CONSONANZE E DISSONANZE / Stato delle cose 2019: “Neuropa. Poema epicomico in prosa” (Laurana, 2019) di Gianluca Gigliozzi

Spinto dalla recente lettura di un’altra prosa ibrida come quella che caratterizza Lilith di Davide Nota, sono tornato sui passi di Neuropa. Poema epicomico in prosa di Gianluca Gigliozzi, cogliendo così l’occasione della sua meritoria ripubblicazione in e-book per la collana Reloaded di Laurana, dopo la prima edizione, per la casa editrice pugliese Pensa, nel 2005. Si tratta, a dir la verità, di un’opera radicalmente diversa per esiti formali e contenutistici; Neuropa, anzi, si presenta come un vero e proprio unicum, non soltanto nella produzione artistica di Gigliozzi – autore, sul versante saggistico, di Straub/Huillet. L’enigma del visibile (Falsopiano, 2018) – ma anche rispetto a tanta produzione in prosa e poesia del primo scorcio di ventunesimo secolo.

Non è quindi per accidente che il testo, nelle sue edizioni, è stato pubblicato congiuntamente alle riflessioni di due lettori molto attenti – rispettivamente, Luigi Severi e Andrea Inglese – generando anche l’interesse di altri poeti e scrittori, tra i quali mi preme ricordare, almeno, i nomi di Giuliano Mesa e Gherardo Bortolotti. (Neuropa non mancherà poi di attrarre anche una messe di lettori futuri, tra i cultori e gli autori di poesia, prosa e altre arti, in virtù della parte grafica del testo, che alterna elaborazione digitale “primitiva” e disegno di grande qualità ed è ancora oggi il segno di un lavoro che precorre i tempi…)

Con questo, però, non si intende delimitare una specifica area di interesse per il testo, magari descrivibile con l’etichetta di “scrittura di ricerca” – benché quest’ultima sia una definizione che ben potrebbe aderire alla scrittura di Gigliozzi, né pirotecnica né funambolica, ma certamente imprendibile e difficilmente classificabile secondo le tassonomie critiche più tradizionali. D’altronde, il testo di Gigliozzi inizia con un’espressione di matrice biblica ma pregna, allo stesso tempo, di chiare valenze meta-testuali – “In principio era il pronome…” – cui corrisponderà, poi, la martellante insistenza sul pronome IO, sempre in maiuscolo e alternativamente usato come soggetto di prima e terza persona singolare. Già quest’ultimo dato porta a riflettere sulla “materia psicotica” di questo IO – come scrive Luigi Severi nella postfazione al primo libro – “un reietto che per forza di schizofrenia può indossare le sue mille maschere, e persino identificarsi con un Newton o un Marat, ovvero con gli architetti del nuovo mondo (Neo-Europa, si volesse ancora giocare sul titolo), ma agiti dal basso, ricreati nelle loro pulsioni d’invidia o violenza meschina, nei loro istinti corporali, nei loro umori scatologici”. Insistenza martellante, come si è detto, e dai tratti formalmente ossessivi, se non anche psicotici, ma nessuna centralità: come ha scritto invece Gherardo Bortolotti in un altro intervento critico sul libro, “il meccanismo centrale del romanzo è l’inciso”, che toglie al testo, a forza di anacoluti, una qualsiasi parvenza di baricentro.

Si profila così un IO immerso in un continuo processo di  decentramento e disgregazione, complementare e, in parte, riottosamente alternativo a quell’ascesa dell’io borghese che trova compimento nello stesso periodo storico nel quale è ambientato Neuropa – dalla seconda metà del Seicento a fine Settecento – e confluisce poi in quella canonica forma-romanzo cui il testo di Gigliozzi (coerentemente sottotitolato, del resto, Poema epicomico in prosa) allude molto vagamente, soprattutto nella fase iniziale della Bildung (?) di IO, senza però mai aderirvi per intero.

Tuttavia, non è soltanto il romanzo borghese ad essere sottoposto a tensioni molto forti – pare opportuno sottolineare come, nella prefazione alla seconda edizione, Andrea Inglese individui molto correttamente la derivazione della scrittura di Gigliozzi dai modelli primevi del romanzo, Rabelais e Sterne, indicando così l’importanza, nella storia di questa forma, di sotterranei ma decisivi anarchismi – lo è l’intera costruzione borghese della modernità. Non è infatti sotto il segno della libertà, della razionalità e del progresso che si sviluppano gli assi tematico-ideologici portanti del libro, bensì sotto quello del binomio Marat/Sade di Peter Weiss, opera variamente campionata in Neuropa, così come accade anche al dramma shakespeariano che è epitome del Terrore, Macbeth.

Gigliozzi, però, non si ferma alla riproposizione del dualismo, pur fondativo, tra Marat e Sade, traendo piuttosto da questo incontro-scontro tutta la forza centrifuga – poi compiutamente formalizzata attraverso l’uso pervasivo dell’inciso e dell’anacoluto – che è necessaria a sostenere, dal punto di vista narrativo, le avventure picaresche di IO. Una picaresca che potrebbe forse apparire fuori tempo massimo, poiché la codificazione del genere nella sua letteratura d’elezione, quella in castigliano, si è esaurita o si è trasformata radicalmente in qualcos’altro già nella seconda metà del Seicento, in particolare dopo il Don Quijote di Cervantes. A questo proposito, occorre però notare come Neuropa si sottragga integralmente alla dialettica dei processi storici, facendola emergere più che altro per negazione o cancellazione a-dialettica: è questa, forse, la funzione principale di quella teoria dei mondi possibili che è costantemente messa in pratica tramite le varie mutazioni finzionali di IO, per poi essere messa in dubbio, con altrettanta frequenza, a partire dai fugaci cenni ironici al suo primo fautore, Leibniz (non a caso, invece, contemporaneo di buona parte della vicenda narrata).

Di conseguenza, è cum grano salis che dovranno essere prese anche le numerose sezioni del testo intitolate “Stato delle cose”, con l’aggiunta di molteplici varianti: sembrano aggiornare il discorso secondo una progressione cronologica – essendo spesso seguite da un anno di riferimento – ma non fanno altro che rimettere costantemente in gioco quella “Legge dello sviluppo storico” che è un’altra espressione adottata con estrema ironia all’interno di Neuropa.

Vi è, in fondo, una sola genealogia nel testo, modellata anche in questo caso su un’improbabile matrice biblica, ed è quella che chiude il libro, ribadendo che l’ESSERE continuerà a giocare i propri tiri mancini – nella forma vagamente esistenzialista e sartriana di infiniti “ALTRI” – ai danni di IO. Lo “stato delle cose 2019” o anche “lo stato delle cose 2020”, in piena pandemia, non sono dunque molto diversi dallo “stato delle cose 1671”: si dovrà tornare allora a quest’ultimo “stato”, non tanto per capire meglio il presente – “tutto sommato, IO crede nel progresso” si legge, verso la fine del libro – ma per apprezzare di nuovo una scrittura altissima come quella di Gigliozzi, capace di rimettere in gioco le questioni fondamentali della modernità e della sua epoca tarda o tardissima.

Rispondi