Abituati a spingere, non a respingere

di Angelina De Salvo

Homo sum, humani nihil a me alienum puto  

(Terenzio, Heautontimorùmenos, I, 1, 25)

Le migrazioni, sia quelle causate da guerre e persecuzioni, sia quelle causate dalla ricerca di lavoro e condizioni di vita migliori, sono una componente intrinseca della storia dell’umanità.
Attualmente, oltre 200 milioni di persone nel mondo vivono fuori dal Paese in cui sono nate. Tra queste, quasi 10 milioni sono richiedenti asilo e rifugiati che hanno dovuto lasciare il proprio paese per mettersi in salvo dalla persecuzione, dalla tortura o da altre gravi violazioni dei diritti umani.
Ogni anno migliaia di persone muoiono nel tentativo di raggiungere un altro paese e, tra coloro che arrivano a destinazione, molti subiscono abusi, quali la detenzione arbitraria, le espulsioni collettive, la discriminazione, il razzismo, la xenofobia. I richiedenti asilo e i rifugiati vanno spesso incontro al rischio di un rinvio verso il Paese dove sono perseguitati. I migranti, in particolare se senza documenti per il soggiorno, vengono non di rado descritti dall’opinione pubblica come criminali, pesi economici o minacce per la sicurezza. La realtà è invece che molte economie dipendono dalla loro forza lavoro, spesso sottovalutata, e che l’arricchimento e lo sviluppo culturale di un paese è direttamente proporzionale all’eterogeneità della provenienza delle persone che lo abitano.

I rifugiati e il diritto d’asilo. Un fenomeno globale

Le migrazioni forzate provocate da guerre civili, conflitti esterni, persecuzioni hanno raggiunto negli ultimi anni, su scala mondiale, livelli mai registrati in precedenza, ed i numeri sono in aumento.

Il dato di sintesi è riferito dall’UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) che, nel rapporto Global Trends del 2015, afferma che nel solo anno 2014 quasi 60 milioni di persone sono state costrette a lasciare il proprio Paese (quasi il doppio negli ultimi 10 anni).

L’incremento maggiore si è registrato soprattutto nei primi mesi del 2011 ed è dipeso dallo scoppio della guerra in Siria, divenuta la causa principale delle migrazioni forzate a livello mondiale.

La Siria, tuttavia, non è l’unico paese di provenienza dei profughi. Il rapporto riferisce che negli ultimi 5 anni sono scoppiati o si sono riattivati almeno 15 conflitti: 8 in Africa (Costa d’Avorio, Repubblica Centrafricana, Libia, Mali, Nord-est Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan, Burundi); 3 in Medio Oriente (Siria, Iraq, Yemen); 1 in Europa (Ucraina); 3 in Asia (Kirghizistan, diverse aree del Myanmar e del Pakistan). Quelli in Afghanistan ed in Somalia durano ormai da decenni.

Il dato più allarmante che emerge dal rapporto dell’UNHCR è che più della metà dei rifugiati a livello mondiale sono bambini. I dati che precedono, a dir poco sconcertanti, consentono di superare una sensazione diffusa nell’opinione pubblica europea: e cioè che le migrazioni forzate investono soltanto l’Europa e sono, quindi, un problema europeo. Il fenomeno delle migrazioni forzate è, in realtà, un fenomeno globale. Nell’ambito dell’Unione Europea, i Paesi che hanno ricevuto il maggior numero di domande di asilo sono la Germania e la Svezia. Le guerre in Siria, Afghanistan, Pakistan, Somalia, la destabilizzazione di Paesi come l’Egitto e la Libia hanno fatto sì che il Medio Oriente ed il Nord Africa costituiscano l’area geografica in cui ha origine e che nello stesso tempo ospita il maggior numero di migranti forzati nel mondo. L’Etiopia è divenuto il più grande Paese di accoglienza di rifugiati in Africa, quinto a livello mondiale. Iran e Pakistan sono fra i primi quattro Paesi che accolgono profughi a livello mondiale. L’aumento del numero di persone in fuga da bande armate e da altre forme di persecuzione in America centrale ha provocato negli ultimi anni un aumento delle domande di asilo negli Stati Uniti.

A fronte di ciò, occorre, tuttavia, sgombrare il campo da un equivoco di fondo, ossia che l’accoglienza dei profughi sia una forma di solidarietà esclusivamente umanitaria che attiene soltanto alla sfera morale, non cogente al di fuori di questa. In realtà, l’Italia ed i suoi partners europei non hanno, sul piano giuridico, il potere di scegliere se accogliere o meno i profughi. Il diritto di asilo, infatti, è per i soggetti bisognosi di protezione internazionale (profughi, rifugiati, perseguitati) un vero e proprio diritto soggettivo, riconosciuto e tutelato da fonti internazionali, comunitarie ed interne. Sul piano delle fonti internazionali, la condizione dei rifugiati ha ricevuto riconoscimento espresso e tutela fondamentale nella Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata in Italia con la legge  722/1954. È stata recepita a livello europeo ed è quindi divenuta vincolante per i Paesi membri dell’Unione Europea attraverso il diritto comunitario. Il diritto di asilo si pone, quindi, come diritto fondamentale dell’uomo, in quanto coessenziale alla tutela piena ed effettiva dei diritti umani.

I flussi migratori nel Mediterraneo

Luogo privilegiato dell’incontro fra Nord e Sud, Est ed Ovest, durante tutta la sua storia millenaria il Mediterraneo ha messo in contatto popoli e civiltà diverse, segnandone l’evoluzione attraverso i secoli. La peculiarità del Mediterraneo non sta solamente nella dolcezza del clima o nella bellezza della vegetazione, ma nel fatto di essere un vero e proprio “mare fra le terre” attraverso il quale tradizioni, religioni e culture differenti possono interagire ed arricchirsi dal confronto reciproco; esso è sempre stato una frontiera nell’accezione più positiva del termine, confine proiettato verso l’altro dove la purezza si perde in favore di una contaminazione continua. Nessun impero, neanche quello romano, è mai riuscito a dominare stabilmente questo mare e nessuna egemonia culturale ha mai caratterizzato la sua storia; la tradizione greca e latina, erroneamente considerata da molti la principale e quasi esclusiva fonte culturale mediterranea, si è invece intrecciata fruttuosamente sia con quella ebraica sia con quella araba e islamica, generando delle comuni radici storico-culturali che permettono di trattare il Mediterraneo con un’ottica globale ed unitaria che ricomprenda tutte le sue componenti ed il loro essere così strettamente interconnesse.

È solo nell’area mediterranea che si può osservare la compresenza di così tante culture diverse. Il Mediterraneo è sempre stato un “pluriverso” all’interno del quale le diverse forze che lo animano si sono mescolate fra di loro in un’incessante sovrapposizione.

Tuttavia, negli ultimi decenni si è assistito ad un fenomeno particolarmente problematico, ossia l’acutizzazione del divario fra la sponda settentrionale e quella meridionale del Mediterraneo. Il gap politico ed economico tra le due rive e molti atteggiamenti di chiusura culturale hanno infatti determinato un fenomeno migratorio all’interno del Mediterraneo di proporzioni finora mai viste.

Le due rive differiscono enormemente sia per quanto concerne il livello numerico che per quanto concerne la struttura per età delle loro popolazioni. Mentre i Paesi che fanno parte dell’area settentrionale del bacino sono caratterizzati da una crescita pressoché nulla delle loro popolazioni, quelli della zona Sud registrano alti tassi di crescita. Tali squilibri fanno sì che la pressione sociale sia molto intensa nelle società della costa meridionale del Mediterraneo, a causa della presenza di un elevato numero di giovani che cercano di immettersi nei locali mercati del lavoro senza ottenere risultati soddisfacenti. Queste condizioni, unite al divario economico e politico fra le due sponde, hanno come ovvia conseguenza l’aumento dei flussi migratori all’interno del bacino, facilitati dalla sua conformazione geografica che agevola enormemente gli spostamenti. Secondo i dati forniti dall’Unione Europea sui migranti di prima e di seconda generazione, sarebbero complessivamente circa 10,6 milioni le persone stabilitesi in Europa che hanno legami diretti con gli stati del Mediterraneo meridionale. Ciò avviene soprattutto perché ai tradizionali Paesi di immigrazione del vecchio continente, come Francia, Germania e gli Stati settentrionali, dagli anni Ottanta si sono aggiunti come possibili destinazioni i Paesi meridionali, come Italia, Spagna, Portogallo e Grecia, che sono passati dall’essere società di emigrazione all’essere prima Paesi di transito e poi, grazie all’aumento della loro richiesta di manodopera, all’espandersi del loro mercato del lavoro sommerso ed alle restrizioni alle immigrazioni effettuate dai Paesi del Nord Europa, Paesi di immigrazione definitiva. L’aumento dei flussi provenienti dalla sponda Sud dimostra anche che le ricette neoliberiste non riducono le migrazioni, come sostenuto da queste teorie economiche, in quanto liberalizzazioni, privatizzazioni e delocalizzazioni portano benefici solo a pochi settori sociali, aggravando contemporaneamente le condizioni dei già vasti strati poveri della società.

Gli effetti di questo imponente fenomeno migratorio sono molteplici. Per i Paesi di provenienza le migrazioni rappresentano un’importante valvola di sfogo per quelle porzioni di società più emarginate che quindi emigrando non costituiscono fonti di rivolte sociali e di problemi per i regimi; d’altra parte però questo vasto esodo rischia di alterare in maniera permanente la struttura per età di queste popolazioni, con effetti che possono incidere in modo cospicuo per esempio sul locale mercato del lavoro. Nonostante la maggior parte dei migranti venga impiegata nei lavori definiti pericolosi e difficili che i lavoratori nazionali si rifiutano di fare, nelle società di arrivo l’argomento più utilizzato per cercare di restringere l’accesso alle frontiere è proprio quello della possibile concorrenza nel mercato del lavoro che condurrebbe ad una maggiore disoccupazione della manodopera nazionale, ignorando invece i possibili benefici che i flussi migratori possono apportare, quale, per esempio, l’effetto di ringiovanimento della popolazione dovuto al più elevato tasso di fecondità dei migranti ed al fatto che la maggioranza di essi appartenga a giovani fasce d’età.

Riace - Copia
Riace (Reggio Calabria). Dal 1998 la città di Riace, grazie all’opera lungimirante del suo sindaco Mimmo Lucano (di recente inserito dalla rivista Fortune tra i 50 leader più influenti del mondo), ha dato ospitalità a oltre seimila immigrati che hanno avviato varie attività artigianali e imprenditoriali, divenendo modello di integrazione razziale riconosciuta a livello internazionale.

Abituati a spingere, non a respingere

L’aspetto più controverso resta comunque quello dell’integrazione, un’integrazione spesso difficile e costosa, i cui clamorosi fallimenti sono sotto gli occhi di tutti, ma che necessita di essere perseguita con attenzione e rispetto per le altre culture. La visione che l’Europa attualmente mostra di avere verso le migrazioni sembra però non riconoscere a questo fenomeno tali significative necessità: per l’Unione i flussi migratori devono essere controllati e i confini severamente pattugliati per non mettere a rischio sicurezza e stabilità. Fin dagli inizi degli anni Novanta la questione del controllo dei flussi migratori è stata considerata di fondamentale importanza da parte di tutti i Paesi europei, in particolare la diminuzione dei flussi, la lotta all’immigrazione clandestina, la stipulazione con i Paesi di provenienza di accordi di riammissione e l’eventuale introduzione di quote all’ingresso sono gli obiettivi primari delle politiche migratorie europee e, soprattutto dopo l’entrata in vigore del trattato di Schengen, l’importanza riservata al controllo delle frontiere e al rafforzamento della loro sorveglianza è divenuta sempre più cospicua. Le migrazioni invece dovrebbero essere considerate un’enorme opportunità per confrontarsi con le altre culture, come la storia millenaria del Mediterraneo e dei continui viaggi e scambi fra popoli diversi che lo hanno attraversato insegna.

La valorizzazione delle caratteristiche del mare fra le terre, in particolare del suo pluralismo, costituisce l’alternativa da seguire per promuovere la comprensione reciproca e la cooperazione multilaterale necessarie per raggiungere una pace finalmente libera da ogni deriva fondamentalista, non solo all’interno del bacino mediterraneo, ma in tutto il mondo; nell’attuale processo di globalizzazione in atto, ripartire dal Mediterraneo significa adoperarsi perché questo fenomeno non finisca per diventare imposizione unilaterale del modello dominante, ma costituisca al contrario occasione di incontro e feconda ibridazione fra le diverse tradizioni, per creare una reale integrazione ed un sentiero comune nel quale le differenti culture imparino le une dalle altre e siano in grado di ripensare se stesse per mettere da parte le loro divisioni. Diviene sempre più necessario ripartire dal Mediterraneo per essere veramente “uniti nelle diversità”.


 

Angelina De Salvo. Giornalista. Responsabile di Uffici stampa e della comunicazione istituzionale di Istituti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Ha scritto per la Repubblica, la Repubblica.it, Il quotidiano della sera, Il Venerdì di Repubblica, L’Espresso, Casa & Design di Repubblica.it, per i portali Web Cultura Italia, Internet Culturale, Direzione Generale per le Biblioteche, FrancigenaLibrari, Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, 150 Unità d’Italia della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ha pubblicato contributi sulle riviste A.I.B. notizie, Accademie e biblioteche d’Italia, Bollettino AIB, Nuova informazione bibliografica, Rivista marittima (Ministero della Difesa), inoltre sulle pubblicazioni del COMPA Salone europeo della comunicazione pubblica, del FORUM P.A. Mostra Convegno dell’innovazione nella Pubblica Amministrazione, di JOB & ORIENTA Scuola, Orientamento e Formazione Lavoro, su cataloghi di mostre ed esposizioni e su riviste on line.

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