Pillole di poesia – Luca Ormelli

di Ilaria Grasso

Fino a poco fa l’ufficio era un luogo confortevole per la comunità. Nei passaggio delle carte, nelle discussioni dei gruppi di lavoro, nelle riunioni i lavoratori avevano modo di comunicare e scambiarsi idee. Ciò inevitabilmente creava emozioni, senso di appartenenza, capacità di empatizzare e interagire con l’altro e riconoscere e riconoscersi. Con l’avvento delle nuove tecnologie ci si scambia mail, si clicca qualcosa e i nostri occhi vedono sempre più schermi anziché sguardi e mimica facciale. L’automazione ci prometteva più tempo libero invece per la maggior parte dei casi è stata utilizzata dal capitalismo per produrre a più non posso fregandosene bellamente delle conseguenze. Ciò vale anche in contesti burocratici e burocratizzanti. Il rapporto con il flusso di dati che ci scorrono sul monitor è essenzialmente di tue tipi. Siamo alienati quando il flusso è veloce e costante e straniati quando il flusso d’improvviso s’interrompe. La tecnologia sembra quindi aver modificato la nostra natura umana a tal punto di non essere quasi più capaci di riconoscere l’altro come essere umano ed elementi naturali come evidenziano questi versi in conclusione di Ormelli. Sono versi crudi e autentici e pungolano per farci fare una riflessione e agire con urgenza.

Vedo lontano un riquadro di cielo,

azzurrato tra monitor e luci al neon.

Il sole sembra fermarsi oltre il vetro,

incerto se sciogliersi o tramontare.

La morte cerebrale che invade l’ufficio

è inalterabile anche dalla primavera.

Un automa in piedi accanto ad una scrivania,

gli occhi allucinati di bytes, mi chiama “collega”.

Da GANGBANG – Controluna Editore

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