre giorni dall’invio del file, inizio a ricevere mail esaltanti, proposte di contratto editoriali, valutazioni positive. Non è tutto; fioccano telefonate (anche insistenti e petulanti), mi arrivano a casa contratti soltanto da firmare, brochure, volantini. Stavo iniziando ad essere la nuova mucca: mucca o pollo da spennare? In un caso o due però mi fanno osservare che c’è qualche verso da ritoccare. Siamo al limite del paradosso, devo avvisare gli autori che i loro versi non sono così tanto perfetti come si pensava.
Non tutte le case editrici mi hanno risposto per fortuna, anche se, mi viene da pensare, probabilmente erano così intasati dalle proposte delle nuove scoperte poetiche da non aver avuto tempo per questo nuovo Ungaretti in nuce.
Devo dire che i modi di fare e di presentarsi per molte di queste “tipografie mascherate” sono stati invitanti, menzogneri ma seducenti. Mi hanno proposto editing (in poesia?) servizio impaginazione (un pdf non bastava?) pubblicità, diffusione, distribuzione, passaggi radiofonici e televisivi.
Lo ammetto mi sono sentito un dio, il mio ego mi dava il buongiorno, la mia realizzazione come scrittore di successo era vicina.
Eccolo qui il gioco, l’inganno, il trucco, nato da studi di mercato e di profili psicologici : Narciso paga per sentirsi appagato.
Credo fermamente che i signori e le signore che dirigono queste case EAP si debbano vergognare per il meschino, vile, umiliante sistema che hanno creato ad uso e consumo del sottobosco pagano della poesia. È davvero molto meglio autopubblicarsi attraverso uno dei vari siti di selfpubblishing presenti in rete o informarsi sulla serietà di certi editori. In Italia ci sono molti di loro che amano il proprio lavoro e lo fanno con sforzi e risultati eccellenti, senza speculare sugli autori.
Il risultato sarà lo stesso, nessuno sarà stato ingannato e soprattutto si saranno risparmiati svariate centinaia o migliaia di euro.
Faccio ancora degli esempi concreti : un gruppo editoriale che penso racchiuda più marchi, mi manda a casa di tutto: esempi di pubblicazioni, volantini, impegni della casa editrice. Insieme a tutte queste belle cose anche la lettera che tanto fa gongolare i versificatori: la sua raccolta è stata approvata!!!
L’orgasmo che sembrava interminabile si interrompe, classico esempio di poeta interruptus: c’è una cifra da pagare, quasi 2.000 euro.
C’è anche un invito a telefonare per maggiori spiegazioni e dettagli. Non mi tiro indietro. Mi risponde una gentile signorina che parla come se stesse leggendo una guida informativa. Davanti alla mie titubanze, mi dice che allora possono venirmi incontro riducendo le copie in stampa ma abbassando sensibilmente la cifra da pagare a circa 1.300 euro. Razionalmente non so spiegarmi questa differenza di costi se non con l’esistenza di un’organizzazione dietro a tutto questo, fatta in modo da indurre l’ignaro poeta a pubblicare. A quel punto chiedo alla solerte signorina che mi sta parlando, un giudizio tecnico sul mio lavoro. La pervicace giovane ha delle incertezze, prende tempo, sembra cercare qualcosa che non trova. D’improvviso riprende fiato e parte di nuovo a memoria. “La sua raccolta è densa di immagini, altamente evocativa (forse Majakowskj), lo stile ricercato (forse Luzi)”; la interrompo, le chiedo quali poesie in particolare le siano piaciute di più. Attimo di silenzio, balbettio, riprende il discorso “ squarci di memoria e autobiografia…” la interrompo di nuovo, le chiedo per favore di citarmi almeno una delle poesie che più l’ha colpita. Non sa rispondere. Farfuglia qualcosa poi candidamente ammette che non si ricorda i titoli esatti. Dopo questo mea culpa decido che lo strazio è durato anche troppo. Taglio la conversazione, ringrazio e aggiungo che penserò alla loro proposta. Per completezza di informazione, nella raccolta che avevo inviato, nessuna poesia aveva un titolo. Analizzo una cosa evidente ma non adeguatamente considerata da parte degli aspiranti poeti. Queste aziende che promettono e illudono di pubblicare capolavori poetici (ma non soltanto poetici), la poesia come forma d’arte, si riducono in realtà ad applicare una filosofia di business speculativo : la poesia come forma d’arto, in quanto l’unico interesse è la mano che firma un cospicuo assegno.
Ho dato un’occhiata ai cataloghi. Vengono pubblicati mediamente circa una trentina di titoli al mese, trenta pollipoeti. Tra loro, nell’invisibilità più assoluta sicuramente sarà presente anche qualche voce interessante. Parlo di invisibilità perché il libro non avrà distribuzione, i passaggi radiotelevisivi saranno effettuati su canali in streaming o su emittenti di quartiere sconosciute agli stessi autori.
Facendo in fretta due conti, trenta libri a circa 2.000 euro l’uno sono un bel guadagno a fronte di una spesa per la stampa non certo superiore ai 6-8.000 euro (in eccesso) mensili. Sorrido nel leggere che il loro capolavoro sarà pubblicato da una “prestigiosa” casa editrice con la quale è difficilissimo pubblicare. Li lascio contenti e felici della beneficenza che hanno deciso spontaneamente di fare, con tutti i diritti riservati.