Mario Fresa, Svenimenti a distanza, Il melangolo, 2017
Nove titoli per nove sezioni, da “Convalescenza” a “La mala fiaba”, la prima e la penultima in prosa, tutte le altre perlopiù in versi. In “Svenimenti a distanza”, Mario Fresa lascia navigare la sua scrittura in balia della perdita, di un abbandono in sospensione, una ricerca fluttuante di un messaggio da lasciar giungere al lettore senza la necessità di scomodare intermediari. “Svenimenti a distanza” è testo ricco di immagini e pensiero, in cui l’espediente dell’improvvisa perdita di coscienza si rifà ad una più generale sottrazione, ad una fuga dal mondo ma anche da se stessi. Una pagina liscia e pura che nasconde e protegge lunghe diramazioni e radici fitte che conducono a quel senso sottratto ed evaso. Dalla prosa alla poesia, la spiccata musicalità con cui Fresa racconta sonorità tra il fortissimo e l’impercettibile, tra l’esplosione onirica e la lucida struttura, si integra e compenetra all’originalità con cui, in “Svenimenti”, l’autore permette al lettore di fuggire e rifugiarsi allo stesso tempo.
Esordisce così Eugenio Lucrezi nella presentazione al libro di Mario Fresa pubblicato da “il melangolo” : “Lo leggi, questo libro, e torni a chiederti che cosa resta da fare, oggi, di quel grandissimo edificio storico che è stato chiamato, per secoli, letteratura. Oggi che sempre di più si pare, in un mondo del tutto estetizzato perché antropizzato e dunque messo in posa ad uso della specie che, suprematica, incessantemente tutto guarda e in tutto si rispecchia, la forbice tra la vita vera è il racconto per figure caparbiamente svolto dagli scriventi che in tutto questo tempo l’hanno tentata, la letteratura”. E prosegue : […] “Essendo un manufatto di parole, Svenimenti a distanza non può che svolgersi, nell’estensione del suo corpo fatto di pagine, in di racconto, ed è il racconto di un’esperienza di sofferenza e di perdita, anzi di sofferenza risultante da una successione di perdite che non trova composizione o sollievo nella circostanza che lo scrivente sia qui a darcene conto” […]
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Selezione da “Svenimenti a distanza”:
Ti amo nonostante i pettegolezzi. La strada è segnata da cortesi frasi di incoraggiamento, da mani dolcemente piegate dal tuo soffio canterino, dallo sciolto mulinare dell’incendio che si produce quando si apre, come un prezioso libro di offerte, una profonda attesa o quando, senza capire perché, si ascoltano domande misteriose: “Oh, come sarebbe, e per quale motivo?”; “Ho capito proprio bene?”; “Ma dorme o finge?”. Discendiamo. Si cerca un po’ di pace tra i cerchietti luminosi di questa partitura. Sono carico di pesi, ma resto fuori, fuori da te, colmo di gioia, sulla balaustra pazientemente costruita dai servi innamorati, trasformandomi, per te, in un lustrale cibo da divorare in pochi istanti. Taglieremo l’ingorgo delle Ombre. Ognuno è è un mendicante. Ognuno, prima o poi, vuole vederti. ( pag 22-23)
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Meglio essere odiati, a questo punto, no? Non posso sperare negli onori funebri. Vedi come mi comporto male: non uso maglie ecologiste, parlo male dei colleghi, cerco di toccare le suore, sono sincero solo quando dormo. Ho smesso di votare e ho paura di te. Devo aggiungere altro? La notizia è sicuro mal tarata; o meglio, maldigerita … (pag 26)
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Mi siedo fingendo di essere un suono
interminabile. La strada arriva a te, cotone d’aria,
per essere guardata
con autentica pazienza da chi parla,
da chi risponde: “Non l’ho sentito per nessuno, mai. Te l’assicuro”.
Prova a spezzare le tue movenze in quattro,
come un avaro mostro che gioca
senza riguardo a ricercare me, nello spedale
delle parole vinte o sottili:
topi di artiglieria che vengono alle mani,
se tu gli muovi guerra; e così sia.
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Ma se quelli se ne vanno, come hai capito, a noi
ci toccherà, semmai, di cambiare un’altra volta posizione.
Da morti a fantasmi, da 22 a 28.
Il segreto è nello scheletro, mi pare :
infatti è sempre forte e porta il segno di una contesa.
Cioè: si conta uno più uno, se si vuole davvero tranquillità.
E poi ripete: che ti sei fatto, lì?
E adesso, di nuovo, altre risate;
però le scelgo entrambe.
Si vede che la conduce, un poco troppo,
una stranissima passione; pure il cronista lo ricordava:
Tutto quello che è successo, alla fine,
ci ha soltanto, come dire, disonorato.
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Il rapporto tra noi è una
gengiva azzurra; e tanto si dimentica lo stesso.
(Come i gamberi e l’acqua nodosa,
che li fanno diventare eterni).
Ancora un ospite e odore
di esempi finiti male.
Meglio svenire in qualsiasi
continente che tra le tue braccia.
Neppure giurare o diventare ciò che si vede.
No: rallentare in una pianta morbida, ovale.
Risalire un po’ di meno.
Chi se ne è andato paga il conto
perché è solo: e tu, quasi sorella, entrando come un graffio
tra le facciate gigantesche, alle parole bianco e annoiarmi,
sei scivolata
con una rara facilità da polvere da sparo.
***
Alla fine il coraggio viene fuori davvero. E lo sai chi è la persona a cui ho salvato la vita? Io non fatico certo a capire come ha fatto. Cioè mi ha detto: il mio padrone non è mica il fidanzato del mondo. Così mi si avvicina, vedi, e mi sussurra: “Però ne avresti voglia”. E allora io, di rimando: “Ma voglia non è fare, e fare non è voglia!”. Ed ecco nata un’improvvisa amicizia. (pag 121)
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Ringiovanisci, figlio mio. Torna ad essere mai nato. Una seconda volta non ci perdoneranno. Eppure, ti abbiamo immaginato scrivere parole gentili per far capire che non volevo, che non tutto dipendeva dalla tua scelta, c’erano molto buoni argomenti per cercare un compromesso, un cerchio trasparente capace di tenerci ancora un poco invita. La roba che serviva davvero l’abbiamo smarrita da tempo; camminiamo ripetendoci che i colpi finali basteranno a riscaldarci, a toglierci per sempre l’incomodo di rimanere qui. (pag 129)
Mario Fresa è nato a Salerno nel 1973, ha compiuto gli studi classici e musicali e si è laureato in Letteratura Italiana. Esordisce in poesia con l’avallo di Cesare Garboli e di Maurizio Cucchi. Suoi testi poetici sono apparsi sulle principali riviste culturali italiane, tra le quali “Paragone”, “Caffè Michelangiolo”, “Nuovi Argomenti”, “Almanacco dello Specchio”, “Gradiva” (di cui è redattore). È del 2002 la raccolta prefata da Maurizio Cucchi Liason (edizioni Plectica; Premio Giusti Opera Prima, terna Premio Internazionale Gatto), cui fanno seguito, tra le altre pubblicazioni di poesia, la silloge Costellazione urbana (Mondadori, “Almanacco dello Specchio”, 2008); Uno stupore quieto, introduzione di Maurizio Cucchi (edizioni Stampa2009, “La collana”, 2012; menzione speciale al Premio Internazionale Letteratura Città di Como); La tortura per mezzo delle rose (nel volume n. 14 di “Smerilliana”, con un saggio di Valeria De Felice); Teoria della seduzione (Accademia delle Belle Arti di Urbino, con interventi grafici di Mattia Caruso, 2015). È stato incluso in varie antologie, da Nuovissima poesia italiana, a cura di Maurizio Cucchi e Antonio Ricciardi (Mondadori, 2004) a Ventidós poetas para un nuevo milenio, a cura di Juan Pérez Andrés (numero monografico della rivista spagnola “Zibaldone. Estudios italianos”, 2017). Ha tradotto da Catullo, Marziale, Baudelaire, Musset, Desnos, Apollinaire, Frénaud, Cendrars, Char, Duprey, Queneau.
(a cura di Marta Cutugno)