Attilio Manca e la “Vinafausa” di Simone Corso al Cortile-Teatro Festival

di Marta Cutugno

Non so cosa farò da grande. So solo che inventerò qualcosa” – Attilio Manca (III media)

Attilio. Raccontare di Attilio non può lenire quel profondo senso di rabbia e sconcerto che coglie dopo l’analisi attenta dei fatti che lo hanno tragicamente coinvolto ma è l’unico modo che abbiamo per onorarne la memoria e dare una voce in più in favore della sacrosanta e ricercata amara verità. Lo fa, coraggiosamente, Simone Corso con il suo “Vinafausa”, ultimo appuntamento in cartellone per il Cortile-Teatro Festival diretto da Roberto Bonaventura con la collaborazione di Giuseppe Giamboi. La rassegna ha registrato un successo straordinario ed ha, per la prima volta, utilizzato il Cortile del settecentesco Palazzo Calapaj-D’Alcontres come luogo di teatro.

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Attilio Manca era un urologo di 34 anni, nato e cresciuto a Barcellona Pozzo di Gotto (Me), vice primario presso l’ospedale Belcolle di Viterbo, specializzato in Prostatectomia radicale laparoscopica, primo medico, in Italia, ad affrontare interventi chirurgici alla prostata in laparoscopia. Il 13 febbraio 2004, Attilio viene ritrovato esanime, seminudo, riverso sul letto matrimoniale del suo appartamento viterbese. La sua culla è una pozza di sangue, il corpo è tumefatto, il setto nasale è rotto, deviato ed il braccio sinistro violato da due segni di iniezione. Si parla di overdose, si parla di suicidio, si dice che sia morto per un mix letale di eroina e tranquillanti. L’urologo, notoriamente mancino, aveva due buchi nel braccio sinistro e si sarebbe anche preso a botte da solo. Perché? Perchè una “vinafausa”, una conduttura sotterranea di melma, ha inondato Attilio e la sua vicenda di morte?

Ai frantumi di questa giovane vita si ispira “Vinafausa” scritto ed interpretato da Simone Corso per la regia di Michelangelo Maria Zanghì sulla scena, nei panni di Attilio, insieme a Corso ed a Francesco Natoli. Il capo di Cosa Nostra – interpretato da Natoli – detto “Binnu u tratturi” giunge accompagnato dalla voce di Mina che canta “L’importante è finire”. “Io sono stato Bernardo Provenzano, quello che ha preso la mafia e l’ha fatta diventare l’Italia”. Il suo fare inequivocabile si blocca solo per scrutare, occhi negli occhi, gli spettatori del Cortile. “U tratturi quannu passa non lassa nenti”. Ed il trattore è passato, ha rimescolato la terra, ha travolto tutto.

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La scenografia di Francesca Cannavò è essenziale e consta principalmente di un albero, simbolo della vita, che funge da attaccapanni e nutre, con i suoi frutti, le trasformazioni degli attori da un personaggio ad un altro. Il testo di Simone Corso bene sintetizza eventi di vita e ricordi del giovane urologo: di Attilio, emergono la semplicità delle piccole cose e la meraviglia bambina; il suo sguardo rivolto al cielo stellato commuove tanto quanto quello rivolto al futuro, alle esperienze post laurea, al desiderio di contribuire efficacemente alla ricerca medico-chirurgica. Ma, pur ripercorrendone le tappe essenziali il testo perde di ritmo e risulta alle volte eccessivamente lento. Nel dispiegarsi della “Vinafausa”, si distingue Francesco Natoli, che con generosità comunicativa, fa di ogni passo, ogni sguardo, ogni parola, un dono senza riserve.

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Le ombre che coprono la verità sulla morte di Attilio sono troppe e sono fitte. Dal principio alla fine, dall’ascolto di registrazioni delle vere voci di chi lo ha amato, al confronto tra il dire del boia e la cronaca della stampa, lo spazio scenico si è prestato alla rappresentazione di un dolore immerso nella gioia semplice del vivere ed ha, gradualmente, trasferito il personaggio dai riflessi di un’esistenza serena all’incubo di costituire un testimone scomodo per un super latitante col quale ha, presumibilmente, avuto dei contatti. Cosa è accaduto, cosa si suppone sia accaduto, cosa vogliono far credere che sia accaduto rimangono, nella rappresentazione teatrale come nella vita, tasselli di un puzzle che, ancora a distanza di 13 anni, non trova soluzione. “Io sono stato, sono e non sarò più Attilio”. Segue un estratto da “Le vene violate” di Luciano Armeli Iapichino, dialogo dello scrittore siciliano con il giovane urologo “ucciso non solo dalla mafia”. Armenio Editore.

In immagine di copertina: Francesco Natoli nel ruolo di Bernardo Provenzano.

Foto di Scena : Giuseppe Contarini

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In foto di copertina: Francesco Natoli nel ruolo di Bernardo Provenzano.

Foto di Giuseppe Contarini

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