Intervista con lo scrittore sardo Pier Bruno Cosso

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Solo danni collaterali è il suo romanzo, edito da Marlin

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Dopo la sua ultima raccolta di racconti, uscita un paio di anni fa, è tornato al romanzo: che libro è Solo danni collaterali?

“Il romanzo è sempre il mio primo amore, ci ritorno perché questa è una storia di largo respiro, ideale per gli spazi ampi. Infatti qui si racconta la vicenda vera di un medico di famiglia che all’alba di un sabato qualunque si ritrova la casa devastata dai carabinieri che senza tante spiegazioni gli fanno saltare per aria tutta la sua esistenza, fino ad allora comoda e regolare. Il protagonista, tra stordimento e incredulità, inizia così una repentina discesa a spirale che gli farà perdere tutto, famiglia e stipendio. Il percorso di ribellione per cercare di recuperare la sua vita precedente sarà molto tortuoso. Tema centrale è il delirio di onnipotenza di un giudice che lo perseguita, impunemente e spavaldamente, perché, in Italia, il magistrato non ha responsabilità civile del suo operare”.

La storia che racconta in Solo danni collaterali prende le mosse da un fatto di cronaca: in che modo ha lavorato sulle fonti, e come poi le ha rielaborate in fase di scrittura?

“Questa volta è la fonte che è venuta a cercare me. Il vero protagonista, che mi onora della sua amicizia, l’estate scorsa mi ha telefonato una sera molto tardi dicendomi che come scrittore avrei dovuto raccontare la sua storia, incredibile e avventurosa come un romanzo. Mi ha sorpreso e preoccupato: ho percepito la sua necessità di parlare e quella sua profonda amarezza, anche se era già tutto risolto. Ma proprio per questo, quella testimonianza mi ha dato quella sensazione profonda che lascia un segno, che ti fa precipitare alla tastiera, perché lo devi raccontare, come un’urgenza, come se fosse una chiamata. Ovvio che poi, anche per non renderlo riconoscibile, ho attinto dalla fantasia per ingarbugliare vicende umane, le passioni e i tradimenti. Alla fine ne è scaturita una storia con una voce sola, dove neppure io riesco più a separare la fantasia dalla realtà. E forse non ha neppure senso distinguere”.

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Pier Bruno Cosso

Oltre a essere il racconto di una vita umana (più vite, in realtà) travolta e scombussolata da una vicenda imprevedibile e che sfugge al controllo del singolo cittadino che la subisce, Solo danni collaterali è anche un libro che affronta un tema delicatissimo come la responsabilità civile dei giudici: che posizione emerge, in merito, dal romanzo?

“L’idea che viene sbandierata più volte nel testo è che per fortuna in Italia abbiamo un esercito di magistrati molto preparati, che fanno un enorme lavoro ottenendo grandissimi risultati. Il problema è che questo sistema non ha difese immunitarie. Per cui se un magistrato, per superficialità o per puro bullismo, si accanisce contro un innocente qualunque, alla fine non paga pegno. Non succede quasi mai; i nostri sono bravi giudici, ma per quella volta rarissima che un magistrato si crede Dio ci vorrebbero gli anticorpi, per salvaguardare l’innocente e la magistratura stessa. Il tristissimo caso di Enzo Tortora fa ancora male a tutto il mondo civile”.

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Da una parte Gavina, la moglie del protagonista Enrico, dall’altra Elena, l’amica: chi sono queste due donne dai temperamenti così diversi?

“Elena e Gavina sono due combattenti con un forte carattere, e un indomabile spirito positivo. Come facilmente si incontrano in Sardegna, penso anche in ogni altra parte, ma da noi è una certificazione doc. Per cui quando disegno un personaggio femminile non lo rinchiudo mai in una caratterizzazione, ma lo osservo agire con tutte le sue potenzialità, l’intelligenza, la sensibilità e spesso anche le sue contraddizioni. Tanto che spesso si comportano come non mi aspetto. In Solo danni collaterali le due protagoniste vanno in alto e in basso alternativamente. E c’è sempre una delle due che fa da spirito guida, che mostra la bellezza dell’essere donna, tanto che a un certo punto Elena dice al protagonista maschile: «…imparalo, una donna si deve meritare. Non può essere molto facile, ci devi fare molta attenzione!». E così, quasi per un controcanto, Enrico, come spesso nei miei romanzi, è un antieroe, con le sue fragilità. Forse, in una parola, per me sono solo personaggi veri”.

Nei suoi romanzi e nei suoi racconti è spesso presente la terra in cui è nato e vive: solo uno sfondo per le sue vicende, o la Sardegna rappresenta per la sua scrittura qualcosa di più?

“La Sardegna non è un legame, per chi c’è nato o per chi la ama. La Sardegna è forte attrazione, è fusione; ha il nostro stesso carattere, e noi prendiamo il carattere da lei. Non riesco a immaginare una storia che non abbia uno sviluppo strettamente correlato con la nostra isola. Non dirò mai che le mie ambientazioni sono in Sardegna perché la conosco bene o perché ci sono nato. No, c’è qualcosa d’altro, che contamina e non si può sciogliere, sarà il vento, sarà la solitudine, sarà il profilo collinare disperso dall’eredità di un mondo antico, sarà la magia che può soggiogare la razionalità, ma che è spesso all’origine delle emozioni. Pensate a un posto qualunque in Sardegna, sarà sempre un posto che parla di sensazioni, di sabbia, di roccia, o di lentischio e maestrale, ma sempre qualcosa di emozionante. Un posto che rimane dentro, a cui uno scrittore non può sfugg

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