FLASHES E DEDICHE – 118 – NON DATE LA CORDA A VACCA

E’ appena uscito l’ultimo lavoro di Nicola Vacca, “Non dare la corda ai giocattoli” (Marco Saya Ed.). Vacca non conosce mezze misure sia nella scrittura sia nella vita di tutti i giorni, anche per questo ha una nutrita schiera di estimatori e al contempo di detrattori (farisei sepolcri imbiancati). Come articolo oggi vi lascio la prefazione introduttiva al lavoro, al quale auguriamo le migliori fortune letterarie.

Un lavoro duro, crudo, esasperato che esce a non molta distanza da quel piccolo gioiello che è “Tutti i nomi di un  padre”. Vacca è un militante in prima linea della poesia, cosa ben differente da essere un presenzialista del mondo poetico. La sua attività critica è nota, come non ricordare ad esempio il suo “Lettere a Cioran”, su carta, sul web, a tu per tu con un pubblico, sempre vivo, della poesia.
In prossimità dell’uscita di questo “Non dare la corda ai giocattoli” ci avverte :
“ questo sarà il mio ultimo libro di poesie”. C’è da credergli ? I molti dubbi in proposito rimandano al pensiero pessoano, di cui Vacca è estimatore, ovvero che il poeta è un fingitore e come tale tende sempre a massimizzare i concetti e la voluntas, in un girotondo virtuoso di parole e idee.
Il percorso poetico vacchiano segue il filo dell’impegno civile ma non solo, anzi trovo riduttiva questa interpretazione. Lo sguardo dell’autore è sempre rivolto verso un abisso gelido, su detriti sbriciolati dalla disumanità dell’essere vivente. Non un nichilismo tout court o uno scimmiottamento novecentesco, ma una vera e propria classificazione dell’uomo come portatore insano di autodistruzione, in una ricerca masochista dell’infelicità. Quindi i temi affrontati sia in “Mattanza dell’incanto”, in “Luce nera” (che gli è valso il premio Camaiore) ed infine “Commedia ubriaca”, sono approfonditi e ampliati, portati allo stremo e, usando un gioco di parole, annichiliti.
Sotto i versi velenosi, caustici e icastici, si trova in realtà una ricerca semi utopistica, una risposta di speranza che all’apparenza manca. L’aridità del dettato ben rende l’atmosfera, nessun divertissement, nessuna autocompiacevolezza. È un dolore a basso continuo, un dolore differenziato rispetto a quello personale affrontato in “Tutti i nomi di un padre”. La tristezza universale è di tutti, il nulla è di tutti.

I giocattoli sono un correlativo pluricomprensivo; chiunque ha posseduto, amato e adorato un gioco e il ricordo o il senso di appartenenza ci fa sentire uniti nello smarrimento globale.

“ Tutto ha i minuti contati

tranne il disastro che dilata il tempo dell’abisso”

Talvolta sentenzioso, gnomico, mai però egoriferito o creatore di un verso falso. Vacca odia i falsificatori, i buonisti della versificazione, i sodali di combriccole che niente hanno a che fare con la poesia vera e spesso crudele. Non a caso oltre a Cioran appare introiettato ed esplicitato il pensiero di Carmelo Bene posto ad esergo dell’opera : “La trasgressione del linguaggio è trasgressione morale E di fatto, la poesia. non il poetico dell’anima bella – per dirla con Roland Barthes -, la poesia che è linguaggio stesso delle  trasgressioni del linguaggio – la poesia è sempre contestatrice. Come Rimbaud.”

E tra un rimando ad Hopper (una delle sezioni migliori del libro) e considerazioni sulla finitudine moderna, Vacca ci avverte attraverso un messaggio forte, vero, spesso dimenticato per opportunismo o vigliaccheria: la poesia, la parola, possono essere di aiuto, di conforto nello smarrimento, nella rabbia nobile di chi non vuole arrendersi, ma attenti, i pericoli e gli agguati possono venire anche dall’interno.

 

Non abbiate paura dei poeti

sono i primi a scomparire

quando spergiurano le parole

 

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