Vincenzo Mancuso

a cura di natàlia castaldi

Vincenzo Mancuso è nato a Torre del Greco il 1974 e vive a Portici (Na). Per anni si è occupato di editoria e giornalismo. E’ presente su alcuni litblog, ma la maggior parte dei suoi scritti sono inediti.

Testi

da La macchina nella mente – 2010

Turno di notte

Può non dirne la prima col fruscio pesante.
E’ che barcolla nelle briciole sotto un getto monocromo
assimilando il freddo alluminio sulla tosse.
Il fermo mascelle nell’acqua la rallenta, la fa
ancora più talpa. Minzione nascosta.
Lo spazio sulla vetrata
da’ la geometria delle occasioni.

Cultura del freddo ai lati di via S. Cristoforo.
Calano in borsa coi tic gli appunti
delle nocche, le nevrosi. Effetti della catena.
Il moto è uno squittire elettrico fra le rampe,
preme sul collo, ricicla i fotogrammi, il grasso
del traffico va alla superficie delle cose
– da lì anticipa la sintassi dello scontro
nell’angolo preposto.

I cadaveri escono dalle maniere
(singole preparazioni) – il proprio di spirito nel blister
incontra dettami di un estraneo.
Dal tavolo al letto è acido del non concesso, quello del 4
verso la marina che allenta.
Fa scatola di rame.
Cenere, sotto l’acrilico invernale
sta nei minuti dell’arpa, sul motivo umido
nelle fibre dove i gradi della visione
si spaccano fra le orde nelle serrande.
Legno afono duplicato dalle labbra.

Se esce è perché i vecchi ritornino
negli antri / dietro le quinte fastidiose
dei rodimenti dopo le vertigini, i gas
gli aggettivi automatici della creanza.
L’affetto nello stomaco vede la salita un azzardo
seccare sui marmi, nel progetto dei viali.
Lo sbandamento del sangue
è l’analisi dei passanti.

Non è propria
ma agita aria sul votivo del risveglio. Uno
consueto delle cinque
scalcia sulla malattia | l’editto al ripiano
col segno dove i segni spaventano
le amnesie nel corridoio:
(eccoci)
l’incendio decide una bolla
che anticipa il risultato.
Le hanno visto la testa separata dalle ore
prima degli abiti, la folla
in qualcuno dietro il cancello per Marilena.
Nel vetro ritagli di una tappa
oltre costruzioni. Anni impreparati.


Novelletta

La conta è dei metri quadri a ogni ventata d’improperi.
Era la meta, il documento.
In sogno è una testa nera poi calva che saluta.
La negazione dell’occidente: la casa.
Dall’ultimo piano di ferro si scorda
il peso degli esseri in difetto
il soccorso possibile. Le grandi voci
mangiate in processione.
Il cemento sono i lati in agilità
sul verde ridotto, certe volte Calder.
Una morte bellissima.

Punta la creta
e quando risale c’è la breve galera
dei piani riservati, le inferriate che gessano il cortile.
E’ così la macchina nella mente
sui campi da sgrassare.
I cieli paese, pagine del salto ripetuto, il binario
sono le vie dei giusti.

[Scariche sul lato malato della veduta. Rientro di voti.
Dalla finestra il largo imbuto successivo (la sentenza studiata).
Il tema umano della novelletta 1].

Le ripetizioni hanno movenze segrete
strettoie, spiriti di vetro.
Un rosso che invade dopo le tensioni
dopo la salita tirata.
Negli occhi è una nave che saluta
un cantiere mobile, la fuga sotto le facce idiote, il tricolore:
la faccenda della resistenza.
Sul registro della fine si riduce nei suoi santuari,
nella preghiera indelicata del prolungamento.
Questa è la figura in attesa, la tenerezza.
Passaggi di consegne
metodo gelo dei numeri – sono le chiavi.

Dal nostro doppio senso
è stata una traccia, una cosa molle che trasloca.
Le stagioni vengono e vanno, maggio
è tornato e non ce ne siamo accorti (2).

note:
1 – da La Teleferica / 2 – da La Capanna Indiana – A. Bertolucci


da Beatitude – 2012

Shift

Sento una madre ululare
e do’ fiato alle maschere negre, alle ottave
premesso l’ovale dei catechisti
studiati sul pianerottolo.
Quelle volte dove cascate oppure plotoni
d’esecuzione o una fila di me dalla porta
con bronchite che fa presenza
sanno di visionarietà.
Per ogni botta di mobili la teologia scoppia
in pentola poiché gli omicidi si preparano dai tubi
e a tutto precede un fischio: la voracità
degli uccelli marini, i cronometri fuori asse.
Uno di questi verrà fuori
mischiando i colori e lo giustifico dai modelli.
Fogne e micosi e la bocca sei tu e la fine
è una scritta se arrivo al filtro.
Gli oggetti d’arredo hanno le quinte
dei flipper e c’è da dedurre sull’astrattismo
se Moreni ha bucato il carattere di chi scrive
cogli occhi a palla.
E’ tutta opera dei massoni
in gradualità di rosso; gli shift che paiono superflui
ma […] non si è figli
a guardare nel portaombrelli colle mani dietro
né nelle merende al posto della fica.
Sette su dieci dei perdifiato daranno ottime prose
altrimenti mutilazioni fra i passanti
chiuse le stazioni, i cessi delle stazioni.
Apparire fortemente è sovrumano
e questa dottrina del coprirsi sotto il sol leone
passa di generazioni, passa la cattiva postura
tre sei per deridere la pena capitale.
Vivo Dio, e nessun altro. Viva gli odori d’inverno
sopravvissuti al touch screen.
Noi cristiani siamo penne moribonde
qualora fosse un carisma sentirsi rimpicciolire
perché anche ai gatti spettano otto ore
per mettere muso sui santi.
Pregherò e Ulisse se la farà con le sirene
e non dicasi delle vocine ntrillavallà
le pene steroidee in un salmo
a caso – fioriture: copertina e ricomincio – io prego, tanto.
L’eccellenza è in ogni buca ad angolo
per esemplificare: cucù – tetè, e mi sfotte/o
finché chi confonde il termine da diavolo
fra i lupi, tirerà su la tonaca.


Parabolica

Uno, sfogliare parole
crociate, la geografia di Aristotele.
Due: opzioni, e non per la medicina tradizionale.
Dico un’amaca, percorsi d’occhi che finiscono
coi vasi e dove andranno i motori sono rifiuti
e fattezze al limite del Photoshop;
come si vive con occhi storti e cattiveria.
I tacchi dicono, e anche l’infinito
di fronte alla credenza: i Pearl Jam
da un bilocale alla torre d’avorio fanno
la conta delle t-shirt ch’è un caso uscire
indenni, poverissimi ma di talento.
Allora, vediamo: i corvi approfittano
delle ambulanze mentre in divisa
si fa la coda per le mazzette, ei centroavanti.
Ripeto con più iodio e gironi
nel petto: Pasolini sotto i pilastri
e le avanguardie che è come dire un paio
di marciapiedi, o un quarantacinque di vita
e le granite per stringere la cinghia.
Però è tutt’altra cosa lasciando stare
Marrakech e i feticisti.
Basta sponsorizzare la pagina.
Lilliput e ghigni sulle istantanee
dei neofiti in carriere improbabili
senza leggere la lectio.
Alla fin fine conta l’alzabandiera
e restare sbarbati
davanti alla formalità dei fantasmi.

*

Novità, quindi, è anche fare le scale
a piedi, il colore dei tetti, la loro
pazienza uguale a quella dei boscaioli.
Niente finestre marroni, le taglio
è uno sfregio agli occhi di una.
Una è dire parabolica, capisce
anche uno sputo e mi ama.
Appena dopo, i glossari, le penne a sfera.
Le foglie che chiedono
aiuto: sono palmi, interrati che si chiudono
o l’erba o l’Elba – tentazioni, sex nell’acqua
e/o frangenti da idiota che ridanno il respiro.
Tenerezza, e mi tocco.
Poi un bimbo mezzo sangue in attesa
dall’aldilà e dico latrina entrambe e qui
Ungaretti, visto che vita è già morte
prendiamola con fisionomia, con musica
orchestrata, da eroi spazzini, e Novalgina
dopo la guerra: una venuta acre
paradossalmente, ancora, all’infinito.
Madre Teresa con dieci regole fitness
e niente scatolette.
Gli spartiti sono le ovaie e fresco
d’Agosto, la poesia nei cestini e via
con oroscopi e mancamenti.
Insomma, acqua acrilica e chiodini sugli zoccoli.
Girandole e you porn, come dire 1 e 90
con razionalità, che vale a dire la critica militante.


2 pensieri su “Vincenzo Mancuso

  1. condivido il tuo pensiero, Francesca, ma mettici un po’ la ritrosia a esporsi di Vincenzo e il disastro culturale ed editoriale italiano e il risultato è quello che è. Purtroppo, aggiungo.

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