Il cinema italiano tra crisi e segnali di vitalità

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Oltre la crisi? Chissà. Quando il cinema italiano appare in difficoltà, a parte i fenomeni da botteghino come Checco Zalone, emergono film in antitesi a questa sensazione. Tutto ciò a conferma, invece, che a latitare sia da troppo tempo il sistema produttivo e distributivo, come progetto politico, culturale ed economico.

Ad esempio, l’Orso d’oro al Festival di Berlino, “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi,  può anche non entusiasmare ma è un invito, onesto sul piano intellettuale e con momenti da ricordare, ad avere occhi nuovi e non assuefatti. Un invito a sgombrare il linguaggio filmico da tutto ciò che enfatizza, spettacolarizza e funge da anestetico. Un tentativo artistico di raccontare l’orrore, a partire dai migranti che arrivano a Lampedusa, mettendo in discussione noi stessi, noi spettatori e cittadini occidentali.

Inoltre, il successo di “Lo chiamavano Jeeg Robot”, diretto da Gabriele Mainetti e interpretato da Claudio Santamaria e Luca Marinelli, dimostra che si possono tentare anche strade non consuete sul piano del cinema di genere.

 A sua volta, il consenso per la commedia “Perfetti sconosciuti”, regia di Paolo Genovese e super cast italiano (da Mastandrea e Rohrwacher a Giallini, Battiston, Leo, Smutniak e Foglietta), nasce da una scrittura attenta alla contemporaneità, e così il nuovo “Forever Young” di Fausto Brizzi, con un cast quasi altrettanto accattivante e una campagna mediatica efficace in ambito commerciale.

È ancora presto per gridare alla rinascita, mille volte annunciata, tra cinema d’autore e di genere, senza eccessivi paletti, ma se ci fosse un’industria si potrebbero rilevare diversi segnali non catastrofici. Da ricordare pure il gradevole “Assolo”, regia di Laura Morante, mentre “Seconda primavera” di Francesco Calogero viene presentato negli Stati Uniti: il 15 aprile al WorldFest di Houston. Nel frattempo, si attende un nuovo, importante film di Roberto Andò: “Le confessioni”, in uno scenario internazionale, con Toni Servillo, Daniel Auteuil, Connie Nielsen e Pierfrancesco Favino.

Per poter parlare di un cambiamento notevole, bisognerebbe registrare grandi attenzioni, sul piano della distribuzione,  nei confronti dei titoli più difficili e per i progetti indipendenti. Cosa molto lontana dalla realtà. Se “Le meraviglie” di Alice Rohrwacher, ad esempio, non fosse stato premiato a Cannes, difficilmente avrebbe trovato adeguati riscontri. Ciò investe pure la nota dolente dell’educazione al linguaggio filmico, bandita dalle scuole, ignorando così le nuove generazioni. Un tema da approfondire.

Marco Olivieri

Una parte di questo commento è stata pubblicata su “Visioni”, rubrica del settimanale Centonove Press, 17 marzo 2016.

Fotografie tratte dalla pagina Facebook dei film.

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