La nuova frontiera? L’uomo solidale

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Variazioni su un tema

Un’analisi di Nicola Bozzo

Non so bene perché ma ho un’immagine letteraria in testa da qualche giorno. Ẻ l’immenso ispettore Rogas nell’altro altrettanto immenso Il contesto di Leonardo Sciascia. L’ispettore Rogas, quando si reca nella sede, nel salotto,  del  partito rivoluzionario, scopre in un attimo gli stessi vizi, in fondo la stessa anima di tutti gli altri, di quelli che solo nella retorica delle parole volevano combattere. Figli tutti di uno stesso Dio, credo Sciascia intendesse quello del potere. Rogas lì sente tutta intera la sua assoluta solitudine e la sua totale alterità: capisce lì che può solo essere ucciso.

Per una inspiegabile corrispondenza di idee, di immagini, di sotterranee assonanze, mi viene in mente il Saggio sulla lucidità di Saramago. Nessuno vota i comunisti. Inizia da quel non voto la più commovente esperienza di autogestione, rivolta. umanesimo solidale, votato alla fine per destino naturale.

Faccio un salto logico ed “estetico”. Arriva qui, nel nostro essere contemporanei, un ex leader amato come Fausto Bertinotti. Sul Corriere della Sera rende molto pubblico quello che pensa da tempo, nutrendosi molto di Alain Touraine. In fondo ha ragione: dov’è, qui e ora, un “popolo” che sfugge alla simmetria del potere, che non si nega a Rogas, e che non vota nel romanzo di Saramago. Appunto non c’è.

Ci si affanna a dire che Renzi, il pd, la burocrazia post-comunista hanno ucciso la sinistra: che stupidaggine. Se ci fosse stato un popolo della sinistra non lo avrebbero ucciso, né il vitalismo renziano, né tutto quello che l’ha preceduto.

Ma forse è un problema di sguardo, di prospettiva ottica, di vizi dell’interpretazione.

C’e qualcosa che non appare. Sta dentro l’idea e la pratica del non aspettare che un soggetto mitico, inesistente, al massimo despota moralista, risolva la vita quotidiana. Bisogna mettersi assieme per cambiarla subito, per incidere nelle relazioni sociali, adesso, con fretta e impazienza. È il welfare di comunità, la democrazia (vera) dal basso, le persone che  si mettono assieme, cooperano, costruiscono reti, si danno al prossimo perché il prossimo è identico a noi. È il vecchio lascito  rivoluzionario della fratellanza tra eguali. Una talpa che scava dentro il mondo e non si rassegna. Così è cominciato a fine Ottocento il socialismo, così l’umanesimo sociale cristiano. Così Mounier e il personalismo, così Bruno Trentin, l’intellettuale straordinario e il leader sindacale più rispettato forse che amato. C’è una traccia che la politica non rappresenta, non conosce, che non “contabilizza”.

Il destino rappresentativo della sinistra è in mano a un ceto burocratico, miracolato dal sistema elettorale e trasformista. Votato a autoriprodursi con percentuali  ridicole nelle pieghe dei sistemi elettorali.

La vita è altrove. La dignità, come sintesi di eguaglianza e libertà, ha figli devoti. Scorre e si nutre di se stessa.

Dentro lo spazio così carico di significati simbolici delle città, delle formazioni sociali dove si sviluppa la personalità delle persone e si garantiscono i loro diritti inviolabili (come  dice l’articolo 2 della Costituzione), nel lavoro dove si registra un’insanabile contraddizione tra il contenuto intellettuale e creativo della prestazione  e il  suo irreggimentarsi in modelli gerarchici, nella pretesa e nell’autorganizzazione (qui  e ora) dei diritti fondamentali della persona, c’è un mondo indifferente alle liturgie e preoccupato dell’esistenza nuda: in carne ed ossa.

Questo non significa che non ci voglia il “pubblico”, lo Stato, i poteri pubblici diffusi, i quali devono garantire l’ universalità dei diritti quando e dove la società da sola non ci riesca. Credo che in fondo  il famoso principio di sussidiarietà vada inteso così: si scommette sull’uomo e la sua umanità solidale; si interviene per correggere e garantire.

Non esiste un’idea di uomo che funzioni. Intendo una “ideologia” della persona astratta e aprioristica. Non si è l’ individuo astratto e razionale in ragione dell’ utile del liberalismo. Non si è  per natura neppure buoni o socievoli. Forse è un merito dell’esistenzialismo avere anteposto l’esistenza all’essenza. L’uomo è quello che sceglie di essere, nell’esistenza si scopre e definisce.

La  frontiera da  attraversare è scommettere su un uomo solidale che, insieme agli altri, pratichi la trasformazione della vita quotidiana.

Nicola Bozzo

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