Autori estinti, n. 6: Maksim Gor’kij (quarta e ultima parte)

Maksim Gor’kij rappresenta il fallimento della rivoluzione bolscevica. Dopo aver aderito sostenuto la rivoluzione fallita del 1905, celebrata nel suo capolavoro La madre, Gor’kij tra il 1923 e il 1917, sulle orme di Tolstoj scrive una trilogia biografica, Tra la gente, Infanzia, Tra la gente e Le mie università (dal titolo ironico, dato che si riferisce alle sue esperienze di vita, in cui ha svolto mille lavori umili senza aver avuto la possibilità di compiere studi regolari). Nel 1917 è scettico di fronte alla rivoluzione d’ottobre, ma successivamente diventa amico di Lenin, e aderisce al bolscevismo. Dal 1917 al 1925 non scrive nessun grande romanzo. Viene istituzionalizzato come scrittore di regime. Gor’kij cerca di diventare comunista, pur essendo uno spirito ribelle, con una propensione al romanticismo individualista.

Con Stalin, Gor’kij diventa l’ideatore del “realismo socialista”, ideologia con la quale dovevano essere scritte le opere del regime. Gor’kij da un lato cerca di conservare il patrimonio letterario russo, tra cui le opere di Dostoevskij, malviste dal regime, dall’altro diventa censore di grandi artisti dell’era staliniana, come Platonov e Bulgakov, comunisti eretici. L’ironia e la satira di questi scrittori non è accettata dal regime, che vede nelle loro opera una critica al comunismo. Gor’kij non censura espressamente, in prima persona, le loro opere, ma dà loro dei consigli su come impostarle affinché passino il visto della censura. E’ un’operazione discutibile dal punto di vista artistico. Il realismo socialista non concepisce capolavori assoluti, e per lo più adagia la produzione letteraria sulla propaganda sovietica. Di suo, Gor’kij, scrive due grandi romanzi, ambiziosi, che cercano di narrare attraverso una famiglia la storia della Russia pre-rivoluzione. Si tratta dell’Affare degli Artamonov (1925) e della Vita di Klim Samgin (postumo, non completato). Non li ho ancora letti. Sono entrambi fuori commercio, il primo si trova ancora in qualche Libraccio o Biblioteca, il secondo è quasi irreperibile. Secondo molti, Vita di Klim Samgin potrebbe essere il capolavoro della vecchiaia di Gor’kij, il romanzo che, in stile Ottocentesco, prendendo spunto da Tolstoj, narra la storia della Russia. Ne riporto una interessante recensione trovata su internet. Gor’kij muore nel 1936. Secondo alcuni è vittima di Stalin, ma di prove non ce ne sono, e la sua vita non manifesta opposizione al regime. La mia impressione è che si vorrebbe dare un finale di vita romantico a questo vagabondo: Gor’kij, il cantore dei diseredati, l’orfano che ha girato la Russia facendo ogni lavoro più umile, poi diventa comunista e infine viene ucciso da Stalin perché mal sopporta le vessazioni del regime. Sarebbe bello se da vecchio avesse avuto questa vampata di orgoglio, ma … è davvero successo? Credo di no. Temo sia rimasto cieco verso la degenerazione dello stalinismo. LG

Klim Samgin

Questa capacità di evocare i caratteri negativi, e di trovare addirittura l’epicità attraverso la storia di un personaggio contorto e triste come l’avvocato Klim Samgin, è proprio al centro del romanzo che porta il nome di questo suo protagonista. Già ho intitolato che KLIM SAMGIN è l’opera più grande e complessa di Gorkij, valida per la forza di rappresentazione artistica. Ho etto pure che KLIM SAMGIN è uno dei capolavori della letteratura del Novecento. Klim Samgin è uno dei tanti intellettuali che popolano le pagine della letteratura russa, certo: ma la sua caratteristica fondamentale, come “eroe leggendario” è quella di rappresentare un “non eroe” (in un certo senso, come Živago). Ed ecco che il vasto affresco, cui Gorkij lavorò, all’incirca, dal 1926 alla morte, e che non compì, è la storia epica di una vicenda non epica, inserita però nel fiume di una storia drammatica del paese russo. Sabbia calpestata dal destino, Klim reagisce come può, e come può la sua anima sostanzialmente meschina, alle sollecitazioni sempre più violente del mondo.

 

ALLA VIGILIA DELLA RIVOLUZIONE

Il “tempo” in cui si svolge la storia di Samgin, è quello della vigilia della rivoluzione; perciò il romanzo assume un carattere universale, per la quantità di personaggi, di situazioni, di ambienti rappresentati: da quelli rivoluzionari, a quelli erotico-mistici di certe sette (magistralmente evocati, come nel COLOMBO D’ARGENTO di Belyj) a quelli semplicemente, grigiamente, filistei.

Nel romanzo di Gorkij, su uno sfondo epico, sono seguiti, evocati innumerevoli fatti storici, dalla catastrofe della Chodinka, il giorno dell’incoronazione dell’imperatore Nicola II (1896), fino alla guerra del 1914-1917, e alla rivoluzione di febbraio. La lotta intricata e aspra di tutte le classi sociali e degli individui, gli egoismi e gli altruismi, le ipocrisie e le sconfitte: tutto il mondo russo, per quasi quarant’anni, è ricreato in una potente sintesi artistica, in cui Gorkij fa, possiamo dire, la storia spirituale della Russia. Con il KLIM SAMGIN Gorkij si rivela erede degno del suo grande maestro Lev Tolstoj. Dentro questo mondo, agitato da violenti sommovimenti, scorre la vita dell’avvocato Klim Samgin, si attua (se vogliamo usare un termine mitologico) la sua dannazione eterna, il segno di individuazione della sua anima piccola. La sua infanzia annoiata, la sua grigia adolescenza, i suoi tentativi di aggrapparsi a questa o a quella ideologia: il tolstoianesimo, le varie esperienze individualistiche, l’eclettismo di chi non crede in niente; i rapporti con la moglie (diventa “sacerdotessa” di uno di quei culti che erano di moda alla vigilia della guerra e che poi morì tragicamente), alla morte di Samgin… Gorkij non poté concludere il romanzo: la terza parte termina con gli avvenimenti del 1907-1908; la quarta parte ha inizio dall’estate del 1906, e dovrebbe arrivare fino alla rivoluzione di Febbraio, fino al ritorno di Lenin. Tra i frammenti finali c’è un appunto di Samgin (valutazione di Lenin da parte di Samgin (valutazione e sensazione… “Lenin è un nemico personale”).

L’ultimo frammento si chiude sul sangue che esce dalla testa di Samgin e sulla donna che cerca di chiudergli gli occhi, non ci riesce, e pone sulla fronte del morto un pezzo di legno tolto da una cassetta rotta di munizioni. E’ improbabile che Gorkij volesse chiudere il romanzo con il suicidio di Samgin; non era da Klim Samgin uccidersi (c’è comunque anche questa versione). In realtà Samgin percorre tutti gli anni della sua vita e della storia del suo paese in preda al proprio egoismo e alla propria meschinità, che trova il suo simbolo (che è anche uno dei leit-motiv dell’opera) nella frase “ma c’era quel ragazzo, o forse non c’era?”: questa frase viene ripetuta da Klim nella coscienza, nella memoria, ed è indicativa del suo eliminare ogni sua colpa, ogni sua responsabilità: La frase si riferisce a un episodio della fanciullezza di Klim, invidioso del fratellastro, più forte, più buono, più generoso di lui; un giorno questo ragazzo cadde in acqua, per la rottura del ghiaccio, e invocò l’aiuto di Klim, ma Klim non lo aiutò; o meglio, lo aiutò a metà (Klim faceva sempre le cose a metà), gli dette, sì, la mano ma non in modo tale che l’altro potesse aggrapparsi, e così il fratellastro morì, con intima gioia di Klim. Poi, per tutta la vita, Klim fu come ossessionato da questa morte, che segnò il suo destino (cioè: indicò il suo carattere) e per questo Klim cercò sempre di allontanarne il ricordo, per cui l’episodio del ragazzo inghiottito dall’acqua divenne problematico, quasi come se non fosse mai avvenuto.

E “tutta la vita di Samgin fu così”.

Qui mi bastava riproporre il romanzo Klim Samgin, del quale ho dato solo un’indicazione iniziale. Per affermare la grande modernità e attualità di esso e del suo non eroico protagonista: il mezzo-intellettuale, il colto e ipocrita, misero e miserabile avvocato Klim Samgin.

Da qui: http://sauvage27.blogspot.it/2008/05/klim-samgin-maksim-gorkij.html

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