FLASHES E DEDICHE – 92 – FRANCOIS NEDEL ATERRE LA MISTICA DENTRO UNA TECA

François Nédel Atèrre, Francis Norleigh, Francesco Miti o semplicemente Francesco Terracciano. Pseudonimi, eteronimi, non importa più di tanto, diciamo che tutti confluiscono dentro questo bel libro, “Mistica del quotidiano”, pubblicato nel 2018 da Terra d’ulivi che si avvale anche di una interessante postfazione ad opera di Melania Panico. Già nel titolo si può percepire il nucleo del lavoro. La mistica è contemplazione del divino, il divino qui, con profonda umiltà, diviene il quotidiano, quel quotidiano universale a noi noto, vissuto, sudato e a volte odiato. François Nédel Atèrre lavora molto sul mnestico e lo fa con una “onestà” incredibile, facendo tesoro del dictat sabiano per cui ai poeti non resta che fare poesia onesta. Atèrre è un poeta, un poeta senza ombra alcuna, con forti legami novecenteschi ma non nel senso assoluto o negativo. La pulizia del verso, lo studio di risvolti metrici e un dettato veramente “onesto”, libero da fronzoli intellettualoidi ma centrato su di una umanità comune e partecipe, fanno di questo testo una prova notevole ed interessante. Tutta la mistica, tutto il quotidiano,  sono dentro una teca, è lì che ci vengono mostrate, una teca trasparente senza trucco alcuno.

 

 

 

La bella gente se n’è andata tutta.
La luce delle lampade si è spenta.
È misterioso, il bagliore del cielo.

Adesso può risplendere, la sera.

 

 

 

 

Sia nuda, la mia stanza. Un grande letto
di ferro, un tavolino messo accanto
coi libri e il lume, i muri bianchi, scabri,
unico quadro la bianca veduta
di alberi nella neve, alla finestra.

Io starò appena seduto alla sponda,
come chi allenti soltanto un minuto
il nodo dei pensieri, con la luce
alta ai ginocchi e al viso, lieve ai segni
di mattonelle rosse, consumate.

Forse starò spiegando la passione,
dirò a me stesso, le dita intrecciate:
sia tutto, tranne scialbo conversare
di amici lungo viali abbandonati,
un riso vano per cose minute,
un dirsi, senza palpiti o sfuriate,
che bella sera, vedi, abbiamo fatto
ciascuno all’altro compagnia, a domani.

 

 

 

 

 

Dici davvero che passa il dolore
degli anni prima, il taglio della carne
ancora vivo, il pensiero che opprime
solo al vederne, su un ramo, il colore?

Da un cielo così chiaro, forse implori
per troppo tempo una goccia di cera.
Ma c’è qualcosa e si muove, nei fiori
nuovi che annunciano la primavera.

Resto con te a guardarli. Passa ad altri,
anche solo un momento, la fatica
di sollevare coltri, di seguire
voci sottili, vite di mollica.

 

 

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