Vittorio Emanuele: “Giulietta e Romeo” o della tristezza di una traccia audio

di Marta Cutugno

Messina. Al Vittorio Emanuele, resta in programmazione fino a domani domenica 17 marzo il balletto in due atti liberamente ispirato alla tragedia di William Shakespeare con le coreografie di Fabrizio Monteverde, sulle musiche di Sergej Prokof’ev, una produzione Balletto di Roma. “Giulietta e Romeo” è titolo della compagnia dal 1989, riproposto poi negli anni duemila e riallestito nel 2017 per gli interpreti del Balletto romano. 

In “Giulietta e Romeo”, terzo appuntamento della stagione musicale 2018/2019, Fabrizio Monteverde stravolge l’assetto storico e geografico dell’ambientazione e trasferisce nel dopoguerra del Sud Italia la storia dell’amore impossibile tra due giovani appartenenti a famiglie rivali da generazioni. Le scene, che cura lo stesso coreografo, si riducono ad un muro scuro e malmesso, che guarda frontalmente lo spettatore, con poche aperture utilizzate solo ed esclusivamente in momenti specifici e per breve tempo. Altro oggetto di scena è lo scheletro di un letto con una testiera che, dotata di una base di appoggio, permette alla danzatrice protagonista di spostarsi come fosse sospesa per aria. Sospesi sembrano anche i quattro interpreti che aprono il balletto, perché sostenuti da pioli mimetizzati sul muro di fondo. Punto di forza dello spettacolo è il lighting design di Emanuele De Maria. È, infatti, il disegno luci a determinare propriamente le scene, in un gioco di illusioni che si concentra più sulle forme che sui colori e che, grazie a fasci e riflessi, ricostruisce ambienti come corridoi di palazzi o luoghi di preghiera. 

Le scelte coreografiche puntano tutto, o quasi, sul personaggio di Giulietta e lasciano un ruolo marginale alle altre figure compresa quella del giovane Montecchi. Anche il contrasto storico tra le famiglie, che è fattore scatenante del dramma, unico e solo impedimento, non si materializza con chiarezza e non è sorretto nemmeno dai costumi che, già visivamente, avrebbero potuto indicare gli schieramenti. L’insieme è poco caratterizzante ed incerto. Altrettanto poco chiara, per non dire priva di senso, è la presenza di Madonna Montecchi in carrozzina: la stessa abbandona più volte la sedia a rotelle per completare le coreografie sulle sue gambe, fino a cederla ad uno dei due morti ammazzati, conducendolo fuori di scena. Lo strazio che accompagna il finale riporta allo spettatore tutte le vittime del dramma: si aprono due finestre per mostrare Mercuzio e Tebaldo, a memoria della loro morte. Sarà poi la volta di Paride, di Romeo avvelenato, di Giulietta che spira abbandonandosi sul pugnale stretto nella mano dello sposo esanime. In generale, inquietudini poche ed un cinismo rabbioso che sostituisce quel senso romantico e sognante che forse ci si aspetta da una delle storie d’amore più imponenti della letteratura. Il risultato non è travolgente e non sconvolge, né in bene né in male.

E cosa dire della musica, motore primario, elemento imprescindibile. Sergej Prokof’ev compose il “Romeo e Giulietta” nel 1935. La partitura venne rifiutata prima dal Mariinsky Ballet del Kirov di Leningrado che l’aveva commissionata nel 1934 e non trovò buon esito nemmeno al Bolchoi. Musiche straordinarie che, con le trascrizioni in suite orchestrali del ’36, dimostrarono di poter vivere indipendentemente e bastare a se stesse. Il balletto fu finalmente messo in scena nel 1938 al Mahen Theatre di Brno, in Repubblica Ceca. Le note del compositore russo, dalle suggestive ed ispirate melodie, l’estro ritmico ed i temi più conosciuti come la “Danza dei Cavalieri”, hanno risuonato, si, al Vittorio Emanuele ma come note incise in traccia audio. Lontano da melanconia purista, si consta la tristezza nel veder volteggiare danzatori professionisti sulle composizioni del grande russo provenienti da casse di amplificazione, con la buca orchestrale chiusa ed un pubblico della prima tutt’altro che numeroso.

Repliche stasera ore 21:00 e domani ore 17:30.

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