VI.
La sciarra degli elementi evapora pulviscolo d’umido e cenere che ammanta ogni cosa. E’ immensa la sala delle stelle nel buio assoluto della Piazza San Vincenzo. Anche il sagrato si inchina al silenzio degli elementi, con il rispetto divino per la magnificenza di tutto ciò che è autenticamente terreno.
Il timore di dio, la morte, il mistero e ogni umana paura si annullano nella scalata all’inferno, che tanta parte del vissuto raccoglie nell’energia spesa in religiosa fatica.
Il cimitero abbandonato a poco più di trecento metri sopra il livello mare, offre la prima terrazza naturale per il ristoro dei pellegrini all’ombra di ulivi contorti come le ossa di figure mitologiche fuori da ogni tempo. Le uniche tracce di memoria temporale sono incise nel marmo delle lapidi. Qui ogni tomba ha un nome eroso dal pulviscolo nero e minerale che il centro del mondo regala in continuo spettacolo di fuochi pirotecnici. Qui ogni tomba chiede una prece con lo sguardo rivolto al mare, laddove si ripete ogni sera l’incontro dell’orizzonte con l’infinito tinteggiato di un arancio intenso, vivo. Questo luogo abbandonato pulsa di una delicatezza che lascia attoniti i pellegrini che vi si fermano per riprendere forze e fiato per proseguire la salita fino al cratere principale, e in questa stazione di ristoro avviene il mistero dell’incontro, la scoperta di quanto sia sempiterno il passo dei morti nelle necropoli che ne custodiscono assenze e spoglie memorie. Sperimentare una leggera carezza sulle lapidi, per spostarne la polvere e decifrarne il nome, innesca un dialogo con i morti che si arricchisce di immagini e visioni nel rimpianto degli orfani impresso sulle lastre di pietra, che custodiscono il silenzio di rimpianti altrimenti dimenticati.
Fermarsi ad ascoltare i consigli che la quiete del loro silenzio emana al di sopra di ogni empatica sperimentazione di dolore e assenza, ricompone in petto la comprensione e la necessità del perdono, con la pace sincera della mancanza quando muta in silenziosa presenza, irrimediabile memoria.
In questo parterre di buio assoluto, risplende uno scintillio di stelle sconosciuto all’occhio abbacinato dalle luci confuse del mondo artificiale. Ho scattato delle foto alle lapidi di questa necropoli così viva nel silenzio degli ulivi; mi piace pensare che ogni microscopico lumino che intenerisce il cielo con lo sguardo rivolto all’evoluzione del nostro breve passaggio, sia un atomo di vita, un nome proprio che ha fatto ritorno alla dimora del cosmo, laddove polvere e fuoco plasmarono l’incomprensibile Universo.
(Stromboli, memorie, luglio-agosto 2014)
VII.
Sull’isola scopri le cose più strane
quelle che altrove diresti più matte
o forse solo autentiche, sincere.
Qui incontri storie di amori e abbandoni,
corpi che si muovono liberi dagli stereotipi
di bellezza e urgenza dei mondi artificiali.
Serve poco qui, quel poco che costa fatica,
una fatica antica, fuori tempo,
umana.
*
III.
Non albero ma fuoco in origine
è chiarore di specchio la verità:
una vertigine.
Purezza selvaggia d’incanto irascibile,
come potremmo noi non tornare cenere
nel giardino segreto del divenire?
(27072014)
*
II.
Rintoccano le campane del vespero divenire
anche in questo portento naturale
la croce ha marcato il controllo del tempo.
*
V.
Quarantatré anni collezionando
peccati, esperienze, false dottrine.
Ho vissuto di mente e di carne dando
alle cose un nome, come se chiamandole
in qualche misura, appartenessero
alle mie parole.
Tre punti cardinali mi segnano
il costato, marcando il centro
l’est e l’ovest
delle croci che ricucirono il petto.
Ora nomino l’inferno e vi ascendo
a precipizio
– mostro di gloria intono la gioia –
Sono viva nonostante la parola.
(Stromboli, 29072014)
L’ha ribloggato su natalia castaldi [storie di un paria che scrive].
Molto fine ed umano questo diario-meditazione, scritto con un linguaggio al tempo stesso musicale e denso dal punto di vista lessicale: Stromboli, del resto, non è affatto un luogo qualunque e il tutto mi ha fatto pensare, tra l’altro, a certi versi sulla Necropoli di Pantalica che Stefano D’arrigo raccolse nel suo “Codice siciliano” e alle riflessioni di Gesualdo Bufalino relative al culto dei morti in Sicilia (ma estenderei tali riflessioni a tutta l’Italia meridionale).
che bella verità che mi riveli, trovo meraviglioso scoprire archetipi e modi del mio scrivere attraverso le letture e gli accostamenti di altri veramente grandi. ti ringrazio di cuore.