L’artista è un essere speciale
Il nuovo libro del regista Fernando Muraca
Saggistica
Oakmond Publishing, 2019
Prefazione
a cura di Daniele Vicari[1]
L’artista in rivolta
In un’epoca cinica e priva di freni inibitori come la nostra, nella quale ci sono persone comuni e capi di stato che rivendicano apertamente le nefandezze di regimi politici del recente passato basati su presupposti razzisti e violenti, negando e attaccando contemporaneamente la funzione della cultura, della formazione, della ricerca e dell’arte, Fernando Muraca sente il bisogno di affermare che «l’artista è il più vicino al santo», sfidando così il generale sentimento anti-intellettualistico. Per questo fa ricorso ai mistici, agli antropologi e agli studiosi che, soprattutto nel ‘900, al confronto con il dissolvimento del senso stesso dell’esperienza umana raggiunto da quei regimi, hanno dovuto mettere in chiaro la funzione e l’importanza di questa figura così singolare e sfuggente che solitamente non produce ricchezza materiale e certezze ma al contrario dubbi e immateriale bellezza.
Leggendo il libro chiunque potrà trovarvi appigli per ogni tipo di critica, per ogni genere di disapprovazione estetica e filosofica, persino etica, perché le tesi proposte dell’autore sono ardite, dadaiste le definisce egli stesso, anche se sarebbe più appropriato l’aggettivo polemiche per circoscriverne la esplicita intenzione. Comunque si tratta di tesi senz’altro vivaci e persino risentite per via della sottovalutazione sociale che l’autore stesso vive sulla propria pelle, al punto da dare sfogo a una chiara rivendicazione: «L’importanza dell’azione degli artisti nel mondo, però, non è facile da cogliere e valorizzare, come non è facile contraccambiare adeguatamente i loro sacrifici. Gli artisti, benché siano capaci di innescare rivoluzioni culturali per mezzo delle loro opere, difficilmente riscuotono (a parte pochi casi) un adeguato compenso al proprio lavoro. Essi non sono mossi in modo primario dall’intento di ottenere una ricompensa anche se, come tutti, la desiderano».
L’artista si carica sulle spalle tutti i mali dell’umanità, non per l’aspirazione a una redenzione universale ma per una generale agnizione che permetta agli uomini di riconoscere in se stessi la loro più semplice, cruda, fragile umanità: «Così gli artisti vincono le loro paure e aiutano tutti a farlo. Per questo motivo, ogni falso profeta, ogni idolatra, si affretta a zittirlo. Se non lo facesse, la purezza e la verità delle idee che l’opera di un artista fedele alla sua vocazione è capace di produrre smaschererebbero l’ipocrisia di tutti quei creativi che al posto dell’anima hanno impiantato il successo, al posto del cuore l’indifferenza per gli uomini». Qui, come si vede, c’è una polemica ricorrente nel libro contro il tempo presente, che disconosce l’artista e la sua funzione, lo vilipende, lo schernisce in favore dell’unico riconoscimento vigente, quello del successo che premia il più delle volte la disinvoltura e il cinismo. Il desiderio del successo, l’idolatria del vincente sono attitudini respinte dall’autore con veemenza, quasi con sdegno.
Tuttavia, sotto la scorza polemica dell’argomentazione si nasconde un fiume carsico che è la travolgente passione per la trasmissione della conoscenza, per l’insegnamento e nello specifico per la formazione quale modalità di costruzione del futuro. Infatti, anche da una prima lettura emerge con forza il desiderio dell’autore di lasciare una testimonianza fautrice, che spinga il lettore a misurarsi con le provocazioni proposte: «Nell’esperienza creativa ci sono lacrime di tanti tipi. Lacrime di solitudine. Lacrime di tenerezza nell’osservare un allievo (a cui hai trasmesso qualcosa) generare un’opera.» È così che il libro, capitolo per capitolo, attraverso lo scandaglio della figura dell’artista e della sua funzione sociale, che è cosa diversa dalla funzione sociale dell’arte, conduce per mano il lettore nel cuore dell’esperienza artistica e mistica dello stesso autore che si mette a nudo, cioè mette generosamente a disposizione la propria esperienza e la propria sofferenza per indicare una via possibile di uscita dall’anomia attraverso l’esaltazione dell’artista inteso come una guida del tutto particolare: «è un essere superiore che qualcosa guida all’impossibile. È una specie particolare di profeta.»
Cosa possa aver condotto Fernando verso questa idea palingenetica della figura dell’artista, un uomo cresciuto nella materialità dell’esistenza, del lavoro, della fatica, potrebbe essere difficile da comprendere non conoscendo la sua fede praticata con impegno assoluto, una fede che anche nel non credente come me suscita ammirazione e rispetto proprio per la dedizione all’altro che nei suoi esiti estremi porta quasi alla sublimazione del proprio io nel prossimo. Un io che, invece, nell’esperienza artistica assoluta, indicata come unica pienamente legittima forma trascendente i bisogni materiali stessi dell’artista, dovrebbe trovare la sua massima esaltazione estatica. Una contraddizione feconda che nel libro è variamente scandagliata.
Insomma questo volume, nella sua disarmante sincerità e avventatezza, ha il sapore del testamento di un maestro di strada che lascia ai suoi allievi il compito di negare l’essenza stessa della riflessione elaborata in una vita. Che poi è, al fondo, la più grande aspirazione dell’Uomo in rivolta dell’amato Camus che non a caso trova in questo libro un posto d’elezione.
[1] Regista e sceneggiatore. Fondatore e direttore artistico della scuola d’arte cinematografica Gian Maria Volonté.
Chi è Fernando Muraca: Biografia