Ad agosto Carteggi Letterari si prende una pausa e sospende la programmazione ordinaria. Riproporremo post apparsi nel primo anno di attività. Natalia Castaldi riflette su Paul Celan (pubblicato il 7 novembre 2014).
“La critica della cultura si trova dinnanzi all’ultimo stadio di cultura e barbarie. Scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro e ciò avvelena anche la stessa consapevolezza del perché è divenuto impossibile scrivere oggi poesie”,
non aveva ancora fatto i conti con la poetica di Celan, con quel “ciò che è stato”, che segna la lacerazione della storia nel suo “prima” e nel suo “dopo” Auschwitz.
In un appunto trovato tra le carte di Celan si legge:
“Nessuna poesia dopo Auschwitz: qual è la concezione della poesia posta sotto accusa? La presunzione di chi ha il coraggio,
ipoteticamente-speculativamente,
di considerare o raccontare Auschwitz dalla prospettiva dell’usignolo oppure del tordo”.
Celan non accetta, non può accettare l’accusa di barbarie per aver parlato dell’orrore di Auschwitz, egli conosce bene il valore del monito, l’importanza dell’accusa, il nesso sottile che lega il sopravvissuto alla memoria dell’amato defunto. Scriveva Osip Mandel’štam, poeta molto caro a Celan,
“Nella distanza della separazione, i tratti di una persona a cui si vuole bene si sfumano. E allora cresce in noi il desiderio di dirle cose importanti che non abbiamo potuto dirle quando la sua figura era davanti ai nostri occhi, in tutta la sua concretezza”,
e di fatto, tutta la poetica di Celan si dipana da quel nodo, che lega insieme il dolore del ricordo all’esigenza di mantenere viva la memoria dello strappo dalla famiglia, dagli affetti, dalle certezze e più di tutto dalla madre, strappo che solo i versi possono perpetrare, mantenendone viva la lacerazione con la dignità della memoria e del suo orrore, e scriverà:
Madre, madre Strappata dall’aria
Strappata dalla terra. Giù
Su
trascinata. Ai coltelli ti consegnano scrivendo,
con abile mano sciolta, da nibelunghi della sinistra, con
il pennarello, sui tavoli di teck, anti-
restaurativi, protocollari, precisi, in nome della inumanità da distribuire
di nuovo e giustamente,
da maestro tedesco,
un garbuglio, non
a – bisso ma (*)
a – dorno
scrivendo,
i reci-divi,
consegnano
te
ai
coltelli.
Tra il poeta e il filosofo da quel momento si avviò un intenso “botta e risposta”, testimoniato dal lavoro di ricerca e ricostruzione redatto da Paola Gnani, nel volume “Scrivere poesie dopo Auschwitz – Paul Celan e Theodor W. Adorno”, che seppure non portò ad un vero e proprio incontro tra i due uomini, senza dubbio segnò una svolta nel pensiero del filosofo riguardo la concezione dell’arte dopo Auschwitz, tanto che negli ultimi anni della sua vita, nella Dialettica negativa, Adorno ebbe a raddrizzare il tiro scrivendo:
“Il dolore incessante ha tanto diritto di esprimersi quanto il martirizzato di urlare. Perciò forse è falso aver detto che dopo Auschwitz non si può più scrivere una poesia […] L’arte che non è più affatto possibile se non riflessa, cioè presa se non come un problema, deve da sé rinunciare alla serenità. E la costringono innanzitutto gli avvenimenti più recenti, il dire che dopo Auschwitz non si possono più scrivere poesie non ha validità assoluta, è però certo che dopo Auschwitz, poiché esso è stato e resta possibile per un tempo imprevedibile, non ci si può più immaginare un’arte serena”.
Non a caso, Ladislao Mittner definì Celan come
“il più grande poeta emerso dalla tragedia della seconda guerra mondiale”
attribuendo alla sua poesia l’intensità dolente
“di un grandissimo requiem ideale sui dieci milioni di ebrei sterminati dai nazisti”.
La poesia di Celan come alcune tele di Chagall(**), intesse il dolore in una rete ermetica fatta di simboli ed immagini che, evocando tanto la memoria del quotidiano quanto la simbologia religiosa della Torah, non ne banalizzi la rappresentazione cronachisticamente. La ricerca di Celan scava la parola fino a trovarne e restituirne il senso universale della sofferenza, scorticata nell’intimo e più profondo significato di ogni lemma, affinché sia monito ed immagine fissa agli occhi per le generazioni future, come memoria di “ciò che è stato”:
orrore, vergogna d’esistenza insita nella natura – barbara e bestiale – dell’uomo, perché “ciò che è successo” è e non sia, e perché l’Olocausto rappresenti sempre “ciò che è stato” e potrebbe ancora essere, dacché la sua scomoda rappresentazione sta proprio nell’aver messo a nudo l’a-bisso del male di cui l’uomo è capace.
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Fuga di morte (versione a cura di Francesco Marotta)
Nero latte dell’alba noi lo beviamo la sera
lo beviamo a mezzogiorno e al mattino lo beviamo la notte
beviamo e beviamo
scaviamo una tomba nell’aria lì non si sta stretti
Nella casa vive un uomo che gioca con i serpenti e scrive
scrive all’imbrunire in Germania i tuoi capelli d’oro Margarete
lo scrive s’affaccia sulla soglia e vi brillano le stelle aduna con un fischio i suoi cani]
con un fischio chiama fuori i suoi ebrei fa scavare una tomba nella terra]
ci comanda di suonare ora per la danza
Nero latte dell’alba noi ti beviamo la notte
ti beviamo al mattino e a mezzogiorno ti beviamo la sera
beviamo e beviamo
Nella casa vive un uomo che gioca con i serpenti e scrive
scrive all’imbrunire in Germania i tuoi capelli d’oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith noi scaviamo una tomba nell’aria lì non si sta stretti]
Egli grida scavate più a fondo voi là e voialtri cantate e suonate
prende il ferro alla cintura lo brandisce i suoi occhi sono azzurri
scavate più fondo con le vanghe voi là e voialtri suonate ancora per la danza]
Nero latte dell’alba noi ti beviamo la notte
ti beviamo a mezzogiorno e al mattino ti beviamo la sera
beviamo e beviamo
nella casa vive un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith egli gioca con i serpenti
E grida suonate più dolce la morte la morte è un mastro tedesco
grida strappate ai violini suoni più cupi poi salirete come fumo nell’aria]
così avrete una tomba nelle nuvole lì non si sta stretti
Nero latte dell’alba noi ti beviamo la notte
ti beviamo a mezzogiorno la morte è un maestro tedesco
ti beviamo la sera e al mattino noi beviamo e beviamo
la morte è un maestro tedesco il suo occhio è azzurro
ti colpisce con una palla di piombo colpisce proprio te
nella casa vive un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete
aizza i suoi cani contro di noi ci regala una tomba nell’aria
gioca con i serpenti e sogna la morte è un maestro tedesco
i tuoi capelli d’oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith
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Todesfuge Schwarze Milch der Frühe wir trinken sie abendswir trinken sie mittags und morgens wir trinken sie nachts
wir trinken und trinken
wir schaufeln ein Grab in den Lüften da liegt man nicht eng
Ein Mann wohnt im Haus der spielt mit den Schlangen der schreibt
der schreibt wenn es dunkelt nach Deutschland dein goldenes Haar Margarete
er schreibt es und tritt vor das Haus und es blitzen die Sterne er pfeift seine Rüden herbei
er pfeift seine Juden hervor läßt schaufeln ein Grab in der Erde
er befiehlt uns spielt auf nun zum Tanz Schwarze Milch der Frühe wir trinken dich nachts
wir trinken dich morgens und mittags wir trinken dich abends
wir trinken und trinken
Ein Mann wohnt im Haus der spielt mit den Schlangen der schreibt
der schreibt wenn es dunkelt nach Deutschland dein goldenes Haar Margarete
Dein aschenes Haar Sulamith wir schaufeln ein Grab in den Lüften da liegt man nicht eng Er ruft stecht tiefer ins Erdreich ihr einen ihr andern singet und spielt
er greift nach dem Eisen im Gurt er schwingts seine Augen sind blau
stecht tiefer die Spaten ihr einen ihr andern spielt weiter zum Tanz auf Schwarze Milch der Frühe wir trinken dich nachts
wir trinken dich mittags und morgens wir trinken dich abends
wir trinken und trinken
ein Mann wohnt im Haus dein goldenes Haar Margarete
dein aschenes Haar Sulamith er spielt mit den Schlangen
Er ruft spielt süßer den Tod der Tod ist ein Meister aus Deutschland
er ruft streicht dunkler die Geigen dann steigt ihr als Rauch in die Luft
dann habt ihr ein Grab in den Wolken da liegt man nicht eng Schwarze Milch der Frühe wir trinken dich nachts
wir trinken dich mittags der Tod ist ein Meister aus Deutschland
wir trinken dich abends und morgens wir trinken und trinken
der Tod ist ein Meister aus Deutschland sein Auge ist blau
er trifft dich mit bleierner Kugel er trifft dich genau
ein Mann wohnt im Haus dein goldenes Haar Margarete
er hetzt seine Rüden auf uns er schenkt uns ein Grab in der Luft
er spielt mit den Schlangen und träumet der Tod ist ein Meister aus Deutschland dein goldenes Haar Margarete
dein aschenes Haar Sulamith
*
SALMO
Nessuno ci impasta di nuovo da terra e fango,
nessuno rianima la nostra polvere.
Nessuno.
Che tu sia lodato, Nessuno.
Per amore tuo vogliamo
fiorire.
Incontro a
te.
Un Nulla
fummo, siamo, reste-
remo, noi, in fiore:
la rosa di Nulla, di
Nessuno.
Con
il pistillo chiaro-anima,
lo stame deserto-cielo,
la corolla rossa
per la parola porpora, che cantammo
al di sopra, oh al di sopra
della spina.
[versione a cura di Donata Feroldi e Enrico Cardesi]
PSALM
Niemand knetet uns wieder aus Erde und Lehm, | niemand bespricht unsern Staub. | Niemand. | | Gelobt seist du, Niemand. | Dir zulieb wollen | wir blühn. | Dir | Entgegen. | | Ein Nichts | waren wir, sind wir, warden | wir bleiben, blühend: | die Nichts-, die | Niemandsrose. | | Mit | dem Griffel seelenhell, | dem Staubfaden himmelswüst, | der Krone rot | vom Purpurwort, das wir sangen | über, o über | dem Dorn.
Paul Anczel, meglio conosciuto con l’anagramma del cognome Celan, nasce nel 1920 a Czernowitz (da poco annessa alla Romania) da genitori ebreo-tedeschi. Nel ’38 si trasferì a Parigi per intraprendere gli studi presso la facoltà di Medicina, che presto abbandonerà per dedicarsi agli studi di letteratura romanza presso l’università di Czernowitz. L’anno successivo però ebbe inizio il tragico succedersi degli eventi luttuosi che videro il suo popol ed i soi cari sterminati dall’orrore nazista. I genitori di Paul furono deportati e solo lui riuscì a fuggire riparando a Bucarest dove, finita la guerra, iniziò a collaborare con due case editrici ed a pubblicare i suoi primi versi con lo pseudonimo di Paul Celan, successivamente si recò a Parigi, dove lavorò come insegnante e traduttore per riprendere e, dunque, mantenersi agli studi universitari. Nel ’50 divenne lettore di lingua e letteratura tedesca presso l’École Normale Superiéure, nel 1970 si uccise gettandosi nella Senna.
Note:
(*) l’ottima traduzione di Michele Ranchetti mette in evidenza il gioco di parole che polemicamente fa riferimento alla concezione poetica di Theodor Wiesengrund Adorno, giocando con le assonanze del suo stesso nome, traducendo quello che nell’originale tedesco è reso con
“ab – gründig e ab – wiesen”
in “a-bisso e a-dorno”.
(**) La simbologia di Chagall non prescinde dal dolore di un’epoca di persecuzione e dall’infamia della shoa, così saranno del periodo americano il “Cristo ebreo”, opera in cui ritrae un Cristo sulla Croce ricoperto da un tallit (tallet: mantello quadrangolare della tradizione ebraica che presenta un fiocco per ogni lato), che divenne icona di contestazione e rivendicazione del dolore di un intero popolo “crocefisso”.
Sembianze Cristologiche verranno molto più tardi, nel 1975, attribuite anche al suo “Giobbe” dipinto nel quale ritroviamo la simbologia degli agnelli accostata ad un crocefisso anch’esso polemicamente presente nel quadro.
natàlia castaldi
Riferimenti bibliografici:
– Stefano Zampieri “Il flauto d’osso – Lager e letteratura” – casa ed. Giuntina
– Paola Gnani, nel volume “Scrivere poesie dopo Auschwitz – Paul Celan e Theodor W. Adorno” – casa ed. Giuntina
– Antologia della poesia tedesca – a cura di Roberto Fertonani e Elena Giobbio Crea – Ed. Mondadori
– Th. W. Adorno, Dialettica negativa, Einaudi