Palermo ai tempi del Coronavirus: Santa Rosalia non si ripete?

Reportage di Giancarlo Lupo e Riccardo Scibetta

Fotografia di Riccardo Scibetta

Nel 1624 a Palermo era arrivato un vascello i cui occupanti erano portatori del virus della peste e l’epidemia si era presto diffusa nei vari quartieri, causando migliaia di morti. Furono chiuse le porte della città e i varchi delle due sole porte aperte erano altamente controllati, per evitare che i contagi aumentassero. In tutte le case c’era gente che moriva dopo aver manifestato sintomi come febbre, mal di testa, debolezza e una rapida compromissione dei polmoni.

Probabilmente tutti quei luoghi ai tempi sembravano infestati dagli spettri.

Fotografia di Riccardo Scibetta

Come adesso del resto. Anche se Palermo non sembra essersi ancora arresa ai tempi del Covid-19, si presenta come una città semi deserta, ma non abbandonata. Girando sulle vie principali ci sono tanti padroni di cani che portano a spasso i loro cuccioli, ostentandoli, quasi a mo’ di vendetta verso i genitori che li accusavano di vedere negli animali domestici “surrogati di figli”. Su via Maqueda vediamo tanti migranti in giro, mentre nei vicoletti del centro storico non c’è anima viva, apparentemente. A volte basta solo aspettare un po’, guardare con più attenzione e si nota quell’umanità che non vuole abbandonare il territorio e aspetta il ritorno di tutti, alla fine dell’emergenza. C’è una umanità che non vuole essere riconosciuta, una umanità che vive nascosta, ai margini della società, prima e dopo il Covid-19. Pur con tutte le misure restrittive la città quindi rimane popolata, vivendo fuori nelle strade o osservando la vita dai balconi, in alto, al riparo dalle pestilenze.

Appena voltato un angolo, sul lato della Cala, si vedono ancora posteggiatori abusivi che sbucano dal niente, con mascherine rattoppate e i guanti del supermercato; al porto i pescherecci tornano carichi e i pescatori puliscono il pesce offrendo lische e rimasugli ai gatti miagolanti del quartiere; i venditori di frutta abusivi ciondolano ai lati delle strade in attesa di clienti che non arrivano; da un balcone un vecchio dalla lunga barba, data la chiusura dei barbieri, con l’immancabile coppola calcata sul capo e un pacchetto di sigarette in mano, ci fa un cenno di saluto.

Ci raccomanda a Santa Rosalia.

Fotografia di Riccardo Scibetta

Verso la metà del XVII secolo una giovane donna, che la tradizione vuole appartenente alla dinastia regnante dei Normanni – secondo alcune fonti addirittura nipote diretta di Guglielmo II -, si ritirò in penitenza e in preghiera in una grotta sul Monte Pellegrino, il promontorio che domina Palermo, dalla cui sommità si gode uno stupendo panorama nell’azzurro mare del golfo che l’aspra Altura chiude a Occidente. La giovane si chiamava Rosalia. Dopo esser stata ordinata monaca basiliana, scelse la vita eremitica e visse, per circa 12 anni, presso una piccola cavità carsica che si trova ora incorporata nell’eremo a lei dedicato nel bosco della Quisquina, nel territorio di santo Stefano, a mezza costa di un dirupo. Poi alla fine della sua vita si ritirò in un’altra grotta, sul Monte Pellegrino, dove si spense intorno al 1170. Sulla spinta di una sempre più diffusa e accorata devozione popolare, fu proclamata patrona della città in una circostanza particolare.

Fotografia di Riccardo Scibetta

In centro storico c’è un barista che da 13 anni apre ogni giorno alle 5 del mattino e chiude intorno alle 7 di sera, per 365 giorni all’anno. A Natale, a Pasqua, a Ferragosto c’è una certezza, il suo bar è sempre aperto. Dice che non c’è altro modo per preparare un buon caffè. Le macchine devono funzionare ogni giorno.

Il 10 marzo scorso, quando tutta l’Italia è stata dichiarata zona rossa, il barista ha aperto il locale come tutti i giorni alle prime luci dell’alba e ha cominciato ad aspettare l’arrivo dei clienti che già, ai primi giorni del Coronavirus, cominciavano a essere ben pochi. Il barista, essendo andato a dormire alle 9 di sera del giorno prima, non aveva saputo della chiusura di tutti gli esercizi commerciali. Verso le 9 del mattino è arrivata una volante della  polizia municipale e gli agenti gli hanno detto che non era autorizzato ad aprire.

Fotografia di Riccardo Scibetta

Da allora non vuole rassegnarsi, ogni giorno va al locale, fa manutenzione alle macchine, pulisce il bar. Dice che all’inizio lo faceva con la porta aperta e un tavolo a chiudere l’ingresso. Adesso è costretto a nascondersi dentro, a luci spente, perché in caso contrario i carabinieri e i poliziotti si potrebbero insospettire.

Chiede a noi se è vero che si riaprirà presto.

”Purtroppo,” gli diciamo, “è altamente improbabile.”

Fa una faccia rassegnata come un detenuto a cui abbiano tolto il piacere di fare il conto alla rovescia.

Lo salutiamo e ritorniamo nei vicoletti.

Il signor R. (nome fittizio) è seduto su una cassetta della frutta con la faccia assonnata di chi si è svegliato da poco; è circondato dalla sua mercanzia imprigionata nelle cassette di plastica, forse per mimetizzarla. Con i modi di un carbonaro ci chiede se vogliamo delle fave. Si lamenta dicendo che deve fare tutto di nascosto, la polizia municipale e i carabinieri l’hanno già avvertito che non può vendere i suoi prodotti per strada. Solo chi ha una putìa, un negozietto, può vender i suoi prodotti. Il signor R. viene tollerato perché non ha altro luogo dove andare, ma gli è stato intimato di non dare troppo nell’occhio. Per questo non vuole essere fotografato.

“Io l’avevo detto,” dice. “L’avevo detto a tutti. Stavolta Santa Rosalia non lo fa il miracolo. È tutto scritto. Nella Bibbia a p. 526 o 527.”

“Che cosa è scritto?”

“Se l’uomo sbaglia per la terza volta, la pagherà cara. Potete controllare, è scritto sulla Bibbia. Però sulla Bibbia di Gerusalemme a p. 526 o 527 (Ndr: in realtà, dopo un veloce controllo, abbiamo appurato che non c’è scritto proprio questo). Io l’avevo detto a tutti che non potevamo continuare così, nel peccato.”

Il signor R. Continua a dire che l’uomo ha sbagliato per la terza volta ed è stato punito per i suoi peccati. Era gia successo una volta in passato, ma Santa Rosalia ci aveva messo una pezza.

Fine prima parte

Fotografia di Riccardo Scibetta

Fotografia di Riccardo Scibetta

Fine prima parte

 

Testo di Giancarlo Lupo

Fotografie di Riccardo Scibetta

 

Fotografia di Riccardo Scibetta

 

 

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