Ci sono libri di poesie che difficilmente trovano una collocazione definitiva o standardizzazioni. Uno di questi è sicuramente “La bottega di via alloro “ (Lietocolle 2013) di Daìta Martinez. La scrittura della Martinez è un melting pot, profuma, è sensoriale, una sinestesia nel corpo della parola. Decostruisce il dettato e la punteggiatura quasi fosse un dada comprensibile. La mezcla linguistica approda agli occhi e allo stomaco, non lascia indifferenti. La bottega in fondo è la Martinez stessa, poeta/poesia, lingua e straniamento. Proprio un bel lavoro costruito con perizia architettonica, rompendo gli schemi ingegneristici, contro l’integralismo semantico. La parola scorre di una bellezza assoluta ed il lettore è sempre sotto osservazione; il testo scruta chi osserva in uno scambio ai limiti di un “fantastico razionale”. È un lavoro che si presta ad una ri-ri-ri lettura continua, ad libitum.
. imparando a dimenticare il nome
un possibile è rimasto alla cornice
voltata a un cantico copriva acerba
la visione del basilico infilato
al cielo
ancora da cominciare parola la difesa
in ogni vuoto attorcigliato ai grani di
una catenella d’infanzia che era una
promessa il rame quando a dipingersi
bastavano
le tegole lasciate ad asciugare sulla sedia
e un pizzicotto di terra a sciogliersi sopra
le ferite arrivate domani all’imbrunire delle
ciglia più tardi la protesta e il tovagliolo
piegato nella cura
del cotone quasi a strappare le mani per il troppo
buio o per la lingua che non ha l’intenzione dei panieri
sul cortile nei giorni tagliati dietro la persiana incipriata d’alloro
o nascono solo dei minuti appesi al silenzio della porta con davanti
un dondolo
immaginato lento a una pignata
e
g i r a g i r a g i r a
mentre a credere è l’acqua .
*
. nascondi questo spazio vuoto
legarsi legarmi legarti gli occhi
poi silenzio scende dai momenti
il giro impetuoso di corda oscilla
smalto sulla lingua fumando noi
significante circostanza l’addosso
dell’erba abbreviata cantilena dèi .
*
. una macchia così il garofano
i m i t a
si
i m i t a
linguaggio l’avamposto dallo
straccio una bambola pettina
fili a smontare dal grembiule
il giorno bucato alla serranda
fatta scendere di spilli educati
storti cancellando la struttura
nei ricordi schiacciati a colpire
nel
c a s s e t t o
p o i
un rigo d’aria nasconde l’aiuola .
*
schizofrenica insolenza delle acque
sgorgate odore sulla vertebra del tinello
sbottonata la marcia del polso nutrito d’avvento
che invade il sapore dei limoni attorcigliati tra
i guanti allevati suono in quel masticare verbo
come certe ore deglutite allo scadere della sera
immaginifica eppure così tangibile, la poesia di Daìta, da creare un effetto straniante che cattura al suo interno e finisci con l’innamorartene.
Mirella C.