Nel 1995 l’uccisione del primo terrorista jihadista: che cosa è cambiato da allora?

Spunti di riflessione

Carteggi letterari crede nel pluralismo e nel confronto fra le culture, nel segno del dialogo tra mondo arabo e mondo occidentale, contro guerre e terrorismi.  In questa ottica ospitiamo articoli di chi è mosso dal desiderio di capire.

Nel 1995 l’uccisione in Francia del primo terrorista jihadista: che cosa è cambiato da allora?

Il 15 agosto scorso, mentre molti di noi si trovavano probabilmente in vacanza e riuscivano a mettere un po’ da parte il pensiero del bellissimo lungomare di Nizza colpito e insanguinato dall’assurda tragedia del 14 luglio − in un breve e interessante articolo apparso sul quotidiano “La Stampa” −, Grazia Longo ci informava che al Polo Interforze di Roma una quantità di elementi delle cinque polizie italiane, poliglotti ed esperti di politica internazionale sono in costante attenzione per confrontare e monitorare circa ottocento allarmi giornalieri provenienti da 196 Paesi, quasi tutto il mondo.
Il 10% delle segnalazioni – afferma l’articolo − riguarda il terrorismo islamico.
Un’opera di prevenzione che non esiste ovviamente soltanto in Italia, anche se è stato affermato da più parti che il nostro Paese sembra essere all’avanguardia sotto questo aspetto.
È arduo stabilire una data d’inizio di questo allarme mirato. Certo è che la guardia non può ragionevolmente essere abbassata, e che anche i media hanno rivalutato la quantità e il peso da dare alle notizie, reportage e approfondimenti che sviscerano i temi dell’estremismo islamico in tutte le sue forme.
Molti pareri di specialisti del settore, inclusi illustri giornalisti reporter di guerra (primo fra tutti Mimmo Candido, che previde nel dopo-Saddam Hussein un’apocalisse) concordano sul fatto che il vero scontro è una guerra per la supremazia mondiale tra mussulmani, Sciiti e Sunniti, non tanto tra islamici e Occidente.
Il dibattito tra sostenitori della Guerra Santa e non, rimarrà aperto all’infinito, e forse non è neanche di grande utilità. Quale che sia l’origine dello scontro, è innegabile che l’Occidente è sotto assedio, coinvolto direttamente e apertamente. Una guerra di tipo nuovo che si combatte sempre più nelle grandi città, come in una recente intervista ha dichiarato Anthony Beevor, uno dei più conosciuti storici inglesi, esperto di storia militare, ad Andrea Coccia, che lo ha intervistato per “L’inchiesta”. «Stiamo entrando in una fase storica nuova… con nuovi scenari di guerra prolungata in città… I terroristi si proteggono e si nascondono mischiandosi tra i civili».

Si considera che il primo terrorista europeo jihadista è stato Khaled Kelkal, figlio di una coppia di algerini immigrati in Francia, del quale abbiamo una lunga descrizione in un testo molto istruttivo, scritto da un competente studioso e politico di origine algerina, italiano dal 1993, prematuramente scomparso: Khaled Fouad Allam. Il titolo di questo libro è emblematico, “Il jihadista della porta accanto”, ed è entrato quasi nel linguaggio comune, perché descrive con appena cinque parole una nuova tipologia di essere umano. Il terrorista fondamentalista può allora essere un tipo qualunque, un premuroso vicino di casa, quasi un amico, una persona che si mescola perfettamente alla comunità in cui vive.

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Khaled Kelkal venne alla fine ucciso nel 1995 da poliziotti francesi vicino Lione, dopo aver compiuto diversi pesanti attentati in varie località della Francia.
Inizialmente un “bravo ragazzo”, anche negli studi, già al liceo, a contatto con una società che non sente sua, comincia a sentirsi un escluso, quindi abbandona gli studi e inizia ad essere un piccolo delinquente. Più volte incarcerato, conosce in uno di questi soggiorni «un islam di stampo fondamentalista o neofondamentalista». « Per Khaled Kelkal, l’islam che impara in carcere annulla le differenziazioni sociali e culturali che ha vissuto in modo doloroso e conflittuale», spiega Fouad Allam nel testo citato.
Solo un accenno può essere fatto qui sulla complessità delle motivazioni psicologiche e sociologiche del percorso del giovane attentatore. Ma questa sua storia – che si conosce nei dettagli perché Kelkal fu intervistato in uno dei suoi soggiorni in carcere da un sociologo tedesco, Dietmar Loch – contiene elementi utili per comprendere almeno in parte il fenomeno del terrorismo jihadista, che ha assunto oggi proporzioni mai prima immaginate e che non è ragionevole ignorare.

Dal 1995 ad oggi i processi storici che hanno riguardato non solo i Paesi arabi ma tutto l’Occidente e il mondo intero sono stati abnormi (se ha un senso usare questo termine nel caso della Storia) e sempre più difficile è la loro interpretazione. Le primavere arabe hanno scoperchiato altre voragini. L’attenzione e la conoscenza della religione professata da Maometto non è più una materia per specialisti. Le spiegazioni di giornalisti, storici e sociologi non bastano, intanto che le interpretazioni degli “esperti di guerra” e geopolitica sono divenute indispensabili, anche se in contraddizione fra loro e durevoli un lasso di tempo breve, superate di continuo da nuovi accadimenti.
Più volte, di fronte a tragici attentati contro civili inermi in un Paese occidentale, si è parlato di “uno spartiacque” con il passato. Ora sembra che il punto di questa immaginaria linea di frattura sia ogni volta più desolatamente immenso e incomprensibile.

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Giulio Regeni aveva 28 anni quando è stato torturato a morte in Egitto. Sappiamo che era un serio e bravo ricercatore e non c’è bisogno di aggiungere altro.
Non è il primo europeo o straniero che viene ucciso in un Paese arabo mentre era al lavoro. Ma le modalità della sua uccisione, assassinio orrendo di un giovane italiano che al Cairo faceva una ricerca per l’Università di Cambridge, e tutti i dettagli politico-diplomatici relativi a questa tragedia suggeriscono che le relazioni tra Stati e Paesi diversi andrebbero interpretate e attuate con criteri nuovi rispetto al passato, anche recente.

Eugenia Parodi Giusino

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