Le novelle crudeli di Francesco Cusa

di Alfredo Nicotra “Guido Pistocchi aveva letto L’Aleph di Borges. E ovviamente si era convinto di aver trovato nella parola ‘morte’ una sorta di quintessenza spirituale, di sigillo, di porta (…) che nell’iterazione ossessiva di un lemma potesse darsi una qualche forma di conoscenza ultraterrena, o comunque estrinsecarsi un barbaglio di mistero”. C’è poco dell’orrore e del grottesco quotidiani in questi racconti, brevi e smisurati al tempo stesso, che sin dal titolo vogliono strizzare l’occhio a Edgar Allan Poe. Tuttavia ciò che conservano del genio americano, a parte i soggetti e la visionarietà febbrile, è un certo maledettismo esasperato (come se un Poe meno acuto e riflessivo si fosse deciso a lasciarsi andare all’assunzione di sostanze psicotrope). Ne vengono fuori storie surreali e fantastiche, i cui personaggi, spesso vittime di loro stessi, delle proprie passioni e della propria ferocia, si muovono disinvoltamente nello spazio del racconto tra vizi assurdi e perversioni. Un campionario di storie di menti alienate, di uomini e donne ritratti nell’istante di accedere al momento estremo di una rivelazione, declinata nella forma radicale della morte e ancor più in quella ripugnante della follia. E il cui riscatto dalla condizione di miseria avviene solo con la parola fine. Ogni forma di oscenità e di orrore preumano sono sondati con una “caratteristica mercuriale”, vivace ed eccessiva, dall’autore. I toni sono infatti quelli dello splatter e di una ironia cinica che serve a distanziare la voce dal racconto. La scrittura è disomogenea per scelta, eppure paradossalmente risiede in essa il gradiente di godibilità del libro. Cusa, che è soprattutto un musicista jazz, ha scelto la forma narrativa, con le sue leggi e i suoi codici, come uno spazio in cui operare una personalissima sperimentazione, un’improvvisazione solitaria e disturbante. Lo stile a tratti baroccheggiante si strema a volte in un lirismo dadaista. I testi diventano così dei pezzi naif e selvaggi, dall’andamento sbilenco e zoppicante, come improvvisazioni musicali, vivi di una scompostezza stilistica che corrode la struttura del racconto o tende il filo della trama senza paura di spezzarlo, o di farlo eccedere. “La mia gola è un’immensa cascata nera di bianco”, ci rassicura l’autore.

(recensione uscita sul numero di Ottobre dell’Indice dei Libri del Mese)

Francesco Cusa, Novelle crudeli. Dall’orrore e dal grottesco quotidiani, illustrato da Daniele La Placa,

pp. 304, € 14, Eris, Torino 2014

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