LULLABIES – intervista a Davide Ferrario

di Libera Capozucca

In occasione dell’uscita dell’epLullabies”, abbiamo incontrato Davide Ferrario nel suo studio a Milano. Abbiamo parlato a lungo di questo disco, di come è nato, della musica elettronica, ma anche della sua carriera, dei suoi interessi musicali, delle sue importanti collaborazioni. Davide è un musicista esperto, nonché produttore e turnista per Battiato, Nannini, Pezzali, Pelù. Oggi ci parla del suo progetto deep house che è “Lullabies”, uscito per la Manjumasi e già apprezzato da pubblico e addetti ai lavori: una “ninna nanna” che sta stregando tutti.

Immagino che sia per la voglia di metterti alla prova che hai realizzato “Lullabies” – un ep così diverso da “F” di qualche anno fa – o forse potremmo ritenerlo una dichiarazione d’amore nei riguardi dell’elettronica?

Ti direi che questo ep nasce dalla passione che nutro per l’elettronica ma è anche frutto della volontà di mettermi alla prova. Ascolto musica elettronica da sempresenza aver mai prodotto qualcosa di mio. In un momento di pausa dai vari tour, mi sono messo a scrivere. Non avevo un obiettivo preciso in verità;Lullabies” è diventato un ep dopo aver inviato i due pezzi che lo compongono all’etichetta americana Manjumasi che li ha accolti con entusiasmo.

Lo definiresti un lavoro istintivo o ponderato?

Lo definirei ponderato poiché è da tempo che avevo in mente di realizzare un lavoro di questo tipo. Non l’avevo mai fatto prima pensando, onestamente, di aver poco da dire soprattutto perché la mia formazione è pop: un mondo diversissimo rispetto all’elettronica, sia dal punto di vista compositivo che sonoro. Lullabies è frutto di un lungo percorso di studio, per arrivare ad ottenere sonorità credibili e piacevoli. Per cui ti direi che c’è dentro più riflessione che istinto.

Come si è svolto il processo compositivo?

I pezzi sono nati al pianoforte, il cuore pulsante di questo ep, che mi ha aiutato anche nella scelta del titolo. Il suono del piano è dolce, morbido, proprio come una ninna nanna che, a sua volta, contrasta con i “rumori” dell’elettronica. Mi piaceva l’idea di far convivere insieme mondi differenti, di farli dialogare. Così ho buttato giù un po’ di accordi al piano attorno ai quali ho costruito il disco, la cui essenza di fondo è la malinconia, il sogno, la magia. Io non sono un deejay ma un musicista, quindi la parte compositiva non posso non considerarla quando scrivo; il mio processo creativo nasce sempre da una componente armonica che è alla base di tutti i miei lavori.

Come hai proceduto alla supervisione e alla selezione del materiale?

In realtà il disco si compone di due sole tracce; le ho inviate, quasi per gioco, alla Manjumasi di San Francisco, etichetta specializzata nell’elettronica e dunque coerente con i miei ascolti e il mio progetto. Ero abbastanza convinto che non mi avrebbero mai risposto, invece, i pezzi sono piaciuti e il disco è uscito quasi subito. “Lullabiesè un ep scarno, non c’era altro materiale da aggiungere ai due pezzi di partenza. Ora che continuo a scrivere, comporre, sperimentare, studiare, mi sono spinto un tantino più in là, producendo parecchio materiale. Poi deciderò cosa farne.

Jewel ice” mi ricorda alcune sonorità dei Radiohead. Quanto c’è di loro in questo ep?

I Radiohead non sono solo in questo ep ma dentro alla mia vita. La mia musica è il racconto della mia esperienza di vita, dunque non potrebbe prescindere dai miei ascolti, e ti dirò di più: sarebbe sciocco, per noi artisti, non ammettere che quello che realizziamo, in termini musicali, non derivi da ciò che ci ha formato. Io sono stato largamente influenzato dai Radiohead, adoro la loro musica da sempre.

E cosa ci dici della copertina del disco?

La copertina è nata da un’idea dell’etichetta e mi è piaciuta molto. Tornando ai Radiohead sembra di trovarsi tra le mani il booklet di “Kid A, non trovi? L’artista di questo artwork ha realizzato un’opera molto in linea con le sue produzioni e, incredibilmente, anche con le mie pur senza esserci confrontati affatto.

Il tuo precedente album “F” è un disco introspettivo, sentimentale per certi versi; che visione musicale contiene “Lullabies”?

Lullabies è un disco deep house, interamente strumentale. Senza i testi e le parole cambia in toto la visione e l’essenza di un lavoro; inoltre, in questa fase del mio percorso musicale, sento di riuscire ad esprimermi meglio attraverso i suoni, al di là delle parole. Scrivere canzoni non è per nulla semplice, alcuni artisti riescono a farlo nel migliore dei modi; io non appartengo a questa categoria. Bisogna essere veramente bravi a scrivere canzoni per emergere significativamente oggi, non ci si può improvvisare cantautori. Ammiro moltissimo chi riesce a giocare con le parole; è un grande talento che appartiene a pochi: mi viene in mente Caparezza ad esempio, o Niccolò Contessa de I Cani. I loro testi mi stendono, bellissimi. Quando invece si lavora esclusivamente sulle sonorità, è come se si dovesse realizzare una colonna sonora, dunque, una sorta di racconto musicale in cui non servono le parole. E’ qui che il mio istinto emerge e mi lascio trasportare da immagini e visioni interiori.

Sei stato in tour con artisti di alto livello: Battiato, Nannini, Pezzali – solo per citarne alcuni. Hai qualche aneddoto divertente da raccontarci?

La domanda sugli aneddoti per me è sempre un dramma…quando me lo chiedono non mi viene mai in mente nulla! Scherzi a parte, posso dire che sono stato molto fortunato ad aver lavorato con artisti straordinari, con i quali ho costruito un solido legame di stima e affetto, al di là della componente professionale. Sicuramente vorrei poter continuare la mia collaborazione con Pezzali e con Syria; sicuramente non potrei non citare quella con Battiato da cui ho imparato molto.

Per te ha senso separare l’arte dalla politica?

Quella del legame tra arte e politica è una cosa a cui ho pensato varie volte. Credo che ogni artista abbia il diritto di manifestare il proprio interesse verso ciò che accade intorno a lui, ma anche non doverlo riferire per forza. Io sono uno di quelli che preferisce tenere le proprie idee per sé. Molti musicisti, al contrario, sono estremamente politicizzati e riescono a calare la politica, nelle loro canzoni, in maniera perfetta. A questo proposito mi viene ancora in mente Caparezza. Sai, ha senso che la politica entri nell’arte, purché lo si sappia fare.

Hai scoperto musica interessante in quest’ultimo periodo?

Ascolto moltissima elettronica, la mia mania di questo periodo; tuttavia il mio orecchio è sempre attento a percepire novità e produzioni interessanti. Billie Eilishad esempio, la trovo fighissima. Devo ammettere però che sto vivendo una fase di maggior ripiegamento individuale; sto studiando molto, cercando di perfezionare un suono che già esiste e di renderlo mio. I miei ascolti di oggi sono direzionati dalle mie sperimentazioni in studio.  

Se Davide dovesse ricordare i suoi esordi e tornare indietro a 15 anni fa, che penserebbe di sé oggi? 

Che ero più magro, sicuramente! (Ride). Quindici anni fa stava proprio iniziando la mia carriera musicale, e oggi provo nostalgia di quel momento. Cominciava il mio primo tour con Battiato che mi ha segnato in maniera profonda e definitiva; ho cominciato a familiarizzare con il concetto di pubblico vero e proprio, a costruire la mia professionalità…devo molto a lui e a quell’esperienza.

Come descriveresti la tua musica ad una persona che non ti ha mai sentito?

Onestamente credo che non abbia molto senso descrivere quello che faccio e non sono abile a farlo; non amo vendere ciò che realizzo, non possiedo doti commerciali, sono il peggior presentatore di me stesso. A tutti i miei amici ho descritto così Lullabies: un lavoro di cassa e poco altro…in fondo è la verità, no?

Progetti per il futuro?

Mettiamola così: per ora sto giocando con i suoni, per capire da che parte andare. Non è detto che io faccia la dance per sempre; mi piacerebbe lavorare nel mondo del cinema e produrre colonne sonore, ad esempio. Sto scrivendo tanto e la mia idea è produrre singoli piuttosto che album; l’elettronica cattura suoni e li sviluppa all’interno di una cornice ben precisa nel tempo di un singolo e non di un disco. Vorrei fare tanti live e già sono state fissate diverse date in giro.

Ho appena letto che Hernan Cattaneo ha scelto due tracce dell’ep nell’episodio 415 di Resident: bella soddisfazione per te, immagino. Il tuo lavoro inizia a girare e piace molto…complimenti!

Incredibile davvero, grazie.

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