L’opinione – La rubrica che dà voce alle altre voci
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Una riflessione sul film “Le confessioni” di Roberto Andò
di Vincenzo Giarmoleo
Lo scenario è suggestivo: uno splendido grand hotel con spa, in Germania, che si affaccia su un mare nordico, grigio e ventoso. E un lungo molo, di fronte alla spiaggia dell’hotel, che rimanda al pensiero di un approdo, quale che sia. In questo luogo invernale e freddo si svolgerà un vertice economico mondiale degli otto ministri dell’economia dei paesi avanzati, presieduto dal Direttore del Fondo Monetario Internazionale (Daniel Roché, interpretato magistralmente da Daniel Auteil). Proprio il Direttore del FMI, tuttavia, ha voluto che a questo vertice fossero presenti, su suo invito, tre ospiti inconsueti: una rock star politicamente impegnata per la riduzione del debito dei paesi poveri, una scrittrice di successo di libri per bambini (Connie Nielsen nei panni di Claire Seth) e un monaco certosino italiano, Roberto Salus (Toni Servillo).
Il credo di Roché è riassunto – almeno fino a quel punto della sua vita (la cena di accoglienza / festa di compleanno) dalla motivazione dell’invito dei tre intrusi, rivelata – su domanda espressa della rock star – dal ministro canadese: “Stiamo defraudando il mondo della speranza. Potremmo almeno restituirgli qualche illusione” avrebbe confidato Daniel alla bella canadese.
Il cinema (come anche la letteratura) mette spesso in scena storie che pescano nell’inverosimile, e realizzandole – dunque portandole fuori dall’immaginazione dell’autore – le rende verosimili, credibili e, per meglio dire, inverabili, vale a dire possibili, suscettibili di diventare realtà storica. È questo il caso de “Le confessioni” e della strana ma affascinante vicenda che si svolge tutta all’interno dell’hotel che ospita il G8.
All’inconsueta e stravagante confessione notturna del Direttore del FMI al cospetto del monaco Salus, appositamente convocato – ma più che confessione, in mancanza d’una assoluzione finale, parlerei di rivelazione, diretta a realizzare un preciso obiettivo – fa seguito il suicidio di questi, per auto soffocamento, nella sua stanza dell’hotel. La notizia del suicidio ha un dirompente effetto sui ministri presenti e il vertice ne risulterà fortemente condizionato. La paura di sconvolgenti rivelazioni, ipoteticamente trasmesse al monaco Roberto Salus dal Direttore del FMI ma protette dal segreto confessionale, agita politici e banchieri e finirà col metterli di fronte alle loro responsabilità, morali e politiche, alla crudezza delle proprie scelte.
Prima che i media arrivino al vertice, nel weekend che separa dal lunedì successivo, inizia un’accurata indagine interna sul presunto suicidio del Direttore del FMI ma soprattutto sul contenuto delle sue dichiarazioni al monaco certosino Roberto Salus, indagine che coinvolge gli apparati di sicurezza, presenti all’interno dell’hotel. Il monaco, doppiamente votato al silenzio sia per regola del proprio ordine monastico, sia per aver ricevuto una confessione, è sottoposto a pressioni sia da parte dei singoli ministri, sia da parte della sicurezza; ma la sua fermezza e soprattutto la sua statura morale gli consentono di resistere a minacce e pressioni, mettendo a nudo i politici e gli altri personaggi presenti al vertice e le rispettive contraddizioni. L’indagine, così, ribaltandosi da indagatore a indagato, diventa psicodramma, e scatena meccanismi imprevisti, sensi di colpa e moti di coscienza inattesi, soprattutto in due dei personaggi politici presenti, il ministro canadese (non a caso, una donna) e l’italiano Antonio Vallati (un buon Pierfrancesco Favino).
In tal modo, le decisioni che i ministri dell’economia stavano per avallare, più che assumere, succubi dei potenti grandi finanzieri e banchieri, e che avrebbero messo in ginocchio paesi ed economie già in crisi, saranno, a seguito e per effetto del dissenso in fine manifestato dai due ministri pentiti, rimandate sine die, per mancata formazione dell’unanimità in seno all’alto consesso.
Un piccolo ma significativo riscatto della politica – non è poi quello che si chiede, oggi, ai nostri rappresentanti in seno alle Istituzioni? – rispetto al dominio dell’Economia e delle sue formule vuote e arbitrarie, come quella che, significativamente, all’inizio del film, viene scritta dal Direttore del FMI e poi mostrata – come panacea o come cibo per gli avvoltoi – dal monaco ex matematico Roberto Salus, come se fosse la rivelazione finale del segreto, la soluzione del dilemma.
Ma le citazioni di J. M. Keynes – dell’economia come scienza morale – fatte proprio nel corso della cena di accoglienza del vertice dal Direttore Roché, insieme alle altre dotte citazioni di Pascal, di Sant’Agostino (il titolo del film è anche un omaggio alla celeberrima opera del Santo di Ippona?) e di altri grandi filosofi e pensatori, fatte per bocca di Roberto Salus, paiono di scuola e persino superflue e in ogni caso poco dicono rispetto a certe folgoranti risposte che il monaco – personaggio apparentemente misterioso ma in realtà profondamente vero nella sua coerenza di pensiero e azione – con studiata semplicità fornisce ai suoi interlocutori, durante i rispettivi “dialoghi confessionali”. A chi gli chiede che rapporto abbia il buon Dio con le guerre, con i disastri naturali e con quelli umani, con il dolore e con la disperazione che da sempre accompagnano l’esperienza umana, egli replica semplicemente dicendo che “il male non ha alcuna utilità”, e così sgombra il campo da ogni tentativo di addossare a Dio responsabilità esclusive degli uomini, la cui libertà spesso è esercitata non per il bene comune, ma soltanto in nome del bene comune, avendo come fine esclusivo l’egoistico profitto di certi manipolatori, a danno di tutti gli altri uomini, e dunque, in sostanza, per il male.
Al Direttore Daniel Roché, che afferma orgogliosamente di non aver mai “perso tempo”, Salus sorride con benevolenza e replica che “perdere tempo non ha mai fatto male a nessuno”. È una risposta apparentemente banale, ma che rimanda a millenni di pensiero ascetico, di preghiera, di spiritualità manifestata attraverso la pura contemplazione del creato.
Un monaco, dunque, che scegliendo il silenzio decide di non partecipare direttamente alle vicende umane, di non incidere nella realtà, pur non volendo inciderà profondamente sulle vicende mondiali più di quanto egli stesso si aspetterebbe e soprattutto più di coloro che questa capacità incisiva dovrebbero esercitare per il bene della comunità. È questo il paradosso della storia che ci è stata raccontata con grazia e precisione, impietosamente.
Il rischio, semmai, è noto: che la figura del protagonista de “Le confessioni”, sia ascritta frettolosamente al cielo delle più grandi e alte figure umane e che per questo sia considerata irraggiungibile, troppo morale o troppo verticale rispetto alla mediocritas dei tempi nostri, e quindi relegata all’estremo, all’impraticabile, all’esempio eroico e virtuoso che invece di generare emulazione, viene strumentalizzato, relegandolo nell’ambito dell’impossibile, dell’inimitabile (don’t try this at home!… non fa per voi). “Io non posseggo nulla se non questa tunica e il silenzio che nessuno può comprare”, dice Salus. Chi, di noi, potrebbe dire altrettanto di se stesso? E siccome ad impossibilia nemo tenetur … ci si potrà ancora tranquillamente crogiolare nel comodo cinismo dei furbi e degli arroganti, di coloro che danno dell’idealista a chi di idee vive ma non vegeta, e che magari per un’idea – non astratta, e neppure un’ideologia – ma per una idea (non immagine) di sé, degli altri e del mondo stesso – sia disposto a patire, fino all’estremo. L’estremo, però, è ciò che non vogliamo, perché nei limiti dell’umano, del buon agire pratico e della utilità del bene dobbiamo restare, se qualcosa vogliamo cogliere del senso di questa pellicola.
Ci è piaciuta pure, perché dipinta con pochi tratti agili e decisi, la figura del vecchio Direttore dell’Hotel, che si scopre, alla fine, malato soltanto immaginario di Alzheimer, aver custodito in silente cura e complicità il segreto del registratore di Salus, e con esso la sua gentile passione per la bellezza e varietà del canto di ogni specie di uccello. Il monaco indica, dunque, la bellezza come soluzione etica e non – come sembrerebbe a prima vista – vuol canzonare i suoi pressanti interlocutori quando disegna su un foglio di carta i due uccelli, uno dei quali, raro come il suo cinguettio, volerà sopra le teste dei potenti riunite per il funerale del Direttore del FMI, dinanzi al mare dell’hotel.
“Quanno ncielo n’angiulillo nun fa chello c’ha da fà, o Signore int’a na cella scura o’ fà nzerrà”. L’angelo – punito dal Signore se non agisce quando deve – finisce prigioniero come un uccellino in cattività. È una massima che Salus pronuncia in apertura del film, il cui significato sarà chiarito al termine della vicenda.
Il reale è forse come il cane – ribattezzato Bernardo da Roberto Salus dopo averlo addomesticato – la cui ferocia è tale per chi teme la verità – i politici nella sala rotonda – ma diviene semplicemente mansuetudine quando la verità è rispettata, non temuta. Ma per rispettare la verità, e con essa la realtà anche umana, occorre accoglierla con benevolenza e non manipolarla, né piegarla ai propri fini.
In copertina: Toni Servillo in una scena del film.
Fotografie di scena di Lia Pasqualino.
Vincenzo Giarmoleo, nato a Reggio Calabria nel 1968, vive a Roma. Avvocato, studioso, docente e formatore in materia di diritto delle organizzazioni non profit. Scrive su VITA, rivista specializzata del terzo settore, e pubblica articoli di costume e società su blog e riviste online.