LUIGI BALLERINI, eccetera. E (1972 vs 2018) – la poetica che procede per ipotesi a lisca di pesce

(estratto della nota a firma di Adriano Spatola, apparsa su TAM TAM 3/4, nel 1973)

L’intensità è più vera

del vero e del non vero

inoltre si dimostra

che lo strumento dell’osservazione

sposta i confini dell’osservato

ne fa un altro da sé

                                     che l’oggetto neppure sospetta.

(da ANTIPAURA)

 

sulle gengive gusto

nell’accusa specie

nell’ibrido quando

tratteremo le somme il torchio

dell’uva sarà una prigione 

(da ENGLONDE OR THEREABOUTS)

 

eccetera. E, l’opera prima di Luigi Ballerini edita da Guanda nel 1972, è stata di recente ripubblicata da [dia•foria. La ripubblicazione del volume si inserisce nel solco di quella operazione di archeologia culturale (così l’ha definita efficacemente Giacomo Cerrai) che [dia•foria promuove e porta avanti da anni nell’ambito delle scritture complesse e di ricerca.

Difficile ancora oggi la collocazione del poeta Ballerini nella topografia della poesia italiana degli ultimi cinquant’anni. Dalla poesia postmoderna, concepita da Giulio Ferroni come una poesia postuma fatta di un presente in cui si mischiano passato, futuro e generi differenti (così in Dopo la fine. Sulla condizione postuma della letteratura, 1996), è lui stesso a prendere le distanze (sia chiaro che, come poeta, non aderisco al postmoderno). Rivendica piuttosto una provenienza dal moderno, Ballerini – proprio da una parte del gruppo de I Novissimi – a cui tuttavia non ha mai (formalmente e materialmente) aderito (così, in Quaderns d’Italià, 19, 2014, intervista di Lorenzo Azzaro e in colloquiale n. 14, anno 2017 a cura di Daniele Poletti).

I poeti che più ha amato, anche umanamente, della generazione che lo ha preceduto, sono stati Alfredo Giuliani e Elio Pagliarani. Lo ha confessato lui stesso a Lorenzo Azzaro. (…) Mi sento vicino a Pagliarani perché non ha mai abbandonato l’idea di una funzione sociale della poesia e a Giuliani per questo suo intestardirsi nello spremere senso e significati inediti dalle parole. Sempre Giuliani, inoltre, indica la necessità di una fusione tra linguaggio e contenuto. Questo è un dato acquisito che non si può più ignorare. Il contenuto di una poesia è ciò che emerge dall’ascolto delle parole con cui è fatta (sempre, in Quaderns d’Italià, 19, 2014).

Un poeta (ma anche un saggista, un traduttore e un critico) dal percorso centrale e periferico Ballerini, la cui voce non si riesce completamente ad ascrivere – e non che questo sia un male, anzi – a una corrente o a una tendenza precisa se non facendo ricorso a forzature interpretative e tentativi di affiliazione postuma.

Adriano Spatola nella sua nota coeva alla prima edizione del libro (apparsa su TAM TAM, 3/4, 1973 e riportata integralmente nel volume di [dia•foria) ha scritto (…) Ballerini ovviamente non aspira a una matematica della poesia, a un teorema rigoroso, anche se eccetera. E è una formula algebrica, una speranza razionale (…) Ballerini sembra riprendere con molta attenzione il filone di una poesia costruita e ragionata, bilanciata tra due pesi mentali, il «corpo ridotto zero» e la «situazione x», immagini di qualcosa che manca e che viene sottratto al parlare nel momento stesso in cui se ne parla. Spesso i testi di questo libro sembrano costruiti alla rovescia, da un accumulo iniziale a un progressivo depauperamento, dalla composizione alla scomposizione, dal già fatto al da fare (…).

Remo Bodei, nella sua nota in chiusura di volume, scrive di un paesaggio illuminato a sprazzi da lampi, in cui i versi appaiono e scompaiono in forme allucinate (…) Ballerini esplora (….) vie senza meta e mete senza via. Quel che per lui conta è il viaggio (pag.55). Citando Giuliani, Bodei chiarisce che, «la difficoltà» della poesia di Ballerini dipende sostanzialmente dalla sua volontà di «stornare la minaccia del già detto», e aggiunge lui, del dire troppo (pag. 56). All’interno di una parentesi tonda che sembra contenere più di quello che di fatto contiene – immediatamente dopo, Bodei  osserva –  (Luigi ama l’atopos, ciò che non trova classificazione rigida, che apre ai possibili, ma, come Alfredo Giuliani, ama insieme la tagliente precisione) (pag. 57).

Giulia Niccolai commenta l’esordio poetico di Ballerini a partire dal titolo della sua opera prima che sembra marcare subito una differenza chiara, quel titolo (…) dice quel che dice a proposito di un testo poetico che, nell’intenzione, ha tutti i ritmi perfetti, ma nel contenuto è la figura retorica di un’assoluta indigestione di cultura. In più con la sua bella importanza (…) ha la civetteria visiva di evidenziare questo bisticcio, iniziando con una minuscola, per terminare con una maiuscola! Io mi presento capovolto, voi cosa vi aspettate? (pag. 59). (…) Con questo suo primo testo, Ballerini si presenta “ribelle” (pag. 60).

La sempre ottima, Cecilia Bello Minciacchi, nel suo saggio introduttivo al volume, scrive di una circonferenza e di un centro che, in Ballerini, coincidono (PERISTALSI, docet). E meravigliosamente precisa, Può agire come un rimedio, eccetera. E, può funzionare come un antidoto – ANTIPAURA è il suo testo d’ingresso – ai veleni della convenzione linguistica, degli abusi e delle catacresi e, al tempo stesso, può agire come antidoto al pharmakon che la neoavanguardia aveva proposto per quegli stessi veleni, un preparato salvifico e tossico insieme, secondo la duplicità di senso del termine greco originario: “medicina” e “pozione letale” (pag. 7). Questo radicale testo di Ballerini, scrive sempre la Minciacchi, prende le distanze dai “linguaggi novissimi” che pure ha assorbito e cui si riferisce: il lettore che alle poesie per gli anni ’60 si era un po’ assuefatto, in eccetera. E, non ha potuto ritrovare (…) paesaggi lunari, scolii e simboli junghiani del laborintico esordio sanguinetiano. Non vi ha ritrovato neppure, allo stesso modo dominanti, il ritmo variabile e percussivo e la narratività del poemetto di Pagliarani (…) neppure l’inesorabilità combinatoria che raffreddava (mai troppo, per fortuna) i montaggi di Balestrini, né la crudele ritualità di Porta (…). Vi ha forse potuto percepire la sorveglianza di un’acuta intelligenza analoga a quella che sosteneva l’esattissima poesia di Giuliani (pag. 7).

Il fatto di essere così risolutamente estraneo a qualsiasi gruppo o movimento e persino a qualsiasi “sensibilità” generazionale ha favorito la tendenza a creare singoli rapporti “di coppia” (…) – ha scritto Giovanni Raboni con riferimento alla poetica di Franco Fortini (in Intellettuale e poeta, 1996). E ha poi aggiunto (…) Pur essendo, come tutti sanno (…), un “isolato” e, probabilmente, in virtù del suo stesso isolamento, Fortini è stato (…) onnipresente. Mutatis mutandis, le parole di Raboni, sembrano valere in qualche modo anche per Ballerini che, ironia della sorte, più lontano dalla figura poetica e umana di Fortini, però, non potrebbe essere.

Ed ecco allora che proprio nella difficoltà di trovare definizioni e categorie credibili, si manifesta con irrisolta attualità tutta  l’inquietudine di quei primi ’70, anni in cui la poesia denunciava una importante crisi di identità sotto il duplice profilo del genere e dei canoni. Se decentramento e policentrismo sembrano essere le parole che meglio descrivono le derive e le esperienze di quel tempo oggi vissuto come mitico,  dove (…) davanti all’affermarsi dei mass media, l’io diventa misura dell’io” con il neo individualismo (…) ma altrove si diffonde una poesia legata alla performance, estroflessa e, programmaticamente contraria alla tradizione perché legatissima alla sua declamazione e all’improvvisazione (così, Maria Borio in Poetiche e individui, 2018); merita di essere osservato come, ancora una volta, Ballerini si dimostra una voce totalmente fuori dal coro.

Né al neo individualismo né alla dimensione (esclusivamente) performativa può essere ricondotta la sua poesia, che pur può essere teatralizzata e vedere nel momento performativo della lettura a voce alta un’ulteriore possibilità di significato e significanza del testo (così, sempre Quaderns d’Italià, 19, 2014, intervista di Lorenzo Azzaro). Ma allora, a cosa, può essere ricondotta la sua poesia? A tutto e a niente, lo hanno già spiegato fuor da ogni possibilità di fraintendimento Alfondo Berardinelli e Franco Cordelli (Il pubblico della poesia, 1975): esiste un’impossibilità di definire una poetica vera e propria per gli autori che hanno esordito negli anni 70. Senso di plurivalenza, di plurivocità, di dispersione e deriva sono elementi di collante su cui si può provare a fondare una prima indagine. Ma è un percorso ancora da scrivere e in salita.

Basti pensare alle difficoltà di quegli autori di conciliarsi con l’io poetico. In Ballerini l‘io esiste come utente e antagonista di condizioni storiche determinate (Giuliani, lo aveva già spiegato in questi termini nel 1961), esiste e spesso abbraccia una dimensione collettiva, non confessa nè lamenta ma diventa piuttosto soggetto critico che registra e vede, prende la parola al di là delle proprietà semantiche (siamo qui per consumarcela la pelle/ il problema/ è la precarietà dell’ossatura/non esiste/ pietra di paragone due/ segmenti attorcigliati fanno/ una corda, pag. 25), scompone l’armonia (vivremmo (danzeremmo abbi/ teremmo bradipoardirei/ pirei terare magis (B con sciarada L/ CO dadi P orco, pag. 51), costruisce ordini provvisori e sincronici (che l’assoluto fa i conti con la storia (la donna prese a scherzare/ l’ufficiale si sentì agitato/ che la storia/ è maschera dell’uovo, pag. 45).

Quanto ai tempi della narrazione, la poetica di Ballerini sembra concentrarsi sul presente, o meglio, su quello che del presente è riuscito a sopravvivere. Il nostro non indaga né cerca di comprendere il valore della storia alla maniera di Fortini. Il nostro si colloca piuttosto sul versante delle rovine della storia e lo ha spiegato bene Bodei quando allude a (…) una Pompei del senso, di rovine linguistiche (…) di discorsi che mostrano, nello stesso tempo, l’eco di frasi già sentite, il cumulo di ciò che rimane dopo il passaggio divoratore del tempo: Forme morte ingessate che contenevano corpi vivi (…), che alludono a un intero che non c’è (pag. 55).

I componimenti del libro (tredici in tutto) hanno un ritmo frammentato e pur serratissimo e si presentano ricchi di rimandi e articolati su vari registri fonetici più che linguistici. Sempre presente una ironia “ammiccante”: non già parodia, ma una presa di conoscenza che nella sua poesia avviene tra il sarcastico e il divertito (così, Minciacchi nel suo saggio di apertura, pag. 8). Ballerini in questo suo esordio, a cui seguiranno sedici anni di silenzio poetico, sembra aver fatto sua la lezione di Cid Corman – la poesia non è la risposta e nemmeno una risposta perché non risponde a nessuna domanda. È una replica. È un’offerta. La poesia esiste perchè è, tutto il resto non ci deve (tutto sommato) interessare.

(la foto è tratta dal sito www.luigiballerini.it)

Per maggiori informazioni consultare il sito: diaforia.org/floema/ecceteraeluigiballerini.

Il volume può essere richiesto direttamente all’indirizzo: info@diaforia.org, o in alternativa, presso l’editore Il Campano (Pisa).

Di seguito una selezione di testi.

LORD BYRON AL PONTE DEI SOSPIRI

la situazione x terribilmente
brevi la rotaia e l’arco
dimezzato il cervello ma il lavoro
solco di apostasie fioccavano
le fucilate sarebbe
bastato dilatare adesso
l’angolo morto e ferito gli occhi
mi si spalancarono davanti dissi
nero marzo e aprile
gocciolanti le procuratie che tanto
era uno scherzo (il mare) per l’ultima volta
e ritrovarsi con l’abbraccio in mente
dei cesari la spada
è dura nel commercio / rise
dei lupi travestiti ma contando
si sa chi resta

1

ha incognite balorde
(lo squilibrio)
secondo il caso degli occhi la distanza
rovesciata piramide indotta
una catabasi almeno (tenerle
sgombre le arterie
tracciarla
una spirale Buck
non leggeva i giornali, un richiamo  )
e invadere un altro
buio le piastre
secche di malaria
nel turbine di sabbia
l’uomo azzurro
appena
compiuta la prima dentizione
si lascerà il bambino in assoluta
tra le piaghe i bianchissimi del retto
e le feconde
crisi urinarie

2

o suscitare febbre con le dosi che ognuno poteva:
vertice b se un uomo
sappia sedurre o limitarsi
nelle tentazioni
se il midollo
(e colorata la parete interna)
le finzioni
alla base orsino / viola
orsino / cesario che al momento
era questione di vesti
ma la scena
maschio che fosse o femmina
richiedeva un interprete e cambiando
genitali anche l’illusione

3

cioè dubitando è salita di prezzo
la forma dell’inerzia (è un indumento
il collo?
svergognò più di un passante
poi si arrese
e non leggendo i giornali
felicemente si arrese / dove inizia
la nuova ipotesi: che sorga,
il dubbio, dal proprio annientamento e non vi sia
differenza nel fatto
che già nell’età media e dunque transitoria
si mangiassero vermi e che i vermi
hanno alcune volte mille piedi
(procuratie pelose)
e che a lui (tal dei tali) gli toccasse
mangiare come a un verme le montagne
bere il mare vomitare
sul collo degli uccelli (problema
che pare non ammetta soluzione
secondo la norma ma è tanto
dispiaciuto che ne piange

4

secondo la norma rifugiando nell’
autopunizione rifiutando l’au
torità del ricatto
inventando
ciascuno la propria magia:
la cupra
di cui si cercava l’esclusiva
(disposti a pagarla in dinamite
finché togliere pietra dalle cave
parve un gioco perfino agli sciancati
fino allora privi dei vantaggi
la pietra rotonda del dio
col buco in mezzo
che ripete l’atollo

AUTOPSIA
                     per Anna

corpo ridotto zero e allucinate carovane corpo
di pietra nel tenue ridotto alkuna volta
frigide labia ke d’esse
non mi dilettai (per l’idea)
per l’idea della merda alkuna volta
e l’odore di pesce dal tenue
alle dita / et ke trovai sostegno
(altresì fornicando) in straniero
serraglio e misurai sul dorso
sette principali vitia et criminali peccata sul dorso
ridotto zero ke il vecchio
ne fu amareggiato pur avendo
nozioni del commercio e vide l’uovo
schiacciato ululante le foglie
degli occhi del corpo ridotto
zero et ke kontene
la somma possibile del moto e la sostanza l’apparenza e il modo
dell’apparenza et ke kontene
il numero nove uguale due
per la somma possibile del moto e tre le per la sostanza
l’apparenza il modo dell’apparenza
cui risponde
l’essere il non essere il diverso
dall’affermare il reale e il suo contrario
cui risponde
l’amore negli organi del corpo

1

se il colore si allinea parlando
secondo l’alfabeto (rosso e verde, bianco e rosso,
grigio e viola, black & white, ma red & brown, ma le rouge et le noir)
o secondo la violenza del visivo, se il colore corrisponde al dolore
dell’appercezione che varia di lingua in lingua se sia velenoso
cospargere i corpi di colore / avremo i film
del neocapitale o il dilemma
che può provocare un divorzio / esiste
la gastrocellulite del cervello? ti do
pugno nell’occhio e mi pare
dignitoso il metaplastico dell’occhio
che avrà un suo colore poniamo
colore giallo: grotte
per ostelli per il doppio
quadrato la massa per l’interna
potenza per il riso diviso per il
suffisso equatoriale che tutti
ci attanaglia uguale ma il ponte
messo lì non si spiega
dicendo che serve che la gente
ci ha fatto quattrini

Cammina

la Cina su due gambe
aggiungiamo
la bocca le corde vocali occasioni
di un ponte piantato su due gambe ragioni
di una funzione indiretta (il discorso
piacque l’episodio del cannone
con cui, previo avvertimento,
si sgombrò il delta dalle prostitute / sono
cervelli corti e ci vorrebbero cervelli lunghi
anche in pubblicità spiegare
che tra la medicina e l’erbario
la mutua ti dà la scelta spiegare
che non è secondo i gusti che i gusti
li hanno buttati via, che si cerca
di non equivocare
milza rastremata
glottide racemica
cuore plausibile
cervello visibile
fegato di luce
fegato di luce coi suoi filtri
e lo zaffiro che prosciuga i tristi umori libera
dal carcere netta il marcio degli occhi
e placa Dio
tirlo tarlo tirlo tarlo tirlo tarlo
turlo, ma il bianco dell’uovo è l’albume
l’albume del mattino, albuminoso
zaffiro, bocca
e occhi
porte abitabili ponti liquerizie di pelle porosa
per cui la triplice natura
dell’uomo è manifesta l’anima
è forma carnale dello spirito e inciampando
si può fargli male

 

2

che gli fu ordinato di contare
il diritto e il rovescio
verme schiacciabile in sé
appetibile in sé
ridotto zero et che gli fu ordinato
di non occidere il pisano impunemente
di visitare il limbo
e le sue cavolaie giganti
che fu menato in China et spoliato
nudo (come la mamma etc. lo aveva etc.) e non questo
è il paese del sole, la China, e se questo
è il paese del sole, allora la China
epiteliale, i suffumigi, un giallo
neoplotino dalle lunghe ciglia
e tribolazioni per il muso
per il muso della tinca che va matta
per i fondi melmosi
dove pure l’anima è la forma
carnale dello spirito e si può
fargli male inciampando
dove il nave
contiene lo zaffiro
e lo smeraldo che placa le tempeste
il ritorno    e l’andata è questo limbo
con le sue cavolaie giganti
e questo
non è il limbo, ma la China, e se questa
è la China, allora il limbo
(te lo dico in coscienza) è l’emottisi
del nostro comunismo

3

(nell’aceto
è il verme dell’aceto (per analogia si nega
che un estraneo entri nel palazzo
è perché il dogma
che l’assoluto fa i conti con la storia (la donna prese a scherzare
l’ufficiale si sentì agitato
che la storia
è maschera dell’uovo (il rukh si alzò dall’uovo e dispiegò le ali

che la luce

moltiplicata distende
in dimensioni finite la materia

 

 

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