TAT – WE ARE BUT ONE a cura di Laura Liberale – 4) Non siamo che uno

TAT (WE ARE BUT ONE)

—–Messaggio originale—–
Da: Laura Liberale
A: Claudia Boscolo

Oggetto: Non siamo che uno

Umanità sferica originaria. Uovo cosmico primordiale. Uroboro. Macrantropo. Androginia divina. Tutte rappresentazioni mitiche della Totalità, della coincidentia oppositorum.
Comparsa di un nuovo tipo di umanitàcoscienza priva di polarità.
È questa la dichiarazione d’intenti artistici di Breyer P-Orridge per bocca della coppia originaria Jaye-Genesis.

“Forse i nostri condizionamenti sociali e familiari possono essere spezzati, tagliati, riassemblati in nuove strutture e rivelare aspetti del nostro SÉ, della nostra condotta, della nostra identità e dei nostri atteggiamenti che potremo abbandonare, rimodellare, fino ad arrivare a una sorta di Tabula Rasa autogena su cui progettare e costruire una personalità autonoma, liberamente scelta.”

Eppure, più degli aspetti burroughsiani della faccenda e più dell’utopia escatologica, ciò che potrebbe condizionare la percezione del progettoprocesso artistico pandroginico è il lieve, dolcissimo sorriso che sfugge a Jaye (e, sullo sfondo, a Genesis) quando dichiara, quasi al termine della lettura del Manifesto (lettura alternata, in coppia, le due voci quasi identiche), che un aspetto fondamentale del loro lavoro risiede nel profondissimo, reciproco amore.[1]

“AMORE INCONDIZIONATO! Al di là di tutto, la nostra lotta incessante contro l’INERZIA in ogni sua forma nasce da una ricerca profondamente religiosa, idealistica, utopica, di incondizionato, reciproco AMORE.”

“We are but one”, “Non siamo che uno”.
Si guardi Genesis P-Orridge, “l’assatanato” front man della controcultura, colui che ha trasformato il pastorale con croce a tre braccia in un logo che ricorda un’antenna televisiva: la Psychick Cross. Si guardi questa ormai attempata matrona trans, le sue pose glamour-kitsch; lo si ascolti parlare della metà ritrovata definitivamente a dispetto della morte, questo destabilizzatore della civiltà, novello Aristofane. Quel che si vedrà, di fatto, è l’eroe di una tragedia romantica, un contemporaneo e bislacco Romeo, la sua Giulietta incorporata per similitudine, consacrata dal bisturi l’umana sizigia, ricostituita simbolicamente l’Unità attraverso la manipolazione chirurgico-sacrificale. E se è vero che inventando una metafora si crea qualcosa di nuovo, un terzo a parte rispetto ai due elementi che, riuniti, la costituiscono, si pensi a lui come a una metafora incarnata.

“Il punto d’arrivo delle pandroginia, per noi personalmente, è la possibilità di restare insieme in qualche forma, per sempre, all’infinito, anche come fusione coscienziale senza esistenza fisica (…) L’aspetto evolutivo della cosa è una specie di bonus sorpresa: il nostro poter essere utili alla specie.”[2]

Jaye si ammalerà di cancro e morirà improvvisamente il 9 ottobre del 2007, per arresto cardiaco, fra le braccia di Genesis.
Da qui a pensare a Śiva che stringe a sé il cadavere della sua sposa, il passo è breve.

croce

Diranno di noi
ciò che ai loro occhi
avremmo dovuto:
fonderci in un figlio
ciò che ai loro occhi
non abbiamo saputo:
che l’Uno è un viaggio da compiere dentro o
che l’altro è altro solo in apparenza.
Ma quel che volevamo
non lo sapranno dire:
il tuo di cuore, a muovere il mio sangue
i miei polmoni ad insufflarti l’aria
lo scambio delle bocche, la tua
dentro il castone della mia di faccia
le orbite, le tue, con i miei globi
le mani, mie
a finimento delle tue di braccia.

Laura Liberale

In copertina: Hieronymus Bosch, Il concerto nell’uovo (XVI sec.), Olio su tela, 108,5×126,5 cm. – Musée de Beaux-Arts, Lille.


NOTE

[1] Pandrogeny Manifesto PART 1.

[2] The Genesis Breyer P-Orridge online archive.

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