Caterina Davinio

a cura di natàlia castaldi

Caterina Davinio (Foggia 1957). Dopo la laurea in Lettere si è occupata di arte dei nuovi media come autrice, curatrice e teorica. Tra i pionieri della poesia digitale, è la fondatrice della net-poetry italiana. Ha esposto in centinaia di mostre in numerosi Paesi del mondo, tra queste sette edizioni della Biennale di Venezia ed eventi collaterali, cui ha collaborato anche come curatrice, le biennali di Sydney, di Lione, di Merida, di Liverpool, di Atene, e molte altre. Inclusa in pubblicazioni italiane e straniere d’arte, letteratura e avanguardie, ha ricevuto premi in Italia e all’estero per l’attività letteraria e artistica. Sue opere poetiche e saggistiche sono tradotte in inglese.

Ha pubblicato i romanzi Il sofà sui binari (2013), Còlor còlor (1998); per la saggistica: Tecno-Poesia e realtà virtuali (2002) e, sulla net-poetry, Virtual Mercury House (2012); in poesia: Aspettando la fine del mondo (2012), premio Astrolabio per l’originalità del testo; Il libro dell’oppio (2012), finalista nel XXV Premio Camaiore e tra i selezionati del Premio Gradiva, New York; Fenomenologie seriali (2010), terzo classificato nel Premio Carver e menzione speciale nel Premio Nabokov; Fatti deprecabili. Poesie e performance dal 1971 al 1996, Premio Tredici 2014.

Testi

Festa notturna in un casale di campagna

Quella notte la terra tremò,
quaranta scosse e più,
mentre andava la musica tra le vecchie mura
e i folli danzarono,
torsero le loro bocche
nel riso selvaggio,
vuotarono i bicchieri di vino rosso.
Il mio amico scappò fuori, nel bosco,
aprì le portiere dell’auto, accese lo stereo
e spaccò la notte con i suoni
del suo rock più cattivo,
poi si mise a rollare marijuana
e io, già ubriaca,
vidi il mondo andarsene sghembo, di traverso,
travolta da una vertigine e da un conato,
partii per la tangente verso l’infinito,
su per soffitti ebbri
che vorticavano
emulando l’alto dei cieli.
Poi la notte andò oltre
e finimmo addormentati negli angoli
di quelle grandi stanze di pietra,
il gelo ci morse
quando restarono solo i sassi del focolare
a insinuarsi nel buio
con bagliori rossi di legna arsa
morenti nella lunghissima notte artica.
Mi accovacciai su quelle lapidi ancora tiepide,
sofferente,
e mi strinsi nella pelliccia ispida
come un vecchio esploratore
in un cantuccio di boschi d’Alaska,
selvatica, come una vecchia orsa.
Nel mantello di ruvidi peli
come un gatto opportunista.
Mentre la terra tremò,
quaranta scosse e più,
la nostra notte sghemba
piano svanì nell’alba spettrale.
Eravamo rimasti in pochi
e un ricordo il fragore notturno
di rocambolesco rock’n’roll,
e andammo intorno
smilzi nelle nostre smorfie gay,
colorati nel grigio
come grida d’angoscia.

(Fatti deprecabili, 2015)


Anorexia

Dieci giorni,
solo eroina,
lunghi sogni
stesa sul divano
nel mio sacco di preziose ossa
poi mi guardo
spettrale specchio
guardo
che giorno è
che ora è
è luglio, luglio di sempre
l’estate fila (filtra) abbacinante tra le fessure delle serrande
e ho dormito per secoli
in un abisso immaginifico
mentre voi vivevate intorno
ignari
e oggi la casa è vuota
raccolgo il mio adorato
scheletro
lieve come una piuma ed elastico
nei pantaloni neri
vestita di nero
come un segno di cattivo potere.

Venti giorni
solo pasticche
acqua, gocce,
purganti,
solo nulla
solo girare dì notte
solo polveri
e una forza disumana
dei nervi
che scatta potente
come una molla
e fa correre, bruciare
rincorrere
tutto l’effimero della città-giocattolo
tutto ciò che mi svuota
finché la vita sento
più forte nel corpo flebile
elastico come un giunco
fino come un filo d’erba.

1981

(Il libro dell’oppio, Puntoacapo, 2012)


Africa

Seppi che eravamo la Terra
il nostro
pianeta
festoso
di forme
e che per sempre
saremmo stati
nella pelle rugosa
dell’immenso animale
Oceano,
che tuonava lì
con i suoi venti
e freschi serpenti di corrente
segreti,
ci lambivano
il corpo
con scaglie d’oro nell’acqua
ora calda
ora mossa
ora placata
ora violenta frusta
di schiume lucenti
sui nostri piedi umili.

(Alieni in safari, inedito)


L’angoscia

L’angoscia ha le sue forme,
le sue mostruose ali
di demone
che strappano il velo della mia alcova
per mostrare
la violenza dell’infinito.

(Fatti deprecabili, 2015)


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