CONSONANZE E DISSONANZE / Eros, heros, amor hereos: “con Figure” (Zona, 2018) di Eleonora Pinzuti

Eros, heros, amor hereos. Può essere questo slittamento semantico a descrivere, ma non di certo a delimitare, una delle possibili costellazioni disegnate – con figure, come da titolo – dal primo libro di poesia di Eleonora Pinzuti.

Eros, innanzitutto, come possibile contrappunto al lirismo “meditativo” ed “empatico” che è stato recentemente ravvisato da Renata Morresi nel dare una definizione sintetica dei testi di Eleonora Pinzuti, poi rivisti e inclusi nel libro, che hanno vinto il Premio Poesia di Strada 2015 (e che ora si possono leggere nell’antologia dedicata al premio, appena pubblicata da Seri Editore).

Le figure citate nel titolo del libro, in effetti, sono in larga parte figure umane, oggetto di contemplazione, meditazione ed empatia. Compongono quelle moltitudini che, nell’epigrafe di apertura, sono direttamente ricondotte all’io whitmaniano, per poi essere meglio precisate da una delle epigrafi finali (I go back alone but I feel like I am multitudes, p. 119) come l’insieme delle figure che attraversano il vissuto esperienziale di chi scrive, arricchendolo.

Si potrebbe effettuare, dunque, un’incursione puramente fenomenologica nella scrittura di Pinzuti – senza che questo le tolga qualcosa, conferendole anzi quella elaborazione complessa e articolata che talvolta, in altre scritture, manca – ma con Figure ottiene anche di includere tale fenomenologia in una più ampia herstory, evocata immediatamente nel titolo del primo testo (p. 9).

Declinazione gendered di quella his-story che è sempre stata, al maschile, la Storia/storia, essa trova uno dei suoi punti più alti nella sezione Grandmother (pp. 43-55), dedicata alla figura della nonna. Tuttavia, questa herstory è anche una storia sensuale ed erotica, con accenti sempre diversi, talvolta più estetizzanti, talvolta più grafici: Gorgoneion (l’amore) (pp. 19-35) è, del resto, la sezione che forse ne dà la tematizzazione più compiuta. Su di essa campeggia il mito ambivalente e più volte riscritto di Perseo e Gorgone, dove non è certo Perseo a primeggiare, bensì il volto meduseo. In questo scenario, allora, nessun personaggio è dimenticato, ma nessuno, d’altro canto, è davvero eroico: le contraddizioni, individuali e collettive, sono spesso rivelate nelle pieghe dei testi o nella loro chiusura, illuminando le fragilità di ciascun essere umano a discapito di quel virilismo che si nasconde già a livello etimologico nella nozione fatta senso comune di eroismo.

Ad essere eroico è piuttosto l’amore, che nella malinconia dell’amor hereos inizia a elaborare le presenze/assenze delineando i contorni delle singole figure, frattanto divenute, nella scrittura, figure letterarie. Pare un percorso ancora in fieri, come lo è del resto ogni elaborazione autenticamente e fenomenologicamente fondata, dove convergono elementi spesso disparati, come segnalano gli intarsi linguistici (dal greco, dal latino, dall’inglese e dal dialetto) o i riferimenti poetici, che insieme al canone italiano, fino al Foglio di via fortiniano mirabilmente riscritto a pag. 91, e ai numi tutelari come Franco Buffoni, Antonella Anedda e Milo De Angelis vedono il ricordo, in due testi pregevoli (Maxime 1 e 2, pp. 103-105), del più eterodosso Massimiliano Chiamenti.

Se questi elementi, uniti a una padronanza classicamente intesa, ma sempre stringente, del metro, sono segno di estrema consapevolezza, emblema del testo diventa allora il più sfortunato degli eroi, ossia Kilimenco, prigioniero ucraino dell’esercito tedesco durante la seconda guerra mondiale. Nella partita a calcio contro gli ufficiali nazisti che segnerà il suo destino e la sua mitografia, “… dopo aver dribblato tutti / Kilimenco tenne la palla ferma sulla linea della porta / rinunciando al gol del 6-3 con gesto bello. Calciò verso il centrocampo, / mostrando il lusso dello spreco, quando il talento è tanto” (p. 99).

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