IL CICLO MITICO DI CANDRA, IL DIO LUNA a cura di Laura Liberale − 7) Epilogo: se la luna risiede nel corpo

Il ciclo mitico di Candra, il dio Luna

(Epilogo: se la luna risiede nel corpo)
di Laura Liberale

 

Nel mito del logoramento del re, abbiamo visto come il Re Luna perda il suo rasa, il suo seme, a causa del contatto sessuale con donne ardenti, vicine al sole. Nella tradizione dello haha yoga (…) ritroviamo una omologia simile, che diverrà motivo ricorrente nelle successive tradizioni yogiche. Il basso ventre (plesso solare) dello yogin è il luogo del sole femminile, relativo al sangue, che fornisce il calore necessario per provocare il processo yogico, ma che, al pari del Tempo, può anche consumare totalmente il corpo, causando l’invecchiamento, l’infermità e la morte. Il capo, e più specificamente la volta cranica, è il luogo della controparte del sole, la luna rinfrescante, luna il cui rasa non è altro che il seme ricondotto verso l’alto dal processo yogico, e trasformato così in nettare, amta, equivalente al soma, la bevanda d’immortalità.
David Gordon White

Nel brahmarandhra si trova quel loto che è il sahasrāra. Là v’è la yoni in cui dimora Candra, e da essa, a forma di triangolo, scorre continuamente il nettare.
Śiva-saṃhitā, V, 103

Alla sommità del capo, settimo fra i cakra (i centri energetici) e “luogo” di realizzazione spirituale, la fisiologia sottile tantrica colloca il sahasrāra (“dai mille petali”), anche detto brahmarandhra (“la cavità del Brahman“). Esso è raffigurato come un loto capovolto con mille petali, appunto, incolori e recanti tutti i segni dell’alfabeto sanscrito. Dalla luna piena posta al suo centro stilla il nettare prodotto dall’unione di Śiva e della sua Potenza, la Śakti. Quest’ultima è concepita, nella parte inferiore del corpo, in forma di Kuṇḍalinī, “l’attorta”, il serpente femmina simbolo dell’energia dormiente nel mūlādhāra-cakra (alla base della colonna vertebrale, tra genitali e ano), serpente che, con la sua testa, ostruisce “la porta di Brahmā”, l’apertura del canale mediano noto come suumnā, lungo il quale dovrà risalire al suo risveglio. L’energia ignea di Kuṇḍalinī, velenosa se lasciata latente nel plesso sacro-coccigeo, grazie alle tecniche yogiche, ascende attraversando i cakra, sino a raggiungere il culmine rappresentato dal sahasrāra e lì unirsi col dio, realizzando quindi il superamento delle coppie di opposti, l’attingimento dell’Assoluto indifferenziato anteriore alla manifestazione del mondo.
In questa luna mistica del corpo sottile, costituita anch’essa, come l’astro reale, di sedici digiti, il soma, il nettare prodotto, scorre inevitabilmente verso il basso, venendo distrutto dal fuoco del plesso epigastrico, il maipūra-cakra (e provocando invecchiamento, malattia e morte), a meno che lo yogin non attui delle pratiche volte a impedirlo: la khecarī-mudrā, per esempio, ovvero la retroflessione della lingua all’interno del palato al fine di evitare la caduta del soma e garantirsi una sorta di immortalità fisica:

Quel conoscitore dello yoga che, stando immobile, con la lingua rivolta verso l’alto, beve il soma, in mezzo mese vince indubbiamente la morte.[1]
Se la lingua tocca incessantemente la sommità del palato, facendo stillare il liquido acre, amaro, acido come latte e dolce come burro chiarificato, ciò distrugge le malattie, pone fine alla vecchiaia, respinge le aggressioni armate, accorda l’immortalità e le otto perfezioni, attrae quante hanno membra perfette.[2]
Vive a lungo, in salute, col corpo morbido come lo stelo di un loto, quello yogin che mediti sulla suprema Śakti e beva − con la bocca in alto, la lingua che chiude la cavità [del palato] − il puro liquido lunare fatto di corrente che scorre vivace e cade dalla testa nel loto dai sedici petali, ottenuto in virtù del prāa e grazie allo haha yoga.[3]

Non esiste fenomeno che traduca con maggiore pregnanza il concetto di integrità e perfezione, a livello sia microcosmico che macrocosmico, della dinamica di crescita e calo della luna, di aumento e diminuzione dei digiti lunari. Ogni mese lunare la luna si riempie, diviene colma di questo nettare, che riversa sul mondo sotto forma di pioggia vivificante, sorgente fluida della vitalità di tutte le creature. In tale contesto, la sedicesima kalā invisibile, il digito che rende la luna pienamente integra, acquista pienezza di significato in quanto amta-kalā, il “digito di immortalità”. La crescita e la diminuzione della luna (…) sono intimamente collegate alla teoria e alla pratica yogiche relative al corpo sottile. Quest’ultimo è un corpo bipolare, che al livello dell’ombelico si divide in due metà. Di queste, la metà inferiore è associata alla femminilità, con il seme maschile “preda” del sangue e del fuoco del sole; e la metà superiore alla mascolinità, con il seme che è stato raffinato in nettare, identificato con la luna. La metà inferiore è poi identificata con l’esistenza ordinaria (…), la metà superiore, al contrario, viene identificata con la coscienza sovramondana (…) In questo sistema, si ritiene che la vita umana in sé dipenda dal mantenimento del digito immortale del nettare lunare. Anche quando l’individuo non pratica lo yoga, egli rimane vivo in virtù del sedicesimo digito di nettare, che permane nella volta cranica, assimilata alla dimora del brahman o di Śiva nel corpo sottile (…) La realizzazione dei poteri sovrannaturali e dell’immortalità corporea richiede che la stessa luna nella volta cranica sia colmata nella sua pienezza, e risplenda con tutti i suoi sedici digiti (…) In realtà il corpo sottile si compone di due classi di (…) digiti, una solare e ardente, l’altra lunare e fluida. Nel corpo di colui che non pratica, è la prima ad avere il predominio: il sole, o fuoco del tempo nel basso ventre arde con tutti i suoi dodici digiti, causando in tal modo il logorio e l’invecchiamento del corpo (…) Lo yoga, ed in particolare lo haha yoga, implicano un controllo forzato, che giunge sino al punto di invertire le naturali tendenze del corpo mediante tecniche combinate di controllo del respiro, posture prefissate e meditazione. Ciò che tali tecniche mirano ad invertire è il processo d’invecchiamento, identificato dalle tradizioni yogiche con il predominio nel corpo dei digiti solari e ardenti (…) La pratica yogica riduce l’influsso dei digiti della parte inferiore del corpo, accrescendo nel contempo quello dei sedici digiti della luna, localizzata nella volta cranica. In termini pratici, ciò avviene facendo risalire il seme dello yogin dal basso ventre lungo tutto il canale centrale, finché esso riempia la luna nel capo. Dal momento in cui sorge, questo stesso seme si trasforma gradualmente in amta, la sostanza della luna macrocosmica, il divino nettare d’immortalità che si riversa sul mondo sotto forma di pioggia vivificante (…) Il prodigioso calore generato trafiggendo ciascun cakra e la coincidenza del movimento verso l’alto con l’assorbimento meditativo permettono di associare ciascun cerchio di trasformazione ad un campo di cremazione (…) Questo calore, concentrato entro lo spazio infinitesimo del canale centrale, effettua la graduale trasmutazione del seme “crudo” in nettare “cotto” e perfetto, in amta; è questo nettare a riempire progressivamente la luna nella volta cranica, così che, alla fine del processo, il cerchio lunare, ora colmo di nettare, è nella pienezza dei suoi sedici digiti.[4]

Tra le pratiche di inversione delle tendenze naturali attuate dallo yogin, figura appunto la vajrolīmudrā, appartenente alla mistica erotica: lo yogin deve realizzare l’aspirazione uretrale, ovvero risucchiare, riassorbire il proprio seme, insieme alle secrezioni della compagna, e farlo risalire verso l’alto, fino al sahasrāra-cakra:

Anche se è sceso e ha raggiunto i genitali, mediante la yonimudrā [altro nome per la vajrolī-mudrā], il seme è bloccato e sale con forza in alto.[5]
Con la pratica, si conduca in alto il seme caduto nella vagina e si conservi il proprio seme, che ha iniziato a scendere, facendolo risalire.[6]

Con la vajrolī-mudrā, il praticante maschile, dopo aver eiaculato nella partner, ritira indietro il proprio seme, ora catalizzato attraverso l’interazione con l’essenza sessuale, o sangue uterino di lei, nel proprio corpo. Così facendo, egli risucchia in se stesso, insieme al proprio seme raffinato, una certa quantità di quell’essenza femminile che può a sua volta essere utilizzata per catalizzare i processi yogici, mediante i quali il suo seme viene trasmutato in nettare.[7]

Il seme si trasforma in nettare.
La luna è riempita, il tempo padroneggiato e la morte definitivamente vinta.

Laura Liberale

[1] Hahayoga-pradīpikā, III, 44.
[2] Hahayoga-pradīpikā, III, 50.
[3] Hahayoga-pradīpikā, III, 51.
[4] Da Il corpo alchemico, David Gordon White, edizioni Mediterranee.
[5] Hahayoga-pradīpikā, III, 43.
[6] Hahayoga-pradīpikā, III, 87.
[7] David Gordon White, op. cit.

 

 

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