di Marta Cutugno
Colonialismo, deportazione, schiavitù, arte marziale, sacralità come un dono. Per la rubrica ArnesiDaSuono, oggi ci soffermeremo sul Berimbao, strumento testimone, in primo luogo, di sofferenza e di oppressione forzata oltreoceano, lontano dalla terra di origine. Occasione importante, necessaria per riflettere sulla successiva associazione tra memoria dolorosa attraverso i suoni ed equilibrio del movimento nell’arte marziale, un momento di riscatto e di manifestazione della sacralità originaria di un popolo, di uno spirito forte, combattivo, resiliente, oltre ogni differenza e discriminazione di sorta. Perché la musica è la culla di tutta la storia, anche della più triste.
Strumento di origine africana, il Berimbao – berimbau o birimbao – venne importato nei paesi dell’America Latina ed in quei luoghi trovò la sua massima diffusione. È l’epoca del colonialismo e della deportazione degli schiavi provenienti dall’Africa. Come è noto, il commercio di esseri umani non fu esclusivamente funzionale a soddisfare quell’esigenza di braccia e forza lavoro nei campi e nelle piantagioni, ma si portò appresso quel bagaglio culturale e tradizionale di un intero continente, mortificato e spiritualmente legato alle proprie e profonde radici. Letteralmente, il termine berimbao fa riferimento alla biriba, tipologia di legno del Brasile scientificamente chiamato rollinia mucosa, che costituisce la materia prima di costruzione di questo strumento a corda percossa. Il Berimbao è formato da un arco di legno di lunghezza variabile – che solitamente va da 1,2 a 1,6 metri ed alle cui estremità è tesa una corda in acciaio (arame) – e da una cassa di risonanza ricavata da una zucca secca e cava, detta cadaca. I berimbao più conosciuti ed utilizzati fano riferimento a tre tipologie: – viola, dai suoni di registro acuto; – medio, dai suoni di registro intermedio; – gunga, dai suoni di registro grave. Il gunga, strumento di dimensioni maggiori tra i berimbao, è impiegato nella Capoeira, arte marziale ideata dai discendenti degli schiavi africani in Brasile, che comprende, con contaminazioni indigene, l’esaltazione dell’armonia del suono e del movimento: durante questa pratica, lo strumento assume un valore propriamente sacro e può essere suonato solo ed esclusivamente da musicisti specializzati ed individuati appositamente.
Foto: antoniomalendze.it
Per abbandonarsi correttamente all’esecuzione, alla pratica strumentale del berimbao, il musicista regge verticalmente il corpo dello strumento utilizzando la mano sinistra mentre con la mano destra colpisce la corda tramite una bacchetta di legno (vareta o baqueta). Insieme alla bacchetta, nella stessa mano, il suonatore stringe un caxixi, che è un piccolo strumento idiofono, concepibile orientativamente con una sorta di maracas in vimini intrecciata al cui interno risuonano semi di zucca o conchiglie. Avvicinata o allontanata dal corpo per amplificare o alleggerire la potenza del suono, troviamo una zucca che funge da cassa di risonanza: contestualmente, una piccola moneta di pietra levigata (chiamata dobrão) che si tiene stretta tra pollice e indice della mano sinistra, se viene avvicinata alla corda metallica, può alterare l’ampiezza del suono prodotto. Si consta la presenza di elementi esterni allo strumento, dunque, estranei al suono principale prodotto e che esercitano la loro influenza sulla struttura, sulla gamma dinamica a disposizione e sull’ampiezza.
Foto di copertina: saladomusico.com