Su “Santuario del transitorio” – Alessandro Salvi

di Viola Amarelli

Sestine, madrigali e financo una “sonettessa” in questo “Santuario del transitorio” (L’arcolaio, 2014) di Alessandro Salvi che raccoglie e sistematizza precedenti plaquette ma la scelta stilistica non inganni, in questo libro si trova poco del neo-metrico degli ultimi decenni. Il riuso di formule classiche, difatti, sembra qui riconnettersi a ragioni differenti: l’esigenza di “dire” il crudo del nulla attingendo agli stilemi dell’epoca storicamente regina della “vanitas”, il barocco; l’italofonia dell’autore, nato e residente a Rovigno nell’Istria ora croata, che filtra nella lingua “fossili” letterari tanto più preziosi quanto più avvertiti lontani, coniugandoli peraltro in un dettato lineare e trasparente. La forma chiusa, di fatto,  è in Salvi declinata con un’apparente semplicità colloquiale  e una vena di continua autoironia tali da allontanare ogni sospetto di mero esercizio tecnico o iperletterarietà.

La dimensione dell’horror vacui (Occorre negoziare con l’orrore del nulla) è presente sin dal titolo, mutuato dalla prima delle tre sezioni dell’opera; il transitorio si palesa come inospitale zona del sentire, il tempo-spazio di un lì dove vita e morte si coagulano ma anche – contemporaneamente – dove La bianca quiete della neve innerva/ nuova linfa all’inverno, realizzando una geometria impeccabile del gelo. La coesistenza della polarità nel divenire è fortemente presente in questa poesia, con una presa d’atto agrodolce delle antinomie esorcizzate attraverso un timbro ironico e tanto più dolente quanto più filtrato dallo sguardo crudo di Salvi. (Tu non hai colpa alcuna di quel che avviene, sei/innocente e candida come il camice/del macellaio dove il tu è una donna già amata o la stessa vita o entrambe).

Se di “santuario”, tuttavia, si tratta, non lo è soltanto in senso antifrastico. E’ il verso, la scrittura che sembra fornire – sia pure tra oscillanti dubbi o meglio “rovelli”, visto lo scenario barocco prescelto – un rifugio e una metodologia di approfondimento di un’esperienza ontologicamente precaria (Giorno per giorno dentro l’ascensore/dell’umore che oscilla sale e scende/centrando a volte un equilibrio instabile). Di qui anche una costante tenzone con se stesso, e con l’ombra del mondo – che innerva soprattutto tutta la seconda sezione, non a caso intitolata “Madrigali eroici” – in un gioco che si profila al tempo stesso futile e mortale, ritornando nell’ultima parte (“Ladro di tamerici”, parodicamente dannunziano) con i……testacoda semantici grondanti/il vuoto di cui saturo son tronfio al tema centrale della vanitas, e soprattutto all’ambivalenza della coscienza umana. Così, a delineare quasi un cerchio uroborico, il libro si chiude con un (penso) parentetico, parallelo alla robusta e mesta serpe del pensiero del testo introduttivo, l’eden esibito trovando appunto nella conoscenza la ferita nascosta e immedicata.


testi

(da Santuario del transitorio)

I giorni che ci attendono
saranno forse giorni claustrofobici
ma nostri
e a noi non resta che adempiere al compito
di viverli e, perché no? migliorarli.
Giorno per giorno dentro l’ascensore
dell’umore che oscilla sale e scende
centrando a volte un equilibrio instabile
precario, prima o poi
destinato a fallire
ostaggi quali siamo
di questo divenire…
questa lotta che in noi s’accalca e smotta,
come suolo friabile
da scosse sismiche spesso percosso.


Sonettessa suonata e un po’ depressa
che entrasti nel mio cranio a far razzia
perché mi arrivi irosa e manomessa?
Liberarmi dovrei da ’sta pazzia

 
che m’invase e permette viva ossessa
l’orrenda bestia, disumana arpia
che abita indisturbata questa stessa
mia stanza o cella, questa mia poesia.

 
Stanza copiosa d’immonde presenze:
fenomeni paranormali e demoni
vi troneggiano spavaldi ed egemoni,

 
mi fanno scrivere solo scemenze.
Come un pesce che proprio sempre abbocca,
ci casco in pieno… Poi puntuale scocca

 
questa follia barocca:
questo fecondo nulla che nell’ombra
mi fionda e sfonda porte e stanze sgombre.

 
E tu: “Que pasa, hombre?”
mi prendi in giro e strafottente ridi
poi chiami un altro giro e infine sfidi

 
la mia pazienza e ledi
il sottoscritto: fuso e fuori uso.
Hai vinto tu, lo ammetto. Adesso ho chiuso


(da Madrigali eroici)

Di un eccessivo sforzo il morso ferreo
mi agguanta e sfianca, allora
depongo la mia rabbia come un’ascia
di legno marcio e accolgo la sconfitta
quale unica vittoria possibile.

 
Non sempre riuscirò a farmi comprendere.
Sono queste le poche cose certe.
Sono queste le regole da infrangere.

 
Forse nessuno riuscirà a convincermi.

 
Forse mai riuscirò a carpire il senso
di questo vento che mordace ulula,
perché non ha confini la sua rabbia
e da se fugge fugge fugge invano
alla ricerca di qualcosa …cosa?

 
Vento che invano vomiti vorace
nel tuo ventre nidifica la pace.


Non ce la faccio a subire ulteriori
sconfitte, sempre le solite scene…

 
Non posso tollerare più le vostre
parole polveriere, che in agguato
minacciano di esplodere.

 
Questi sguardi caudati non mi piacciono
per niente,
manco le vostre mani frigorifere.
Via dalle vostre grinfie e dalle vostre
graffianti smorfie amorfe.

 
Ora sono di un’altra specie, dicono.
E non mi è dato essere che questo:
cinico osservatore di me stesso,
allegro affossatore del non detto.


(da Ladro di tamerici)

stamattina ho sognato di sognare
ho visto tutte le persone che
a me care non ho saputo amare
come si deve

 
l’unica cosa certa? la seguente:
son giorni e giorni che non riesco a smettere
di bere dosi ingenti giornaliere
di birre amare

 
delle quali non mi godo l’amaro
macché! le bevo perché non so che altro
fare (o cazzo!)… così mi lascio andare
…seguito a bere


è vero: poco o niente vale il verso
lo vedi è scritto nel mio bianco volto
praticamente non so più che dire
si ricompone in lui la mia figura
potessi coi miei occhi tu guardare
saper vorresti quel che sento e penso

 
cosa dirvi sennonché quel che penso?
quel che chiaro vedete nel mio verso
specchio obsoleto di questo guardare
sempre lo stesso scivoloso volto
che non riesce a trattener la figura
di questo inutile e fallace dire

 
cosa dire oltretutto sul mio volto?
qual figura sta emergendo dal verso?
dove guardare, dove perdio!? (penso)

 

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