“Storie”: l’esordio di Damiano Sinfonico. Una nota e alcune poesie

di Diego Conticello

In copertina: Damiano Sinfonico in una foto di Gabriele Bricola, Square, brickout.tumblr.com, 2014.

Damiano Sinfonico è giovanissimo autore di un libretto appena uscito per i tipi de L’Arcolaio di Gian Franco Fabbri nella collana “I Germogli”, attentamente curata da Stelvio Di Spigno, e che ha già ospitato giovani e notevoli poeti del calibro di Gabriele Gabbia, Lorenzo Mari, Carmen Gallo, Francesco Maria Tipaldi.

Il volumetto di Sinfonico si inserisce con garbo, asciuttezza e originalità all’interno di questo spazio e con un quid di spontaneità ed efficacia epigrammatica che genera freschezza e precisione all’attuale e interessantissima proposta della casa editrice forlivese.

Massimo Gezzi, nell’attenta prefazione, individua la categoria del “verso-frase” come costitutiva della poesia di Sinfonico, tracciandone peraltro una corretta “genealogia” di modelli che va dal primo Fortini di Foglio di via al Giudici sentenzioso e schietto di Autobiologia o de La vita in versi. Ed effettivamente il tono scansito in maniera decisa ed essenziale, l’enunciato diretto e spontaneo, la struttura priva di modulazioni apparentano molto queste prove d’esordio del nostro ai modelli sviscerati da Gezzi. Tuttavia sono ravvisabili talune descrizioni di quotidiana aberrazione, qualche sezionamento preciso di abitudini quasi alienanti, che potrebbero accostare questa scrittura così incisiva al Basilio Reale de Le quotidiane abitudini o de I Ricambi (libro pubblicato in pieno boom economico nella fortunata collana sperimentale di Mondadori “Il Tornasole”), oppure alla causticità amara di un Nelo Risi.

Propongo di seguito alcuni testi esemplificativi della poetica (ancora ampiamente in fieri) dell’autore, augurandogli possa svilupparsi e crescere ancora lungo i binari dell’incisività e della schiettezza che ne contraddistinguono già la matrice attuale.

***

Che festa, le Meditazioni metafisiche di Cartesio.

Stesi sul letto ci interrogavamo sul corpo.

“Non poteva darsi che mai io ne fossi separato”.

Poi ho pensato che non vorrei separarmi dal tuo.

Così starei meglio, sarebbe più leggero reggere il peso dell’aria.

Guardare la luce.

Pensare ai nostri morti.

Accarezzare il passaggio della sera.

Raggomitolarsi sotto le lenzuola.

Cucirsi a una casa, a un luogo, a una residenza.

Darsi il buongiorno ogni mattino.

Riempirsi di ossigeno, fino all’ultimo respiro.

 

 

L’ultima colazione, in place des Vosges.

Sotto la casa di Hugo.

Ci siamo seduti sotto il portico.

Un tavolino per due.

Ci hanno servito un panino, marmellata, burro e caffè.

Abbiamo ripetuto i gesti quotidiani.

Ci siamo raccontati cose senza importanza.

Abbiamo finto che tutto sarebbe rimasto uguale.

Io non dovevo prendere l’aereo il giorno dopo.

Salutarci sì, ma non per molto.

È stato un abbraccio fugace.

Poi ci siamo allontanati.

Io scendevo nelle scale della metro.

Tu camminavi in direzione opposta.

Ho preso il tunnel della mia linea.

Ho superato il tornello.

Ho fatto altre scale.

Mi sono fermato sulla banchina.

È arrivata una metro.

Ho esitato un attimo, poi mi sono voltato indietro.

 

 

Fuggivano da Aquileia.

La laguna era a portata di mano.

Avrebbe scoraggiato qualunque invasore.

Fuggivano da Aquileia.

Fondavano le prime case riflesse nell’azzurro.

Avrebbero aggiunto merli e piazze.

Quei coloni incolti.

Quale bellezza stavano scoccando.

 

 

Ci tocca questa trafila di vetrine, di manichini spogliati.

Hanno strisce di plastica al posto degli occhi.

Allungano la mano, con borse e foulard sgargianti.

Il loro busto non conosce grasso e vecchiaia.

Dal magazzino scendono e salgono come fiocchi di neve.

Sorridono, scintillano, oscillano, bevendo la luce del mattino.

Si è scherzato un’ora intera.

Le risa si propagavano nel corridoio.

Una corrente magnetica.

Altre risa rispondevano dalle stanze intorno.

Si moltiplicavano lungo il reparto.

Poi è entrato l’infermiere, arcigno.

Ci ha rimproverati.

Come potevamo disturbare una tale quiete?

L’orario di visita stava scadendo.

Eravamo agli ultimi minuti.

Abbiamo riso ancora.

Qualcuno stava morendo.

a Francesco

 

Il trasloco sta finendo.

I quadri, le bottiglie, i portasciugamani.

Tutto ha trovato una collocazione.

Resta poco da fare.

Aspettare insieme il domani.

La luce filtrata dagli alberi.

Questa casa si apre agli anni futuri.

Arriveranno uno a uno.

Li conteremo insieme, luminosi e meno.

In te c’è un altro secolo di vita.

***

Damiano Sinfonico (Genova, 1987).è dottorando in letteratura italiana. È redattore di “Nuova Corrente”, collabora con “Poesia” e con il blog “La Balena Bianca”. Sue poesie sono state pubblicate sui siti “Le parole e le cose”, “Atelier Poesia”, “Nazione Indiana”, “Interno Poesia” e ora su “Carteggi Letterari”.

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