Autori estinti – la letteratura afroamericana

Alcuni dei miei preferiti autori estinti sono scrittori afroamericani, direi i fondatori della letteratura afroamericana, perché parlo di artisti che hanno prodotto le loro opere tra gli anni Quaranta e Settanta del Novecento.

Tra essi spicca il nome di Richard Wright, che considero un grandissimo scrittore, non solo un letterato di protesta. Di fatto è stato uno scrittore esistenzialista, che ha fuso il mito della letteratura americana con le istanze dell’esistenzialismo francese, di Sartre e Camus. I suoi primi tre libri, I figli dello zio Tom, Paura (Native son) e Ragazzo negro (Black boy) sono dei libri-biografie-saggi di portata internazionale e storica. Richard Wright è uno scrittore quasi del tutto estinto, i suoi libri migliori sono introvabili nelle librerie.

Richard Wright ha avuto un ruolo ineguagliabile nella letteratura americana perché non solo l’ha creata, ma grazie a lui hanno potuto scrivere le loro opere James Baldwin e Ralph Ellison, due giganti della letteratura che sono stati aiutati e incitati a scrivere la loro opera prima grazie a Wright. E si tratta di due opere di valore universale, rispettivamente Gridalo forte (Go to tell you to the mountain) e Uomo invisibile. Due opere che sono romanzi di formazione complementari, il primo parla della vita di un ragazzo nero nel ghetto di Harlem all’interno di una famiglia di predicatori battisti, il secondo parla della vita di un ragazzo nero nella società dei bianchi, della sua diversità, della sua invisibilità che lo fa avvicinare al partito comunista.

Di James Baldwin ho già diffusamente parlato nella rubrica Autori estinti, trovate i miei articoli su di lui in questa categoria.

Di Ralph Ellison, così come di Richard Wright e di ogni scrittore che qui cito, parlerò in futuro.

Ralph Ellison è forse quello che ha ricevuto il massimo consenso planetario, il suo Uomo invisibile, pubblicato con la prefazione di Saul Bellow, ha avuto una grande diffusione presso critica e pubblico e ha travalicato i confini della letteratura afroamericana, forse perché Wright venne visto come autore di protesta, e Baldwin come autore di libri a sfondo religioso (Gridalo forte) o omosessuale (i successivi).

Di Sam Greenlee non parla più nessuno. Il suo fantastico libro Il negro seduto accanto alla porta a suo tempo scatenò l’entusiasmo degli attivisti neri, e l’interesse dell’FBI. Greenlee sembrava buttare benzina sul fuoco, nel 1968, quando gli scontri tra attivisti neri e polizia erano al loro apice. Ma il suo non è un romanzo di propaganda, bensì un’opera che vuole fare discutere.

Di fronte a questi giganti, Malcolm X con la sua autobiografia, non sfigura per nulla, anzi, per certi versi la sua opera svetta, è forse quella più rappresentativa. Come scrive Alessandro Portelli nella prefazione a questa fantastica opera, la scrittura di Malcolm, così come tutta la scrittura di questi autori citati, è una lingua che dà un grande risalto alla parola. E la lingua di Malcolm è la stessa di Jeff Haley, che di fatto ha trascritto le parole che Malcolm ha pronunciato, ha redatto il libro in sua vece. Haley diverrà celebre più avanti con il romanzo Radici, famoso per lo sceneggiato televisivo (e introvabile come libro).

Le parole pronunciate da questi “negri” hanno il sapore delle parole sentite per la prima volta, delle parole che ti possono salvare la vita, ognuna va usata solo se strettamente necessaria e nel modo più autentico possibile: in effetti, la loro vita, la vita di tutti questi autori dipendeva dalle parole che usavano, così come la vita di ogni afroamericano in quegli anni.

Bastava una parola di troppo, un Sissignore non detto, per poter aizzare la rabbia e l’odio dei bianchi, e in un attimo la vita di questi scrittori poteva finire. Ogni parola pronunciata da questi “negri” era questione di vita o di morte, e questo si sente quando li si legge. Uso la parola “negro” perché così erano considerati quando erano giovani e stavano imparando l’arte di come parlare, ossia di come rispondere ai bianchi – ciò che Richard Wright chiama l’educazione di Jim Crow, Jimmi il corvo, ossia i ragazzi neri.

E’ per questa caratteristica che adoro la letteratura afroamericana.

L’uso della lingua, insieme ai fatti descritti, ti immergono in un altro universo rispetto al nostro, e non si tratta di un universo di fantasia. L’immaginario che creano con le loro opere (che poi è cruda realtà, la LORO cruda realtà) è paragonabile a quello creato nelle opere di Kafka: lo riconosci verosimile, ma stenti a credere sia vero, eppure ti avviluppa senza lasciarti scampo.

Al loro cospetto, gli autori afroamericani successivi, come Toni Morrison (Nobel per la letteratura), hanno una urgenza creativa e di scelta linguistica infinitamente minore. La scrittura non è più questione di vita o di morte. E pertanto può essere maggiormente abbellita e le trame rese meno lineari.

Ma questi autori, Richard Wright, Ralph Ellison, James Baldwin, Malcolm X, Jeff Haley, Sam Greenlee hanno le loro opere, le loro parole, stampate come cicatrici sulla loro pelle.

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