Privatizzazioni – di Graziano Pestoni – recensione ed intervista a cura di Laura Di Corcia

È giusto privatizzare le ferrovie, le autostrade, in generale i servizi pubblici? Quando è cominciato questo fenomeno? Perché? Il libro del sindacalista svizzero Graziano Pestoni parte dagli anni Ottanta e illustra, senza concedere sconti, le mire di un’intera classe dirigenziale avida e senza scrupoli. Le conseguenze? Disoccupazione, precarizzazione dei posti di lavoro, livellamento verso il basso degli stipendi. Un andazzo preoccupante, che bisogna aver il coraggio di guardare in faccia e correggere.

“Voglio che questo libro sia uno strumento, un approfondimento che, liberandoci dalla morsa dell’attualità, ci aiuti a capire meglio la direzione verso cui stiamo andando”.

Privatizzazioni è un libro che sfida a braccio di ferro il pensiero unico dominante il dibattito economico e politico non solo svizzero, ma più in generale europeo e mondiale. Siamo sicuri che la concorrenza sia la strada giusta? Il libero mercato apporta alla lunga benefici a tutti o li elimina con un colpo di spugna? Che fine farà la classe media europea, compresa quella svizzera, se continueremo a seguire le politiche liberiste di Reagan e della Lady di ferro? Le pagine, ricche di fatti storici e riflessioni, denunciano senza giri di parole, facendo anche nomi e cognomi, gli abusi di una classe dirigenziale ed affaristica troppo ingorda per pensare al futuro: “mercenari e rapaci”, come li chiama Pestoni, che si stanno bevendo il domani dei giovani, che stanno polverizzando tutte le strutture solidali costruite a fatica negli scorsi decenni. (LDC)

Quando è iniziato lo smantellamento del servizio pubblico e soprattutto perché? Quali sono le ragioni che hanno portato i privati ad allungare le mani verso quei settori, come le ferrovie e le poste, che lo Stato gestiva con tanta disinvoltura, con profitto dei cittadini meno abbienti e della società tutta?

Dobbiamo fare un passo indietro. Bisogna iniziare col dire che il servizio pubblico è stato sviluppato proprio dalla borghesia imprenditoriale fra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo, perché lei stessa aveva bisogno di ferrovie e poste e per di più le faceva comodo avere una classe operaia alfabetizzata, che sapesse perlomeno leggere e scrivere. Non è un caso che la prima legge ticinese, risalente al 1804, un anno dopo la creazione del Cantone, abbia chiesto ai Comuni di creare una scuola in ogni paese.

Benissimo. Quindi al di là dei principi ideali sbandierati, delle belle parole come “uguaglianza”, “libertà”, “diritti a tutti”, eccetera, anche dietro l’istruzione pubblica vi sarebbero mire un pochino più prosaiche.

Non c’è nessun ideale; si tratta come al solito di interessi. Negli anni Settanta, con le prime crisi a livello mondiale, il mondo finanziario e economico è andato a cercare nuove aree in cui investire: l’esempio della Gran Bretagna è eloquente. Lì hanno cominciato da alcune industrie statalizzate per poi passare al servizio pubblico vero e proprio. Ferrovie, ospedali, eccetera.

La Thatcher: in occasione della sua morte, è stato detto che la Gran Bretagna, grazie al suo pugno di ferro, pur con fatica e sangue e lacrime si è ripresa da una profonda crisi economica che la stava mettendo in ginocchio.

Tutte balle. La Thatcher ha distrutto la Gran Bretagna. Ha svenduto tutte le aziende pubbliche, con una guerra incredibile contro i minatori, lasciando senza riscaldamento per tutto l’inverno la metà dei cittadini del suo Paese, con il preciso e subdolo scopo di smantellare il servizio pubblico e aprire le porte alla privatizzazione. Adesso abbiamo i treni che non funzionano, che producono morti tutti i giorni. Un bel risultato! Come Reagan, ha indebolito e sfibrato i sindacati: in Gran Bretagna si vive peggio di come si viveva prima.

E questo è successo anche in Svizzera. Prima o dopo, rispetto al resto dell’Europa?

Sicuramente dopo gli Stati Uniti di Reagan e la Gran Bretagna della Thatcher. L’Europa liberista è nata negli anni Ottanta. Qui da noi, prima dello smantellamento del servizio pubblico, c’è stato l’attacco ai salariati di quello stesso servizio. Un messaggio negativo che aveva lo scopo di aprire la strada alle privatizzazioni.

Una propaganda interessata e manipolatoria.

Assolutamente. Il nostro servizio pubblico è sempre stato efficiente. Una volta lo era anche più di oggi. Si tratta di menzogne.

Ma se andiamo avanti di questo passo, dove arriveremo? Come vede il futuro dell’Europa?

Se andiamo avanti di questo passo vivremo sempre meno bene, con meno certezze e meno risorse, sociali e di ogni genere. Pensiamo per esempio alla vecchiaia: un ministro giapponese è riuscito ad asserire che quando uno non lavora più, dovrebbe morire. Noi non arriviamo a dire tanto, perché gli anziani sono pur sempre un serbatoio di voti importanti, ma cosa facciamo, nello specifico? Aumentiamo l’età della pensione, peggioriamo le pensioni. Stiamo andando indietro, non avanti. Alcuni decenni fa c’era una certa povertà, ma esistevano delle certezze. L’operaio di un tempo guadagnava poco, ma sapeva che quel poco c’era, e ci sarebbe stato per tutta la vita, e quindi su quel poco impostava la sua esistenza. Oggi un giovane non ha nessuna garanzia, non sa più cosa fare. C’è uno sfascio totale dei valori collettivi. Questa società non può portare a nulla di buono.

E l’Unione Europea?

L’Europa liberista? E’ estremamente pericolosa e da abbattere. È impensabile aderire a questa Europa che propone lo smantellamento dei servizi pubblici e delle libertà. È nata come un’Europa mercantile, non c’è nulla nei suoi statuti che promuova i valori della solidarietà e della socialità, è pensata per le imprese.

Anche la sinistra deve mettersi una mano sulla coscienza e fare un “mea culpa”? Quali sono gli errori, gli sbagli, le superficialità?

Sì, ci sono degli errori da parte della sinistra e dei sindacati. Prima di tutto alcune persone sono state ingenue: i modernisti hanno creduto veramente che un po’ di concorrenza avrebbe rinvigorito il sistema economico apportando benefici a tutti, ma ho l’impressione che oggi abbiano capito di aver preso un grosso abbaglio. Quando si fa una campagna politica, poi, bisognerebbe seguirla meglio, più da vicino, dall’inizio alla fine, e non ridursi sempre all’ultimo momento. Occorrerebbe fare un lavoro più accurato sul territorio, parlare con la gente, darle gli strumenti per orientarsi meglio in questa realtà. Negli ultimi decenni questo lavoro non è stato fatto fino in fondo.

Ma dove sono i giovani? Non servono forse più forze in grado di rispondere col cuore e la grinta ai milioni degli avversari?

Io penso che non sia una questione di anagrafe. Ci sono giovani e vecchi che fanno un buon lavoro: forse bisognerebbe coordinare meglio questi sforzi, andare nelle piazze, nelle strade, partecipare agli eventi. Sono occasioni di scambio con persone che normalmente non incontri, più autentiche rispetto ad altre pur interessanti opportunità, come i talk show televisivi dove il dialogo è a senso unico.

Cosa ne pensa dei nuovi media, internet, i social network? Non sarebbe il caso di sfruttare bene anche quelle risorse?                                                              

Ci sono, quindi perché non utilizzarli? Ma questo non può sostituire il dialogo e l’incontro con le persone: il rischio è che si rimanga sul superficiale. E per coinvolgere la gente in riforme importanti bisogna discutere in modo approfondito.


Nota biografica:

Graziano-Pestoni2-150x150Graziano Pestoni, laureato in scienze economiche all’Università di Losanna, dal 1978 al 2006 è stato responsabile per il Canton Ticino del Sindacato svizzero dei servizi pubblici (VPOD) e redattore del periodico sindacale “I diritti del lavoro”. È stato deputato al Gran Consiglio del Canton Ticino dal 1999 al 2011. È segretario dell’Associazione per la difesa del servizio pubblico.

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