SPAZI METRICI / “Verso le stelle glaciali” di Tommaso Di Dio

Recensione di Felicia Buonomo

Ci si domanda se la poesia (e l’arte in genere) si rifletta nella vita quotidiana. Forse dovremmo chiederci se è il quotidiano la linea di partenza. L’immagine poetica, per antonomasia, ha la sua genesi in un piccolo gesto, che spesso si compie meccanicamente, senza alcuna attenzione da parte del suo agente, per traslarsi – è questo il “lavoro” del poeta – su un universo emotivo fatto di concetti, sentimenti, fasi, fenomeni. Tommaso Di Dio, incarna questa capacità, di passare da un’attenzione selettiva o distratta, a uno sguardo che sia ampio e aperto su volti, vite sottese, pensieri taciuti o manifestati nella somatica o nella gestualità, come quelli di una «donna con le scarpe da ginnastica / Con i calzini di spugna. Non più giovane. / Non ancora anziana», di un giovane uomo immigrato, o di una donna incinta.

«…le parole perdute, le parole cadute
che sulle labbra hanno imposto
un silenzio»,

scrive il poeta, aprendo il varco della riflessione, “tirando la corda” che unisce universi opposti eppure vicini: parola/silenzio; per approdare alle parole possibili o impossibili, perché impossibilitate, non certo rifiutate. Perché la parola comincia a vivere quando viene detta, ci ricordano i versi della solitudine – in canto e in realtà – di Emily Dickinson. E il loro cadere nel contenitore della perdita non può che propagare silenzio, che urla e si ciba di vuoto e disperazione.

Non è tanto il tracciare le mappe, l’itinerario di un viaggio che sia stato o inventato (le stelle glaciali rappresentano – scrive il poeta nella nota ai testi – l’unico orizzonte che possa rendere pienamente reale il vero come il falso di tutto ciò che è stato e che non è stato), che sia lontano temporalmente o non ancora intrapreso, Tommaso Di Dio offre al lettore l’esperienza visionaria della lirica, ma con parole che restano, che comprendono e sono comprese. E come nell’anti-paradigma cinematografico – dove le immagini fuse al suono si intrecciano con una narrazione visiva che lascia intendere un finale aperto –, la voce di Di Dio rinuncia a imporre la rotta; «In fondo, l’ordine in cui si perde – qui come altrove – è in se stesso sempre libero», ci dice l’autore.

E allora le dimensioni testuali in cui si suddivide l’intero lavoro poetico ci lasciano liberi di vagare, ritornare, e – perché no – rinnovare il sentiero che ci ha portati all’approdo, dove «le nostre parole stanno per raggiungerci».

Tommaso Di Dio

Le nostre parole stanno per raggiungerci.
Dal primo grugnito; dal primo bramito
al più profondo
silenzio tra due umani che, ultimi
si cancellano. Ogni cosa
che è stata detta arriverà alle nostre porte
e darà colpi e colpi
per entrare e farsi carne. Stanno arrivando.
Non sfuggiremo. Ce le troveremo fra le mani
come un’ascia, un masso, una carezza
pronte a distruggere, a ricostruire e poi ad esplodere
il sogno che le volle
false e amate insieme. Le nostre parole
stanno per raggiungerci. Siate pronti.
Dite loro il vero.

Da “Verso le stelle glaciali” – Interlinea

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