Gianni Montieri

a cura di Stelvio Di Spigno

Gianni Montieri è nato a Giugliano, provincia di Napoli nel 1971. Vive e lavora a Milano. Ha pubblicato nel febbraio 2010 il suo primo libro di poesie: “Futuro Semplice” (Lietocolle). Nell’Ottobre 2014  “Avremo cura” ( Zona). Suoi testi sono presenti in alcune antologie. Su “ARGO VIXI”  e” ARGO H2O” (diciassettesimo e diciottesimo numero della rivista monografica Argo). La sua rilettura della fiaba Il pifferaio magico è pubblicata nel volume Di là dal bosco (edito da Le Voci della luna. Dieci poesie dal titolo “Turisti americani” sono inserite nel volume collettivo “La Disarmata – cinque napolitudini” (edito da CFR edizioni, settembre 2014)Cura la rubrica La partita non guardata su Il Napolista Due suoi testi sono stati tradotti in tedesco e pubblicati da La casa editrice Lettrétage in collaborazione con l’Istituto Italiano per la Cultura di Berlino. È capo redattore del sito letterario Poetarum Silva, redattore della rivista monografica Argo (sito:Argonline). Ha collaborato con la rivista bimestrale QuiLibri e ha scritto per Bookdetector.

Testi

Da Futuro Semplice, Lietocolle 2010

PARZIALMENTE TERRENI

Ci siamo spartiti molto
dissolto in lontananza il resto
tenendo bene in mente
la scelta fra l’andarsene e il sognare

non abbiamo imparato a pregare
accontentandoci dei nostri passi
del suono certo del tacco sull’asfalto
restare in una stanza vuota
a noi non è concesso
cerchiamo conforto nel rumore
-nel suono grezzo-

coltiviamo speranze in curva
non avendo mestiere per i rettilinei
nessuna competenza
sui tratti autostradali.


STAGIONE DI CONCERTI

È un rarefarsi lento d’aria livida
un colpo battuto in terra di nessuno
questo sintomo di vento umido
che non scompone foglie
su noi non lascia traccia

non piove in segno di rispetto
in memoria di un’estate troppo breve
di nuotate in vasca corta

mentre è già stagione di concerti
di code ai botteghini.


Da Avremo cura, Zona 2014

E mi piacciono le parole
con le parole do i nomi alle cose
allora dopo le so le cose
imparo dove metterle
dove sta la bottiglia e dove
l’attaccapanni. Amo Guadalquivir
nome proprio di fiume
suona liquido, d’acqua
più di tutte mi piace
la parola ghiaccio, secca la gola.


Tutto quello che ti è cucito sul cuore
tutto il metallo, il ferro arrugginito
il ricamo irregolare lungo il tessuto
del muscolo, tutti i vestiti raccolti
in fondo all’armadio, i medicinali
scaduti, il cappello che hai regalato
a tuo padre, l’inutilità perpetua
di un ottavo di Coppa Italia, i quattro
quarti musicali che non hai mai capito
il tempo tolto all’amico perduto
l’amore (questa parola e non un’altra)
salvo, già salvato, ancora da salvare.


C’erano ampi margini, confini,
scatti da fare sul fondo, e l’erba
tagliata male. Crossare al centro.
Uno a saltare di testa, potevamo
crescere, raddoppiare in difesa

al calar del sole: grida di madri
tre, quattro speranze in coda
al giorno, fare ordine e buonanotte.

Poi cosa è successo? Uno ha preso
un treno, uno è saltato di testa
o per aria. Alcuni sono rimasti
all’intervallo e non si rivestono
un altro ha ancora su la maglia
aspetta il lancio in verticale,
la svolta, ma non ci sono piedi
buoni, né arbitro, guardalinee,
non c’è pubblico, non c’è tribuna
solo il replay di un fuorigioco
fischiato da nessuno.


Mi chiedo cosa accadesse a Giugliano
cosa accadesse di diverso, s’intende,
soffiava il vento di notte nei rioni
parlavamo ad alta voce, ma di che?
Certi giorni pioveva fortissimo, e noi
(rallentati da pozzanghere infinite
da fossi d’acqua, fiumi di lava sporca)
sognavamo i sogni dei ventenni
gli stessi a ogni latitudine, parallelo
sognavamo in dialetto, senza dirceli
per debolezza o per conservazione

ma perdevamo ogni cosa per strada
a ogni giro in motorino senza casco.


Da La disarmata AA.VV , CFR 2014

Don DeLillo al Cardarelli

Prima è stato un silenzio sordo
dopo nulla, apro gli occhi adesso
a sinistra del letto un muro sporco
e più avanti una finestra, dietro alberi

la flebo nel braccio, le gocce scendono
e anche fuori piove, c’è un altro uomo
ha un tubo nel naso, non lo sento
eppure credo urli, forse bestemmia

Napoli non l’ho ancora vista, o forse
è questa: soluzione distillata in vena
il lampo antico di mia madre che balla
il volto del santo sulla parete di fronte.


Silvina Ocampo a Via Duomo

Soltanto qui dopo Buenos Aires
ho visto i bambini volare, slanciarsi
dalle ginocchia, slacciarsi il peso
bimbi luminosi, bimbi senza gravità

anche questa via centrale scende
Jorge mi direbbe: oppure sale
e avrebbe ragione, ognuno vede
a suo modo e io cerco la direzione

del mare, il porto m’avvicina
all’odore di casa, alle croste
secche sui ginocchi, alle storie
che avrei imparato a scrivere.


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