Rosa Pierno: recensione a Mario Fresa, "Come da un’altra riva. Un’interpretazione del Don Juan aux Enfers di Baudelaire" (Marco Saya Edizioni, Milano, 2015)

Mario Fresa, Come da un’altra riva. Un’interpretazione del Don Juan aux Enfers di Baudelaire. Marco Saya Edizioni, Milano, 2015

11042036_949997025012604_1563705478_nIl commento a una poesia che sta per il commento a tutta l’opera. E nonostante questo, vorremmo leggere non l’esplorazione di una sola delle poesie di Baudelaire tratte da I fiori del male, ma l’intera analisi. Anche se dobbiamo ammettere che come esempio sia paradigmatico, esemplare. Il doppio binario che Mario Fresa percorre, nell’accostarsi alla poesia Don Juan aux Enfers, gli consente di individuare il significato dei vocaboli in gioco nella traduzione italiana con altissima precisione e nel contempo di definire con essi la posizione intellettuale di Baudelaire. Ma vale anche campo di verifica in cui proprio la lucidità del poeta francese fa da argine a intemperanze, errori e fraintendimenti operati dai traduttori. Tuttavia il vero miracolo che si compie sulla pagina fresiana consiste nel fatto che, se l’argomento focale della trattazione ruota, appunto, intorno alla questione della traduzione, quello che emerge dalla disamina è un commento di chiarezza cristallina, scolpito nella pietra, che non dà adito a possibilità di deviazioni e che viene a costituire il prodotto dell’atto critico. In un certo senso, si potrebbe persino essere tentati di dire che la scrittura di Fresa si adatti alla descrizione di una pagina contenente una dimostrazione matematica, anziché poetica, tale è la forza del risucchiante vortice semantico che una corretta traduzione innesca!

Traiamo dall’elenco di critiche le seguenti, e bastino solo queste su De Nardis “che nella sua traduzione (1964) osa riformulare a suo piacimento gli a capo dei versi” e quella su Muschitiello: “il titolo della poesia Le Guignon è tradotto con la parola Sfiga”. Si va in generale dalla traduzione “triste” e “sommaria” a quella “grottesca” o “raccapricciante”, da quella “buona” o “corretta” a quella “provocatoria”. Mentre, per Fresa, “la traduzione poetica dovrebbe evitare atteggiamenti presuntuosi scegliendo, invece di agire – lo ha scritto saggiamente Enrica Salvaneschi – come una nobildonna di compagnia alla sovranità del testo originale.”

In parte innestata sull’analisi della struttura lessicale e sintattica, l’operazione esegetica di Fresa, in parte sul milieu culturale e sulle critiche coeve, è condotta integralmente sui materiali. Si svolge conficcandosi nel testo, collaziona i possibili modi in cui la poesia in oggetto è stata tradotta, senza evitare Scilla e Cariddi nel nominare le cose con il loro nome, talché l’onestà dell’intellettuale diviene qui pratica dimostrata e l’amore portato all’opera modo di vivere il proprio ruolo di studioso. Ed è bene mai discostarsi da questa postura, pena il tradimento della parola altrui, poiché il commento, l’esegesi infinita non possono deviare verso rivi mai raggiungibili o infinitamente allontanati.

L’opera non è inaccerchiabile, in ogni modo, lo è tramite una pratica concreta condotta sui materiali e logicamente dispiegata. Potremmo qui tentare di richiamare un autore che ha affrontato, e forse in maniera meno salda e ferma, benché un capostipite, una tale modalità critica: Leo Spitzer, il quale nell’integrazione di critica letteraria e analisi linguistica giunge all’interpretazione unitaria dell’autore. Se il problema è affrontare la verità dell’opera, è necessario che il critico sia all’altezza dell’arduo compito. “ Questo, infatti, è l’universo ch’è ritratto nelle Fleurs: vi scorgi sempre la febbre ansiosa di un chiasmo ininterrotto; e vedi sempre emergere, in esse, la ragna di un impasto crudele, un incrocio di dolori e di delizie”. E certo, da questo coacervo, per Fresa, non è possibile in alcun modo disgiungere un affilato e poderoso intervento critico guidato da severissima ragione, da un accostarsi appassionato.

Non sarà certo una lotta corpo a corpo, a colpi di vocabolario, per scegliere il termine migliore, tale che non sia avulso dal contesto in cui la scelta autoriale è maturata: vediamo allora come Fresa distenda una rete che sostiene e contemporaneamente lega e motiva le scelte di traduzione lessicale, perché appunto lo scopo è aderire al testo, è riproporre e mai dimenticare la figura autoriale che tanta parte della filosofia contemporanea vuole annullare (si pensi alla posizione derridiana). La poesia dice qualcosa in quanto il poeta le fa dire qualcosa e il significato va ricercato non solo nella singola poesia, ma nell’opera omnia, rintracciando una coerenza stilistica e rispettandola: ecco il compito del traduttore che è in primis studioso dell’opera di un autore. La poesia grazie a questa posizione diviene opera: parte del tutto e parte che sta per il tutto.

Il ricchissimo sostrato a cui Fresa dà la voce per motivare le sue critiche alle altrui traduzioni e sostenere le proprie scelte è esteso e profondo e non risente di delimitazione storica né di paletti fra le diverse discipline. Ogni elemento è in grado di apportare un contributo: dal Don Giovanni di Mozart all’inno Der Ister di Hölderlin commentato da Heidegger, dalla Metafisica di Artistotele al testo critico di Croce su Baudelaire in Poesia antica e moderna. Interpretazioni, da Le radeau de la Méduse di Delacroix a Oscar Wilde ne Il critico come artista.

L’affresco che Fresa disegna sotto i nostri occhi è sorprendente quanto insostituibile: l’atto critico con cui ci vengono mostrati i gangli semantici della poesia Don Juan aux Enfers è un’operazione a cuore aperto, ove tutte le vene sono mostrate nel loro controverso scorrere e seguite sullo sfondo delle corrispondenze esistenti nell’opera Les fleurs du mal. La poesia, in questo modo risuona, si approfondisce nel sostrato autoriale, si espande nelle opere del medesimo autore e si ancora al quadro culturale dell’epoca a cui appartiene. Ma per raggiungere codeste vette, ribadiamo che la squisitezza dell’interprete nell’esecuzione non è separabile dall’opera su carta. Utilizziamo la metafora musicale in quanto ogni poesia equivale a uno spartito da riportare in vita e a maggior ragione quando si produce una traduzione, che ne mette a nudo la carne.

Non possiamo qui rendere le sottigliezze dei riferimenti restituiti da Mario Fresa, ma la loro lettura ci ha restituito l’opera di Baudelaire nella sua vivente ricchezza, e, in particolare, la sua interpretazione del mito di Don Giovanni: infaticabile amante di una bellezza dell’istante, pencolante sul “precipizio tra l’essere e il non essere”, di una pienezza che si coglie solo attraverso la sua perdita, eterna e caduca insieme. Com’è appunto la poesia che, senza l’appassionato e lucidissimo intervento di un critico innamorato, non si palesa nella sua sfolgorante, molteplice vita!

Rosa Pierno

Foto di copertina: “Charles Baudelaire”—The Flowers of Evil—ink pen (2012) by Radivilovskay ©. Fonte: http://radivilovskay.deviantart.com/art/Charles-Baudelaire-303554645

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