TAT − WE ARE BUT ONE a cura di Laura Liberale − 8) Forme del desiderio

TAT (WE ARE BUT ONE)

—–Messaggio originale—–
Da: Laura Liberale
A: Claudia Boscolo

Oggetto: Forme del desiderio

 

Il mondo migliore è il mondo del corpo, pieno di creature, pieno di terrore, così malformato eppure il migliore che abbiamo.
Adrienne Rich

Non vi è nulla nell’universo che non sia nel corpo umano.
Arthur Avalon

Senza titolo

 

Dalla mente di Brahmā scaturì un maschio. Egli era lucente come polvere d’oro; ampio di petto; dal bel naso; i polpacci, le cosce e i fianchi rotondi; attorti gli scuri capelli; unite le mobili sopracciglia; il volto simile alla luna piena; il torace largo come la tavola di una porta e irto di peli; le braccia sode e rotonde come proboscidi d’elefante; rossi i piedi, le mani, il volto; belli i denti e sottile la vita; pari a loti sbocciati gli occhi; il corpo fragrante come un fiore di bakula; avente per cavalcatura il coccodrillo e per insegna il pesce; bello, alto e veloce; dotato di un arco fiorito dai cinque dardi.
Egli disse: “O Signore del mondo, poiché sei il Manifestatore dell’universo, assegnami un nome, un luogo a me adatto e una sposa”.
Brahmā rispose: “Con questo tuo bell’aspetto, per mezzo delle tue cinque frecce fiorite, incanta uomini e donne e intraprendi l’eterna creazione”.
I saggi dissero: “Poiché farai ammattire, che il tuo nome sia Madana. Il potere delle armi di Viṣṇu, di Śiva e di Brahmā non eguaglierà quello dei tuoi dardi. Tue dimore saranno il paradiso, il mondo dei mortali e le regioni sotterranee, essendo tu onnipervadente”.
Allora quel maschio, Kāma, prese l’arco di fiori chiamato Follia, simile per forma alle sopracciglia di una bella donna, e le cinque frecce di nome Eccitazione, Piacere, Smarrimento, Emaciamento e Morte.
Il patriarca Dakṣa offrì in sposa a Kāma la fanciulla nata dal sudore del suo corpo e chiamata Rati, Voluttà.
Viste le sopracciglia di Rati, Madana si domandò: “Forse che il mio arco, capace di far perdere il senno, è stato messo da Brahmā su di lei?”.
Visti i rapidi sguardi obliqui di Rati, Madana dubitò della rapidità e della bellezza delle sue frecce.
Sentita la fragranza naturale del placido respiro di Rati, Madana dubitò del vento del Malaya.
Visto il volto di Rati, Madana lo confuse con la luna piena.
Il seno di lei, sodo e rotondo, come una coppia di boccioli di loto, i due capezzoli simili ad api; la sottile linea di peli fin sopra l’ombelico uguale alla corda dell’arco di Kāma; l’ombelico profondo; gli occhi e il viso come due loti rossi; le belle cosce simili a tronchi; i meravigliosi piedi rossi; le mani dalle unghie rosse; le braccia come steli di loto; la ciocca dei capelli scura come nube.
Madana guardò quella dea sommamente affascinante e la equiparò a Gaṅgā[1]: la sua bellezza come una massa d’acqua; i seni come loti sbocciati; il volto di loto; le belle braccia come steli di loto; le due sopracciglia che si muovevano come piccole onde; la corrente degli sguardi obliqui; gli occhi come due loti blu; la sottile linea di peli come la pianta acquatica śaivāla; il profondo ombelico come il lago montano da cui Gaṅgā scaturisce; il suo potere in grado di travolgere gli alberi della mente.
Dopo averla guardata con occhi spalancati, Madana la prese in sposa, proprio come Śiva prese Gaṅgā.[2]

Kāma è il primogenito dell’Assoluto, forza originaria di creazione ed espansione, pulsazione del Cuore cosmico.
Kāma è l’amore.
Kāma è il piacere.
Kāma è la schiavitù della lussuria.
Kāma è la sacralità dell’unione sessuale come sentiero di liberazione.
Kāma è il desiderio egoico nemico del rinunciante.
Kāma è l’anelito d’integrazione e totalità.
Kāma è il godimento infimo.
Kāma è l’unione mistica.
Kāma è il desiderio che impulsa l’azione.
Kāma è il desiderio di cui spogliare l’azione.
Kāma è l’affermazione del sé.
Kāma è lo spossessamento di sé.
Kāma è colui che, arso dall’occhio igneo del Dio asceta, risorge continuamente dalle proprie ceneri.

È stata una benedizione incontrare Lady Jaye nel 1993. Oltre a essere il mio ideale dal punto di vista fisico, era anche superbamente esperta nelle sfumature di una dominatrix professionista nonché un’infermiera diplomata! Cosa desiderare di più di un’amante che sembrava una modella, priva di qualsiasi inibizione sessuale, ben disposta a esplorare ogni variazione, ogni fantasia, e conscia dell’inutile ostacolo rappresentato dagli stereotipi di genere! Lady Jaye incarnava tutte le qualità, sacre e profane, che avevamo[3] sempre cercato in un’amante, ed era il massimo della sensualità (…) Non abbiamo mai dato per scontato di essere considerati sexy. Non siamo così fortunati da avere una naturale fiducia nelle nostre qualità di amante. Pur avendo conosciuto e avuto relazioni con donne molto speciali, sessualmente audaci, pronte a sperimentare e a crescere in ambiti normalmente considerati perversi e tabù, nessuno mi ha mai del tutto persuaso di essere speciale, o davvero sexy, o realmente desiderabile (…) Lady Jaye ha cambiato tutto, è stata la prima donna a farmi davvero CREDERE… credere di essere unico (…) Quando abbiamo fatto l’amore per la prima volta io avevo 44 anni, lei 25 appena compiuti. Abbiamo aspettato un anno per essere sicuri di noi (…) Quand’è accaduto è stato diverso da tutte le altre volte. Abbiamo capito entrambi che stava succedendo qualcosa d’incredibilmente prezioso, del cui potere abbiamo quasi provato timore. È stato il momento in assoluto più perfetto delle nostre vite, e di colpo sensualità, fantasie, fissazioni e tutto il resto hanno perso di significato, perché in quel meraviglioso istante di unione abbiamo raggiunto simultaneamente tutti i luoghi mai desiderati e trasceso le nostre fragili immaginazioni. Sapevamo entrambi di avere trovato l’altra metà e che QUELL’unione, quella fusione di due in uno trascendeva il sesso, l’età e perfino l’esistenza fisica.
Ci siamo letteralmente innamorati a prima vista. Siamo stati insieme quasi ogni giorno per quattordici anni. Non ci siamo mai annoiati (…) Vedovo a 57 anni (…) Senza le conferme di Lady Jaye, ho ripreso a sentirmi brutto. Più brutto di prima, perché consapevole di aver perso quello specchio magico che rifletteva il meglio di me (…) Fare beatamente, selvaggiamente l’amore è stata l’ultima cosa che abbiamo fatto insieme, e nel giro di pochi minuti lei era morta tra le mie braccia.
[4]

 

 

Dorme la serpentessa
la dea attorta in tre spire e mezza.
Dorme alla base della colonna di vertebre
dentro un fiore di loto cremisi
dorme in attesa che l’umano la risvegli
scuotendole la coda.
E una volta destata si rizza
intraprende l’ascesa
la dea che ha danzato la trama del tutto
la dea che ha spaccato il seme vibrando
la dea luce affievolita nel molteplice.
Sale riassorbendo i princìpi
disfacendo il mondo
ed è fioritura di potenza
desiderio di ricongiungimento.
Il dio l’attende al termine della salita
per stringerla a sé
e coronare l’umano
della gioia dell’Androgino.

Laura Liberale

[1] La dea-fiume Gange.

[2] Dall’Antica Recitazione di Kālikā in sanscrito, capitoli 1, 2, 3.

[3] Nel discorso di Genesis si alternano liberamente la prima persona singolare e la prima plurale (dell’entità Breyer P-Orridge).

[4] http://genesisporridgearchive.blogspot.com/2011/06/ruminations-on-sexiness-and-aging-with.html?zx=22ab07b40d5eff94.

In copertina: Kāma e Rati.

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