Il silenzio di Dio nel cinema di Scorsese

Silence

Non esiste solo il silenzio di Dio secondo l’inarrivabile Bergman. E sono molti, nella storia del cinema, da Dreyer e Bresson a Olmi e Kieślowski, senza dimenticare Pasolini, gli autori che hanno affrontato tematiche spirituali e filosofiche. A sua volta, con il suo nuovo film, “Silence”, dal romanzo di Shusako Endo, Martin Scorsese ha portato a compimento diverse tracce  presenti nella sua filmografia, maturando in trent’anni una visione e un senso del narrare congeniali a una storia così complessa.

Il regista di “Taxi Driver”, “Toro scatenato”, “L’ultima tentazione di Cristo”, “Quei bravi ragazzi”, “Hugo Cabret” e “The Wolf of Wall Street” ha fatto suo il racconto drammatico del viaggio in Giappone di padre Rodrigues e padre Garupe, portoghesi. Due giovani gesuiti, nel 1633, alla ricerca di un padre spirituale che ha rinnegato la sua fede, Ferreira, tra persecuzioni e apostasia. La sceneggiatura di Jay Cocks e di Scorsese e, soprattutto, la regia evocano suggestioni e lacerazioni che affondano le loro radici nella fede e nelle sue problematicità.

Così “Silence”, nel solco di una tradizione d’autore che ha molteplici ramificazioni, fa emergere il rapporto tra l’individuo e la natura in una dialettica affascinante che investe il senso del vivere e i temi del dubbio, del peccato, dell’amore, della violenza, del martirio, delle sfaccettature dell’animo umano e della complessità di processi storici e religiosi. La qualità del linguaggio cinematografico, grazie al taglio pittorico delle inquadrature e alla forza espressiva e simbolica delle immagini, con la fotografia di Rodrigo Prieto, è in funzione della ricerca di un silenzio e di un mistero interiori che, nella quasi totale assenza di musiche, coinvolge in profondità lo spettatore e lo obbliga a sganciarsi da una fruizione superficiale.

Il finale rivela quanto “Silence” evidenzi in modo non didascalico l’irriducibilità della coscienza e la necessità di una libertà intima che sfugga a ogni autoritarismo. Da segnalare l’interpretazione del protagonista Andrew Garfield (Rodrigues) e di Liam Neeson (Ferreira), Adam Driver (Garupe), Issei Ogata (l’inquisitore), Shinya Tsukamoto (il martire Mokichi) e Yōsuke Kubozuka nei panni di Kichijiro, emblema della debolezza umana che a tratti rischia di essere macchiettistico ma che, nella sua grossolanità, si avvicina all’idea non armonica né pacificata che Scorsese ha della fede. Un punto di vista non banale è affidato pure all’inquisitore, carnefice di cristiani e uomo brutale, sì, ma anche abile stratega e realista nelle sue analisi politiche.

Meritevole di essere visto più volte, per poterne cogliere appieno la complessità, “Silence” rispecchia la tensione spirituale del suo regista. Da segnalare l’appassionante intervista in esclusiva (in italiano e in inglese) con il cineasta da parte del gesuita Antonio Spadaro:

ESCLUSIVO | «SILENCE». Intervista a Martin Scorsese

Marco Olivieri

 

La recensione è tratta, in buona parte, dalla rubrica “Visioni” del settimanale “100nove Press” del 19 gennaio 2017.

Immagini dalla pagina Facebook  in italiano del film.

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