365. Stella Cervasio e Antonio Biasiucci

di Davide Racca

Anni fa mi è capitato di andare allo studio del fotografo Antonio Biasiucci. Mi ha sempre attirato lasua ricerca sull’immagine che dall’obbiettivo fuoriesce così pulita, icastica e precisa e allo stesso tempo sfuggente e indefinibile. Allora Biasiucci mi ha mostrato la serie dei pani. Il pane, sì! Il pane … Ancora una volta la sua opera mi spiazzava. Una cosa di consumo quotidiano mi si presentava come un frammento di un altro mondo.

Per rassicurare la banale esigenza di collegare il nome alla cosa, mi sono messo a cercare allora gli elementi connotativi del pane. Crosta mollica farina. A malapena li discernevo. Mi rendevo conto che quelle che avevo davanti non erano delle semplici immagini di pani. Sotto ai miei occhi ogni logica identificativa virava verso associazioni metamorfiche. Un processo trasformativo mi dischiudeva un intrico di pieghe e ulcerazioni, magma lavici, placente, fossili O, ancora, meteoriti.

Trattandosi di immagini in bianco-e-nero, il mio tentativo di ancoraggio visivo indugiava sulle prime istanze dei grigi, come per non scivolare troppo rapidamente sugli orli netti dei contrasti. Mal’occhio era attratto dal punto più saturo di luce, come mosso da una spinta ipnotica. Di lì, scivolavanel gorgo dove il nero è più nero, e si squarcia come uno spazio enigmatico e senza fondo.

Biasiucci, attraverso un elemento povero come il pane, era riuscito ancora una volta in una sintesi magistrale dei suoi ossessivi archetipi: terra aria acqua fuoco.

Un anno fa ho ritrovato queste fotografie in un libro di singolare bellezza: 365 (IlfilodipartenopeEditori Artigiani, Napoli, 2017). Qui la Costellazione del pane di Biasiucci si pone a fronte delracconto nel racconto di Stella Cervasio: Il giorno del pane.

Scandita in 24 pagine, la novella si ispira a una leggenda del Massiccio Centrale francese, dove tutto il pane che serviva al fabbisogno di un anno – 365 giorni, appunto – doveva essere fatto entro le 24 ore di un giorno prestabilito, a pena di sciagure. L’ispirazione del racconto mi tocca personalmente. In questa parte vulcanica della Francia è nata mia figlia. Qui è venuto al mondo il mio pane quotidiano …

Ma di quale pane ci viene raccontato? Acqua, farina e corruzione: questi gli elementi che compongono il pane della Cervasio. “Batteri, agenti modificatori della realtà, trasformavano il degrado in nutrimento, la degenerazione in bene”. E allora capiamo che anche questo pane della Cervasio, da bene quotidiano, diviene l’archetipo, regola aurea, o sortilegio, infranto il quale il rapporto uomo-mondo si incrina, diviene sciagura. Irrimediabilmente.

I piani narrativi e simbolici de Il giorno del pane sono molteplici. E per fortuna, alla fine di questa favola nera non ci sono istanze edificanti e morali da impartire. Ma una dolcissima attenzione al mondo animale, cui viene accordata una spiritualità superiore alla stupidità umana, e alla sua folle passione di dominio che tutto corrompe.

foto di @antoniobiasiucci

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